Di nuovo a casa

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Ed eccomi qua. New York, ore sedici e ventidue, giorno due settembre. E' più' di un anno. Piu' di un anno che non la vedo.
Mi ricordo quando da piccolo andavo a dormire da qualche amichetto, quelle poche volte in cui Gabe non c'era, e la mattina dopo, quando tornavo a casa, la abbracciavo dopo solamente una notte di lontanaza...quanto mi mancava la mia mamma.
Ora che sono qui, con il dito che sfiora il pulsante del quarto piano di un vecchio palazzo decadente, l'attesa ai fa quasi insostenibile. E se non mi volesse piu'? Se mi avesse dimenticato? Se fosse troppo arrabbiata con me?
Guardo la targhetta del citofono che risale ad almeno una decina di anni fa. E' sbiadita, ma si riesce ancora a leggere quasi chiaramente la parola scritta con la calligrafia tremolante ed insicura di un bambino che ha appena cominciato la scuola: Jackson; la enne finale quasi non si legge, perché cancellata da una faccina sorridente, sempre molto tremante, disegnata con un pennarello blu.
Sorrido al ricordo di une piccolo e innocente che invece di una spada brandisce il pennarello, inginocchiato su una sedia del tavolo della cucina e con la lingua tra i denti, intento a far stare le lettere che mia mamma mi dettava da dietro a spalla, su quel pezzo di carta troppo piccolo.
Mi sembra quasi di avvertire il suo profumo di caramelle nell'aria, la sua voce che mi incita dolcemente a fare le lettere un po' piu' piccole e staccate tra di loro.
Sto per premere il pulsante del citofono, quando il portone si apre da solo, rivelando una scenetta alquando romantica e rivoltante di due ragazzi avvinghiati in un bacio molto passionale. Per un secondo la mia ipertattivita' mi porta a domandarmi come cavolo fa una persona ad aprire una porta se ha entrambe le mani impegnate - decisamente impegnate, - ma poi riconosco la ragazza. Abita da sempre sopra di me, ed è stata la mia prima cotta. Era la sorella maggiore del mio migliore amico, e la mia era più una cosa contemplativa. Non credo di averle mai nemmeno parlato, forse qualche "ciao" casuale per le scale. Il tutto prima di Annabeth, ovviamente.
Adesso tento di non farmi vedere e compio uno scatto verso il portone prima che si richiuda. Ma evidentemente anche lei mi riconosce, perché si stacca con un orrido risucchio dalla bocca dell' amichetto ed esclama: "Percy? Percy Jackson?". Accavoli. Mi giro ostentando un sorriso e dico: " Sarah? Sarah Smith?" .
"Ommioddio!" fa lei. "Ma dov'eri finito? Tua madre e' a pezzi!"
Ecco, dai, brava. Fammi sentire ancora un po' più in colpa dicendomi che magari si è suicidata dal dolore!
"Beh, anche a manca, per questo sto andado a trovarla. Ciao!". E la lascio lì con il suo ragazzo esterrefatto.
Corro su per le scale facendo i gradini tre a tre, ma quando arrivo sul nostro pianerottolo esito a premere il campanello e di nuovo tutte le mie domande mi tornano in mente. E poi come va con Paul? Stanno ancora insieme? Mi cucinerà ancora i biscotti blu oppure sarà troppo arrabbiata? Mi farà entrare in casa?
Ma è inutile esitare. Conto tre, due, uno e schiaccio il campanello.
'Ecco, adesso scappo via a gambe levate se non apre entro dieci secondi. Dieci, nove, otto, sette, sei...'
Pensò, ma non arrivo al cinque che la porta si spalanca. Dall'altra parte c'è mia madre.
La vedo, è lì, la potrei toccare se allungarsi il braccio.
È un po' invecchiata, si vede: i capelli prima rigati da qualche filo bianco sono oramai quasi completamente schiariti; e le rughe di espressione intorno agli occhi e alla bocca si sono decisamente accentuate.
Ma è sempre bellissima - è la mia mamma. La mia mamma.
Appena mi vede resta per un momento ferma. Poi le cade quello che aveva in mano (un libro, probabilmente), e mi butta le braccia al collo.
"Oddei..." la sento sussurrare contro il mio collo.
"Mamma!" mormoro. Affondo il volto tra i suoi ricci e respiro a pieni polmoni il suo profumo dolce, d' infanzia. Sento la sua mano accarezzarsi la schiena, e le lacrime rigarmi i volto.
Rimaniamo fermi per quelli che mi sembrano secoli, ma la mia iperattività come sempre rovina il momento e sciolgo l'abbraccio. Non mi allontano molto, solo quanto mi permette di guardarla in volto.
"Percy..." chiama mia mamma, accarezzandomi il volto, i capelli.
"Sei vivo..." dice, scoppiando nuovamente a piangere. Dopo qualche secondo si calma e mi circonda le spalle con un braccio (non senza qualche difficoltà) e mi spinge nella mia vecchia casa.
Finalmente mamma fa un sorriso e comincia a parlare: "Tesoro mio, non sai quanto mi sei mancato..." dice, sfiorandomi il volto con le dita.
"Anche tu, mamma"
"Caspita, sei cresciuto tantissimo! Non abbiamo neanche festeggiato il tuo compleanno... Vuol dire che questa sera inviteremo un po' di gente e farò una torta. Chi ti piacerebbe invitare? Annabeth? Oh, a proposito, come sta?"
"Ehm... Bene" rispondo io, travolto da quel torrente di parole.
"Ci siamo visti questa mattina. Anche lei andava a salutare suo padre, quindi non so se questa sera può venire. Anzi, mamma, davvero, non è necessario che tu prepari una torta. Preferisco rilassarmi un po', passare qualche giorno in pace, tornare alla... normalità." contesto, sorridendo. Anche lei mi risponde con un sorriso, tranquillizzandomi con lo sguardo:
"Ma certo, tesoro, capisco. Però mi farebbe piacere rivedere Annabeth. Magari invitala, domani a cena. Che ne dici?"
"Mmmmh-mmmh!" è il mio felice mormorio di assenso, e comincio a togliermi la felpa ormai necessaria, mentre la mamma chiude la porta dietro di noi.
"Beh, comunque una torta blu questa sera te la faccio lo stesso. Fra un paio d'ore arriverà anche Paul. Sai mancavi molto anche a lui. Sarà così f... Ma cos'è quello?!" esclama, fissando una parte imprecisata del mio avambraccio.
"Questo cosa? Ah. No, mamma, non e' come pensi, io non..."
"Perseus Jackson! Ti sei fatto un tatuaggio? Un TATUAGGIO?!"
"No, mamma! Cioè, sì, ma non volevo!
Lei mi guarda con occhi fiammeggianti.
"Cosa vuol dire che non volevi? Dove sei stato?! Percy, tu non hai idea di quanto mi abbia fatto spaventare! In un anno - un anno, dico - l'unica cosa che mi hai fatto sapere era una frase in segreteria telefonica! Capisci?! Non una lettera, non una telefonata! Niente! E poi, cosa fai? Torni a casa con un tatuaggio? Tu...! Io non..."
Mi urla sulla faccia. E poi mi molla uno schiaffo. Certo, non e' niente in confronto a quello di un mostro, ma sono sorpreso e l'unica cosa che riesco a fare è esclamare un assurdo, inutile, infantile: "Ahi, mamma! Però mi hai fatto male!"
"Bene!" ribatte lei, con le braccia incrociate.
Poi, inaspettatamente, il magone che mi serra la gola si scioglie e comincio a piangere.
"Ma... Ma... Ma io... Non è giusto! Perché io non... Non volevo fare... Andare... E poi... E non ricordavo... E con Annabeth siamo scivolati giù, giù... E Bob... Non..." singhiozzo, tenendomi una mano sulla guancia colpita.
Insomma, capisco che mia mamma è arrabbiata e che oltretutto sto facendo davvero una scena penosa, ma non mi sembra giusto che lei mi sgridi così tanto. Dopotutto non e' lei che è caduta nel Tartaro, giusto?
Chiudo gli occhi e faccio dei respiri profondi, tentando di calmarmi, quando sento una mano leggera posarsi sulla mia spalla e guodarmi verso il piccolo divano verde.
"Scusa, tesoro" mi sussurra la mamma. "Ti ho fatto tanto male? Non volevo..."
Scuoto la testa e la appoggio sulla sua spalla.
"Scusa a te. Hai ragione, avrei dovuto chiamarti."
"Non preoccuparti, l'importante è che ora tu sia qui. Dai, raccontami. Cosa hai fatto quest'anno? Sei andatoa studiare in Francia?" scherza.
"No... Molto meglio. Fuga d'amore con Annabeth!" sorrido.
"Mamma... Però, prima..."
"Mmh?"
"Ti voglio bene."

Angolino autrice: ecco qui la mia storia. Spero che non sia troppo sdolcinata! Magari, se avete cinque secondi di tempo, scrivetemelo.
In ogni caso, volevo avvertirvi di una cosa: io sono registrata si EFP (un altro sito di fanfiction) come Lisileo, e potrei pubblicare le stesse storie storie da entrambe le parti. In dal caso, non è plagio ma sono sempre io!
Comunque, perdonatemi gli eventuali errori di battitura e grazie per aver letto!

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