CAPITOLO 4 Le parole non dette

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Marcus

I giorni passano e non ci sono progressi nella riconquista. Annabelle è un muro di cemento armato: niente e nessuno riesce a scalfirla e il suo piano di ignorarmi sta funzionando alla grande.

Dopo la discussione nel suo ufficio, le nostre conversazioni sono limitate al lavoro, unico punto d'incontro dove è costretta a parlarmi.

Ci ha provato a lasciarmi dei foglietti pur di non rivolgermi la parola, ma in  alcuni casi erano troppe le cose da riferire e avrebbe dovuto scrivere lettere, in pratica.

Le ho lasciato un po' di respiro a lavoro: non volevo renderla più nervosa di quanto non lo è già. Questo non significa che non la spii più di nascosto.

Forse non tanto di nascosto visto che mi ha beccato in pieno in un paio di occasioni.

"Vuoi venire da me stasera?" chiede James, riportandomi alla realtà.

"Non ti rovino le serate? Non stavi uscendo con una donna?"

"Hai le occhiaie. Da quanto non dormi otto ore di fila?"

Sollevo leggermente le spalle. "Ieri ho dormito tre ore. È già qualcosa."

Continuo a camminare di notte, perché mi dà fastidio stare nel mio stesso appartamento. Riesco a dormire decentemente solo a casa di James, su quel divano scomodissimo che solo per lui è confortevole.

Non avrei mai creduto di stare così. Se me lo avessero detto tre mesi fa avrei riso di brutto. Mi rendo conto di essere davvero messo male.

"Non puoi andare avanti così. E se dovessi fallire e lei non ti dovesse mai perdonare, cosa faresti?"

Fa questa domanda senza guardarmi, troppo impegnato a scrivere un appunto su un caso. Intuisce dal mio silenzio che, forse, non era il caso di farmela come domanda. Una parte di me lo sa che potrebbe accadere, ma l'altra, la più forte, non l'ha mai preso seriamente in considerazione. 

Nella mia testa c'è solo lo scenario in cui lei riesce a passare sopra alla stronzata che ho fatto.

"Fammi il piacere di pensarci seriamente a questa opzione." continua lui. "Solo per sicurezza."

Devo proprio?

"Fallirò, vero? Lei non mi perdonerà mai." rifletto ad alta voce, esprimendo la paura che ho dentro. "Devo provare a spiegarle cosa..."

"Non ancora, Romeo." consiglia la mia spia numero uno. "Lei non è pronta ad ascoltarti."

Comincio a credere che non lo sarà mai. Ha smesso anche di chiamarmi per nome, ora sono solo il viceprocuratore Kane. All'inizio mi ricordava i nostri momenti erotici, ora è frustrante.

"Lei... Parla mai di me con te? Mi hai fatto riflettere sul possibile fallimento, perché ha detto qualcosa?" James scuote la testa per dire di no in risposta. "Anche se lo facesse, tu non me lo diresti vero?"

"Non ti direi nulla di ciò che mi dice in confidenza, ma ti preparerei al peggio. Non ti lascio da solo..." 

Guarda fuori dalla semiaperta porta del suo ufficio e poi devia subito i suoi occhi verdi sulla scrivania. Si schiarisce la voce, senza motivo e lo guardo accigliato. Mi volto leggermente per cercare di capire cosa ha catturato la sua attenzione, ma non vedo niente, se non il solito via vai.

"Tutto ok?" gli chiedo.

"Tutto ok." conferma. "Quindi, stasera ancora sul mio divano."

Non abbiamo già fatto questa conversazione?

"Dimmelo se ti do fastidio o se devi fare qualcosa. Al massimo mi fermo qui in ufficio."

Lui inclina la testa. "In ufficio? È come non dormire e tu ne hai bisogno. Domani passerai la giornata in tribunale e ho come l'impressione che non sarai lucido, visto che non riesci a riposare da giorni."

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