Il mare messaggero

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Arrivai sulla spiaggia a quell'ora del giorno in cui non sai se il sole è sul punto di risorgere o se è appena tramontato. Quell'ora del giorno in cui il tempo sembra essersi fermato e il cielo è capace di ingannarti con le sue sfumature rossastre e arancioni, di illuderti che sta per cominciare un nuovo giorno o che ne è appena finito un altro. Quell'ora del giorno in cui, anche se per poco, sei libero di credere che hai ancora un'intera giornata davanti per fare quello che ti eri promesso di fare ma non hai fatto o sei libero di accettare a malincuore che ormai un altro giorno è passato.
Guardai le grigie nuvole che si rincorrevano sulla mia testa sperando che andassero lontano e lasciai che la mia pelle si colorasse dell'ambra del cielo di quel tardo pomeriggio di agosto. Di fronte a me il sole stava per dare il suo ennesimo saluto, scomparendo lento dietro quel sipario imperfetto ed illusorio che noi umani chiamiamo orizzonte. Corrugando la fronte mi chiesi come mai siamo ben capaci di dare un nome a ciò che non esiste e a volte, invece, non lo siamo nel dare una voce, un volto, un nome alle nostre passioni e ai nostri sentimenti.
Un mare di cartapesta bluastra imbrattata di rosso tramonto mi sfiorò i piedi facendomi rabbrividire e riportandomi su quella spiaggia. Accanto a me planò un gabbiano. Le sue pupille nere e vitree mi scrutavano incerte, quando qualcosa nell'acqua attirò la sua attenzione e dispiegò le ali grigie e bianche alzandosi in volo. Un'ombra nera lontana all'orizzonte, fu questo quello che vidi di quel gabbiano che aveva finalmente la sua preda. Lo seguii con lo sguardo finchè la vista me lo permise.
A quel punto mi guardai intorno, cercavo i miei amici che mi aspettavano chissà dove su quella spiaggia troppo deserta per essere la notte del 15 agosto. Raccolsi le mie scarpe e mi avviai lentamente sul bagnasciuga che ancora per poco avrebbe riflesso come uno specchio la luce del giorno.
Era già sera quando li trovai. Lo sfrigolio della legna che bruciava e il crepitare delle onde che si frantumavano sulla sabbia e sugli scogli sarebbero stati la voce solista di quella notte e noi,con le nostre risate e le nostre canzoni in un inglese storpiato, dei coristi non troppo all'altezza di un simile portento della natura.
L'umidità penetrava sotto la pelle, fin dentro le ossa, e i capelli si erano ammorbiditi in onde castane per la brezza del mare. Salutai in fretta quei quattro che sarebbero stati come me dei coristi per una notte. Mi invitarono a sedermi con loro intorno al fuoco per cantare Norwegian Wood accompagnati da una chitarra vecchia e scordata. Le stelle vegliavano silenziose su di noi, immobili, luminose. Mi sedetti su quello che era rimasto di minerali, pietre, conchiglie, erosi in migliaia di anni da quel mare carico di lacrime e preghiere: una sabbia finissima, che sfuggiva al tatto ma si attaccava alle dita, ai vestiti, ai capelli. E fissai il fuoco...Le fiamme erano come rami di un albero agitato dal vento, piene di vita. All'improvviso sentii una voce, una sola tra le tante di quella notte, un'unica voce. Era la sua, ne ero sicura. E mi voltai di scatto a cercarlo in mezzo alla folla, in mezzo agli schiamazzi, in mezzo ai colori della notte. Mi feci spazio tra un gruppo di ragazzi, nessuno sguardo era come il suo, nessuna risata. E annaspai per trovarlo, ma anche credendo di averlo trovato. Non c'era, lui. Chissà dov'è, anche adesso. Chissà quale voce e quali occhi cercavo. Chissà. Sotto questo cielo, mi dissi, dovrà pur esserci, ma non qui, non su questa spiaggia questa notte. Mi misi a sedere, di nuovo, e alzai gli occhi. Una stella cadente. Desiderio espresso con la consapevolezza che non si sarebbe avverato.
Le ore passarono lente quella notte, finchè non fu quasi l'alba. L'ora della quasi alba la riconosci, quando la natura riprende a pulsare, quando il silenzio notturno dei pensieri viene coperto dal rumore della quotidianità. Mi bastò poca luce per scorgere una bottiglia di vetro tra la sabbia. La presi e me la misi davanti agli occhi. Vidi il mondo deformato e verde ed in quel momento mi chiesi come sarebbe il mondo visto da altre prospettive. Magari prospettive con un volto e un nome. Una prospettiva con due occhi dove perdersi e due mani a cui aggrapparsi. Magari il mondo visto dalla Tua prospettiva. Ma non sapendo chi sei, cosa fai, dove lavori, o se studi, come ami, se ami, come ti vesti, cosa pensi guardando il mare, se ami l'inverno o l'estate, se la sera prima di dormire leggi un libro o guardi la TV, non lo posso sapere. E allora mi venne un'idea. Presi della carta, quella che trovai tra la tanta spazzatura disseminata tra quei teli coperti dalla sabbia di una notte intera. E scrissi, Scrissi il mio nome con del carbone in cui la legna si era trasformata grazie al fuoco. Scrissi il mio nome in caratteri poco ordinati, come me, come i miei pensieri. Scrissi il mio nome, si, e lo sistemai per bene dentro quella bottiglia. E la affidai al mare, mi affidai al mare. Mi feci cullare dalle onde e sballottare dalle tempeste, per Te. Regalai alla brezza marina i miei sogni, le mie domande, le mie speranze, le mie inquietudini, perché te le portassero. E' questo il mio messaggio per Te. Sono Io, il mio messaggio per Te, dovunque tu sia, chiunque tu sia. Mi affidai al mare, per Te. Mi strinsi le braccia intorno al busto scostando i capelli che si impigliavano tra le ciglia a causa del vento. E guardando l'aurora, vidi allontanare un parte di me tra gli abissi del mare. La vidi allontanare e pregai perché fossi tu a trovarla.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 24, 2015 ⏰

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