TRE

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"Mamma io esco!"

Erano le cinque del pomeriggio e come al solito sarei uscita con le mie amiche Sarah e Julia.

"Mi raccomando Kim cerca di tornare in tempo per la cena e...stai attenta!"

"Si si mamma non ti preoccupare. Ciao ciao".

Gennaio, erano le cinque del pomeriggio e fuori era già buio e freddo: tipica giornata invernale di chi vive in città.

L'odore di asfalto bagnato, un odore che sembrava quasi rassicurante.

La nebbia che copriva le strade della città, piene di macchine e di semafori rossi.

Era l'ora di punta, quando gli operai uscivano dalle fabbriche, le segretarie, i commercialisti, i notai dai loro uffici.

Tutti impazienti di tornare a casa dove probabilmente li stavano aspettando mogli o mariti, fidanzati o amanti, bambini che non desideravano altro che papà o mamma tornassero a casa per giocare con loro.

Come tutti i pomeriggi ci incontravamo per passeggiare nella piazzetta della nostra città.

"Ehi ragazze stavo pensando, chissà come saremo da grandi, se saremo ancora amiche, se finalmente Enri si accorgerà di me e ci sposeremo!"

"Julia abbiamo solo 15 anni, ancora dobbiamo finire la scuola e... Enri non ti sposerà mai se non ti decidi a dirgli che sei pazza di lui dai tempi delle elementari!"

"Grazie eh Kim sempre positiva come al solito!"

Julia era la mia migliore amica.

L'avevo conosciuta alle elementari ed era stato amore a prima vista.

Julia aveva la faccia da classica brava ragazza, quella della porta accanto.

Aveva i capelli leggermente mossi e neri che le toccavano a malapena le spalle, era minuta e magra e per questo la prendevamo sempre un po' in giro.

Io non ero una che si apriva facilmente alle persone, con lei invece avevo un rapporto speciale.

Quando tornavamo a casa da scuola, passavamo ore intere al telefono a parlare di quello che era successo a scuola, degli insegnanti, dei ragazzi.

Mi piaceva perché nei suoi discorsi c'era sempre quel pizzico di ingenuità e positività in tutto ciò che diceva, proprio quello che a me invece mancava.

Io ero la negatività fatta persona, la pessimista più pessimista che abbia mai conosciuto.

Essere pessimisti per me era come avere un salvagente mentre sei su una nave che sta affondando, un paracadute mentre ti lanci nel vuoto a caduta libera, insomma essere pessimisti per me era difendermi dal male, da un eventuale delusione, prepararmi psicologicamente al disastro, che se andava bene meglio, se invece andava male ero già preparata. Lo so, è un pensiero alquanto contorto ma io sono fatta così.

Ricordo una frase di un libro di Fabio Volo che diceva:

"Sono fatto così: devo immaginare sempre il peggio, per poter sviluppare gli anticorpi con cui affrontarlo qualora si dimostrasse vero".

Ecco questa frase ci aveva preso in pieno, rispecchiava perfettamente quella che ero io.

Sarah era la mia compagna preferita all'asilo.

Era una di quelle persone buffe, sempre allegre, chiacchierone, che quando cominciava a parlare non la smetteva più.

Lei non era una che programmava ma viveva così, alla giornata, quello che succede  succede e va bene lo stesso.

Sarah aveva i capelli lisci di un biondo cenere che le incorniciavano il viso paffutello e furbo.

Aveva un grande neo proprio accanto al naso che si intonava alla perfezione al suo incarnato scuro.

"Ehi ragazze, avete sentito che Jemie della 3b ha tradito il suo fidanzato e lui l'ha scoperta proprio mentre....mentre...beh avete capito!! Che figura!"

Sarah amava i pettegolezzi, una notizia non faceva in tempo a girare che lei la sapeva già e non vedeva l'ora di raccontarcela.

"Ma voi dite che dovremmo anche noi...cioè dico, non è arrivato il momento di fare anche noi l'amore con qualcuno?"

Julia era seduta sul bordo della panchina che si rigirava i capelli tra le dita e sognava di farlo per la prima volta con Enri.

Aveva avuto diversi ragazzi lei, ma mai con nessuno era andata troppo oltre.

"Io non so se ne sarei capace, cioè voglio dire sarei impacciatissima e mi vergogno anche un sacco. E se poi fa davvero così male come dicono?"

Sarah seduta sulla panchina vicino a Julia diceva la sua, come al solito a lei non interessava molto parlare di ragazzi, lei stava bene così, con le sue amiche.

Aprii la mia nuova borsa viola piena di spille comprate a ogni gita scolastica, mi piaceva avere un ricordo di qualsiasi cosa avessi fatto, di qualsiasi posto avessi visitato.

Tirai fuori un pacchetto di Philips Morris blu, l'accendino e accesi una sigaretta.

"Ehi Kim, ma che fai? Da quando fumi?" Julia mi guardava un po' perplessa e preoccupata.

"Già, non lo sai che fanno malissimo? E poi chi ti ha insegnato adesso a fumare?"

Sarah la seguì subito aumentando il carico.

"Beh l'ho visto fare a quelle della 3c e poi ormai lo fanno tutti che c'è di male! Fa anche un po' misteriosa non credete?" Dissi io, non credendoci molto.

L'avevo visto fare centinaia di volte a mia madre, avevo l'impressione che quelle sigarette mi dessero un'immagine più da dura, tenebrosa, da grande, da quella che può fare ciò che vuole.

In realtà non sapevo bene come si faceva, il sapore amaro del tabacco neanche mi piaceva molto.

Non feci neanche in tempo ad inspirare tutto il fumo che sentii il naso e la gola bruciare fortissimo e cominciai a tossire.

Alzai lo sguardo e vidi che le mie due amiche mi stavano fissando, ci guardammo e scoppiammo tutte e tre a ridere.

Quelle risate che quando cominci non riesci più a smettere, con la pancia dolorante  e gli occhi pieni di lacrime.

DIETRO LE QUINTE DI UN MONDO PERFETTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora