Capitolo nono. I pezzi che ci compongono

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Una, due, tre volte. Per tre volte sentii insistentemente il calore di dita sulla mia guancia arrossata dal pianto di rabbia.
Non riuscii ad aprire gli occhi nemmeno quando quella mano fredda, che emanava comunque calore in contrasto col mio viso, si faceva spazio tra i miei capelli e il mio collo bollente.
Sentivo di dare le spalle a quella figura che, nonostante i miei indecifrabili rifiuti, era ancora lì.
Non provavo paura, nemmeno timore né tantomeno fastidio dalla sua presenza.
Sapevo bene che non si trattava di mia madre, lei mi avrebbe lasciata dormire a lungo, soprattutto dopo una giornata lunga. Non poteva trattarsi nemmeno di mia sorella, quelle mani erano troppo grandi per essere le sue e di certo avrebbe fatto dispetti non vedendomi reagire.
Invece io rimanevo nel mio letto, ancora vestita come la sera precedente nel mio abito bianco lungo fino a metà coscia, senza le coperte. O almeno così credevo. Aprendo leggermente un occhio, notai le lenzuola poggiate sinuosamente sul mio corpo. Sentivo freddo ma quella figura era ancora lì ad accarezzarmi.
Non sapevo di chi potesse trattarsi ma era comunque un piacevole buongiorno.
Il sole penetrò dalla finestra attraverso le tende. Lo sentivo pesante sulla mia faccia, tanto che mi fece gemere e strizzare gli occhi dal fastidio. Dovevo essermi riaddormentata.
Non sentivo più quella mano. Nemmeno riuscivo a constatare se la figura potesse trovarsi ancora nella mia stanza lontana dagli occhi di mia madre. Realizzai che poteva essere pericolosa. Mi strinsi tra le coperte ancora di più, prima di voltarmi verso la porta.
Al primo tentativo di aprire gli occhi scorsi una figura sbiadita ai piedi del mio letto a una piazza e mezzo.
Cominciavo ad avere timore.
Al secondo tentativo realizzai chi avevo davanti e dentro di me si formarono innumerevoli sentimenti: odio, tristezza, disgusto, tranquillità, protezione, calore...
Douglas.
"Tu cosa ci fai qui?" chiedo ritraendo le gambe al grembo, mettedomi seduta.
"Buongiorno." mi sorrise... Di nuovo quel sorriso.
"Ti ho fatto una domanda."
Corrucciò la fronte e rispose. "Ti ho portato la colazione."
"Mia madre sa che sei qui?"
"No, sono entrato dalla finestra."
Lo guardai con aria interrogativa. "Certo che lo sa. Ma l'idea di entrare dalla finestra non mi dispiace affatto."
"Sei un avvocato, dovresti avere un certo contegno, Miller." ironizzai.
Non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, anche se c'erano pochi motivi per esserlo, infondo non aveva detto cose insensate.
"Beh sai, io volevo farmi perdonare." sospirò.
"Ma poi stamattina ho buttato la gomma da masticare nel cassonetto e ho visto le rose."
Vedrai anche la colazione, pensai.
"Ero arrabbiata, scusa. Erano belle, comunque."
Si strinse nelle spalle e mi invitò a mangiare ciò che mi aveva portato.
Semifreddo alla frutta e cappuccino, senza vaniglia per me.
"Sei stato gentile."
Effettivamente lo era stato, ma volevo sapere di più riguardo il giorno prima. Ero tentata dal chiedere qualcosa ma alla fine la curiosità vinse, maledetta curiosità.
"Dunque..."
Mentre cercavo di parlare lui parlò in simultanea, interrompendomi. Come se quello che dovesse dire fosse di gran lunga più importante.
"Mi dispiace, davvero. So che mi hai visto ieri."
Certo, che l'avevo visto. Come dimenticarlo.
"Volevo chiedertelo, infatti. Valerie sta con te?" che razza di domanda, era ovvio,
"Da un po' di tempo, non viviamo insieme però."
"Come l'hai conosciuta?" chiesi mentre addentavo il mio semifreddo.
Sembrava di assistere al cinema e la mia colazione erano i pop-corn.
"Ho iniziato come avvocato divorzista. Ci siamo conosciuti, frequentati e dopodiché ha voluto che io smettessi di fare quel lavoro e intraprenderne un altro. Fare l'avvocato è sempre stato nei miei progetti di vita futura, non potevo immaginare di non assistere le persone, così ho parlato con mio padre e mi ha permesso di lavorare al suo fianco per qualche tempo."
Invece che ad una donna, piace ad una ragazzina, contenta? dovevo scacciare i miei dannati pensieri.
"Ma tu non sei felice. Non vuoi tornare a fare quello per cui ti eri laureato?"
Sospirò e sorrise. "Attenta a non rovesciare tutto."
Involontariamente mi ero quasi versata il cappuccino addosso, ero veramente presa da quella storia. Risultavo a me stessa essere masochista, come se volessi a tutti i costi sentire ciò che mi avrebbe fatto stare male.
Osservavo meglio Douglas alla luce del sole freddo di quella mattina di ottobre.
La sua barba curatissima era più corta del solito, i capelli avevano qualche riflesso rosso e... lo adoravo. Avrei voluto passare le mani fra quei capelli centinaia, migliaia di volte. Forse Valerie lo faceva già, dopo di aver fatto l'amore o, ancora meglio, al suo risveglio.
"Tutto bene?" mi fissò preoccupato.
Ed io, imbambolata annuii.
"Ti va di venire nel mio studio? Vorrei che tu veda come procedono i lavori, e se vuoi darmi qualche consiglio beh, è sempre ben accetto." mi fece l'occhiolino.
"Certo, dammi dieci minuti."
Con Douglas fuori, avevo tempo per scegliere e provare vestiti come in un negozio.
Non amavo le cose troppo raffinate ma adoravo essere in ordine.
Un paio di pantaloni bianchi e una camicetta con le maniche a tre quarti furono la mia scelta.
La mia doccia non durò molto, ma i dieci minuti prefissati erano ormai un miraggio.
Non se ne sarebbe accorto, e poi non era un appuntamento, pensai.
Vestita, profumata e in ordine l'ultimo step era quello di tornare in salone dove ci sarebbe stato lui ad attendermi.
Mi imbattei in un sonoro dialogo fra mia madre e la statua greca che mi chiedeva consigli sul suo studio.
"Ho già avvisato io tua madre." Davvero premuroso.
"Diane, non fare tardi. Vorrei passare al concessionario davvero, oggi,"
"Avete già qualcosa in mente? Mio fratello è il proprietario di un concessionario alle porte della città, potrebbe farvi un ottimo prezzo.", azzardò Douglas.
"Beh, nulla di speciale. Non ci avevo ancora pensato, veramente."
"Comunque, grazie mille Douglas. Sei davvero un caro ragazzo."
Le parole caro ragazzo fecero arrossire Douglas. Se davvero fosse bastato così poco...
Per tutto il viaggio in machina lui non fu di molta compagnia, ma la comodità della sua BMW era straordinaria, così come l'impianto stereo. Lo adoravo.
Quel giorno imparai anche il nome del ragazzo dell'ufficio informazioni, quando il mio avvocato lo salutò.
Ethan. Semplice, come immaginavo.
Douglas mi fece strada, anche se la conoscevo molto bene.
Scrutai ogni angolo del suo studio ancora in manutenzione.
"Ho intenzione di... Intensificare il tutto.", mi guardò con aria provocante posando una mano chiusa in un pugno sulla scrivania un po' impolverata.
"Illuminare.", aggiunsi io spostandomi verso la lunga finestra verticale che si affacciava sul panorama di Roseville.
"Ravvivare.", Douglas camminò lentamente verso di me, fissandomi.
In quel momento sentivo le mie gambe cedere e avevo totalmente perso la cognizione della realtà.
Tutto ciò che volevo fare in quel momento era abbracciarlo e tenerlo stretto a me, anche se ciò non era possibile. Sentivo ancora la sua mano liscia su di me e quel pensiero mi scosse leggermente.
Ripercorse con il dorso della sua mano i lineamenti del mio profilo, poi la aprì e la mise dietro la mia nuca.
"Diane..." sospirò.
"Pensavo che magari potessi mettere quei quadri sotto forma di puzzle, hai presente?"
Mi ritirai velocemente per evitare di passare al peggio. Sentivo che era dietro l'angolo e io, per la prima volta, non pensavo di resistere così tanto ad un ragazzo. Un uomo.
Annuii ad ogni mia richiesta e solo dopo un paio d'ore, uscimmo dal suo studio diretti a casa mia.
"Spero tu sia stata bene, e perdonami ancora non volevo spaventarti quando mi sono avvicinato così." abbassò lo sguardo.
Ero tentata dal dirgli che provavo qualcosa che probabilmente superava il limite. Ma non lo feci, non volevo rischiare di perderlo. Non così.
Mi sarei accontentata della sua amicizia, se di amicizia si trattava.,.
Mia madre uscì in quel momento, così mi diressi a salutarla.
"Andiamo, tesoro."
"Ciao!" Douglas era così felice di vedere Hazel che lei gli saltò subito in braccio, con mia grande sorpresa.
"Vi faccio strada, se per voi va bene."
"Sarebbe un grande piacere." mia madre lo adorava, e come biasimarla.
L'edificio si mostrava imponente ed enorme. Centinaia di auto di ogni tipo erano lucidate ed esposte al coperto.
Un ragazzo dai capelli rossicci, ci venne incontro. Per primo salutò Douglas.
"Questa è Diane e loro sono sua madre e sua sorella."
Il ragazzo annuii come se sapesse perfettamente chi fossimo.
"Io sono Kristian, è un piacere avervi qui."
"Cerchiamo un'auto per Diane." esortò mia madre.
"Bene, hai qualcosa in mente?" era molto gentile e a tratti, fisicamente somigliava a Douglas.
"Beh, non ci ho pensato veramente ma adesso che vedo quella... Mi piace, sì."
Dissi indicando una macchina a tre porte color crema.
"Ottimi gusti! È la Mini Cooper S. Vieni, ti faccio vedere."
Osservai e scrutai gli interni di quel ben di Dio e più la guardavo e più me ne innamoravo. Chissà quanto doveva costare a mia madre. Potevo anche optare di qualcosa di più semplice.
"La prendiamo." sorrise lei, raggiante.
"Mamma, costerà una fortuna." Sussurrai piano.
"Non importa, è ciò che meriti. Il nostro regalo per il diploma."
Sapevo bene cosa intendeva per nostro.
Sapevo che sarebbe stato fiero di me, se fosse stato lì.
Douglas mi sorrise di nuovo e in quel momento, mi sentii completa. Di nuovo, dopo tanto tempo.

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