That eyes.

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Il traffico di Manhattan sovrastava il rumore dei miei tacchi color panna.
Le persone passavano indifferenti accanto a me, urtandomi le spalle di tanto in tanto. Correvano frenetiche da un negozio all'altro, dopotutto mancava solo qualche settimana a Natale. Indaffarate com'erano, non si rendevano conto delle loro spese inutili. A cosa potevano servire regali di latta e di lustrini, cose futili che con il tempo sarebbero diventate inutilizzabili? Non capivano ció che contava davvero, e non sarebbe stata di certo una 22enne come me a convincerli.
Guardai il mio riflesso su una vetrina: il cappotto beige era bagnato dalla pioggia che cadeva lenta e lieve. Il cappello di lana nero non riusciva a nascondere i miei lunghi capelli rossi che cadevano a boccoli sulle spalle.
I miei occhi verdi diedero un ultimo sguardo veloce al mio riflesso, per poi tornare a concentrarsi sui marciapiedi sudici.
Salii la scalinata della biblioteca, nel frattempo togliendo il cappello di lana. Il silenzio all'interno dell'edificio venne squarciato dal rumore che la porta provocó. L'anta di legno faticava a scorrere sulla superficie ruvida del pavimento bagnato dalla pioggia. Appena entrai un piacevole torpore mi portó via dal gelo dell'inverno, seguito da un familiare odore di muffa e libri.
Tolsi il cappotto e i guanti, tenendoli in mano. Mi diressi verso la saletta per la lettura, e appoggiai il tutto su una delle sedie.
Lessi accuratamente i titoli dei libri sugli scaffali. Ne presi uno, e mentre stavo per andare a sedermi, un libro incastrato fra gli scaffali richiamó la mia attenzione. Mi girai di fianco, protesi il braccio senza riuscire a vedere e affidandomi al tatto.
Riuscii a sentire le pagine sottili, e attraversai con le dita tutta la superficie del libro per capire come prenderlo. Ad un tratto la copertina rigida si interruppe e una morbida mano si agganció alla mia. Il suo palmo emanava un calore indescrivibile, mentre le sue dita affusolate esploravano le mie...un brivido mi percorse la schiena, facendomi tirare indietro di scatto. Cercai il proprietario della mano e, dall'altra parte dello scaffale, due occhi color mandorla ricambiarono il mio sguardo.

Entrai nel mio bar preferito, vicino al centro. Un profumino di brioche alla crema e caffè mi accolse, portandomi a chiudere gli occhi e inspirare profondamente.
Mi diressi in un tavolino isolato, dove di solito leggevo o chiaccheravo con la mia migliore amica America, che lavorava lì come cameriera. Dopo essermi seduta e aver tirato fuori il libro, cominciai a pensare, osservando un punto indefinito della copertina.
Era passata una settimana da quell'incontro in biblioteca. Non ero riuscita a vedere quel ragazzo. Appena girai l'angolo dello scaffale, lui era già sparito. L'unica cosa che avevo visto erano due grandi occhi marroni e un ciuffo di un colore un po' più scuro.
La voce di America mi riscosse dai miei pensieri.
«Holland, ma ci sei?» mi chiese, sventolandomi una mano davanti alla faccia. Alzai lo sguardo verso di lei, notando che i capelli marroni erano leggermente più corti.
«Da quando ti sei tagliata i capelli?» chiesi, mentre lei appoggiava il mio latte sul tavolo. Ormai me lo portava sempre, non serviva che lo ordinassi. Dopo essersi sistemata il grembiule, parló.
«Da un paio di giorni, mia acuta osservatrice» I suoi occhi nocciola si spostarono fra i tavoli del bar. «Peccato che tu stia sempre a pensare al tuo principe dei libri.» Incroció le braccia e scosse la testa sorridendo, per poi andare al bancone a servire i clienti. Io presi a sorseggiare il mio latte, quando vidi la porta aprirsi e per poco non mi strozzai.

Il ragazzo si guardó intorno distratto, per poi soffermare di colpo lo sguardo su di me.
Il mio cuore acceleró e mi bloccai. Riconobbi subito quegli occhi.
Aveva un volto particolare, affascinante e intrigante, con un'espressione seria mentre si passava una mano fra i capelli marroni. Arguto, sensibile, indipendente, dolce: tutto allo stesso tempo.
Decisi di distogliere lo sguardo, mettendo il libro davanti a me per permettermi di non vederlo. Continuai comunque a guardarlo di sottecchi.
Si avvicinava al mio tavolo, e quando si sedette di fronte a me, abbassai il libro. Il ragazzo aprì la bocca.
«L'ho letto, è molto bello.» disse con una voce calda, riferendosi indubbiamente al libro che avevo in mano. Stavo per rispondere, quando arrivó America.
«Prendi qualcosa?» chiese la mia amica al ragazzo appena arrivato.
Lui si grattó il mento, guardando il soffitto.
Approfittai del momento per osservarlo meglio. La mandibola era punteggiata da piccoli nei, che continuavano sul collo e scendevano fino al petto, coperto purtroppo da una camicia.
«Lo stesso» disse infine, indicando la mia tazza. «Grazie.»
America guardó prima me, poi lui, con un'espressione accigliata.
«Non so se te ne sei reso conto, ma quello è latte chai alla cannella» lo informó la mora con una smorfia. «Una schifezza, in poche parole.»
Il ragazzo sorrise, divertito. «Assaggiamo, allora.»
America roteó gli occhi e andó a dare l'ordine.
Rimasimo in silenzio finchè la mia amica non tornó con la tazza e si allontanó di nuovo.
«Non sapevo che fossi una ragazza da latte chai alla cannella.» Si rivolse a me lui, sorridendo.
«E io non sapevo che fossi un ragazzo che non si presenta, ti ricordo che non mi hai ancora detto il tuo nome» gli dissi. «Ma dopotutto, io non so niente di te. Potresti anche essere uno stupratore seriale che vuole violentarmi.» aggiunsi bevendo un sorso.
«Giusto, per questo sto bevendo il tuo stesso latte. A detta della tua amica, mi sto suicidando.» Quel ragazzo sprizzava sarcasmo da tutti i pori.
Ridemmo insieme, poi lui mi tese la mano.
«Dylan O'Brien» afferrai la sua mano, e quel contatto mi ricordó il libro incastrato fra gli scaffali, quando le mie dita incontrarono le sue per la prima volta.
«Holland Roden» dissi sorridendo, e sciolsi la presa.
Dylan bevve un sorso del latte, io osservai il pomo d'Adamo andare su e giù mentre deglutiva.
«Devo essere sincero?» mi chiese sorridendo e passandosi una mano fra i capelli.
«Devi essere sincero.» ripetei appoggiando i gomiti sul tavolo e tenendomi il mento fra le mani.
Ci pensó per qualche secondo, forse valutando il modo migliore per dirmi che faceva schifo.
«Sa di vomito di unicorno.» Annunció infine ridendo. Mi aggiunsi anch'io, e le nostre risate risuonarono nel bar.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 27, 2016 ⏰

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Sarcasm is my only defense / Dylan O'BrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora