INTRODUZIONE I

61 4 1
                                    

Il martello battè ancora una volta sulla parte liscia dell'acciaio ancora incandescente e dalla bocca della mazza da fabbro vennero sprigionate scintille blu, gocce di sudore scendevano dalla fronte del Fabbro e bagnavano la sua barba arancione, i muscoli grossi mostravano le vene e sentivano l'affaticamento di quel colpire per la forgiatura, i peli delle braccia erano bruciacchiati e la fucina era impregnata di calore, gli occhi verdi del fabbro erano socchiusi a causa della forte luce che l'arma emetteva, sul braccio sinistro erano tatuate le lettere ŒF che secondo la tradizione del popolo del Fabbro, alla nascita, vengono segnate sulla pelle le ultime quattro lettere del nome del capostipite della famiglia di appartenenza se si è di casata plebea, le ultime tre se si è di casata nobile, le ultime due solo per famiglie importanti e di buoni rapporti con i sovrani e l'ultima solo per le 26 famiglie che costituiscono le casate regali e più importanti della razza. Il Fabbro diede un ultimo colpo di martello e lo poggiò a terra, poi distese le mani sull'arma e pronunciò la frase:
-Ëki Rutrûmë cuntrûf Efi, Ëki Rutrûmë Rep Evi, Intrum Qœstï Rutrûmë Shmi Raccide Äki Magïi Naië Näo Pupulï Naië Näo Därum-
Ecco che una forte luce bianca rivestì l'arma e dal petto del Fabbro uscì un fumo nero che venne assorbito dalla lama e il Fabbro si sentì leggero come se una parte di lui, una parte malvagia gli fosse stata strappata via, sul manico in legno e ferro comparvero le rune della frase pronunciata dello stesso colore dei suoi occhi e iniziò a provare solo pensieri di gioia, tutto attorno a lui apparve più limpido e più nitido, il frusciare delle foglie e il cinguettare degli uccelli non gli erano mai sembrati più belli, il rumore del torrente era come il suono di cetra e il frinire di un grillo era una lode alle bellezze della natura, prese una pipa e si sedette su una sedia a dondolo, la accese e iniziò a tirare lentamente e ritmicamente, la pipa aveva il bocchino in osso di cinghiale e la testa e il fornello in legno di bosso. fece disporre una tavolata per un sontuoso banchetto, i garzoni misero a terra le tenaglie, i martelli, le pialle e presero flauti, dulcimer e ghironde per far musica, altri prepararono il bivacco per la sera e venne scelto il montone più in salute e in carne, sarebbe stato mangiato con l'osso, sui tavoli vennero disposti boccali di birra di frumento, altri servi lodarono l'opera del fabbro e per quel giorno fu fatta festa.
Al calare della sera il Fabbro fece chiamare il più giovane dei garzoni e gli porse una lettera da portare al villaggio più vicino e di consegnarla al Rûm cioè il capovillaggio, inoltre gli disse di prendere il pony più veloce e di non fermarsi fino all'arrivo, tra i pony venne scelto il primo maschio nato nella stagione il cui nome era Zöcve, esso era tra tutti il più lesto e resistente.
Il giovane garzone per raggiungere il villaggio avrebbe dovuto soltanto scendere per il sentiero che portava fino a valle, guadare il torrente Varanchë e continuare per due miglia soltanto. Per arrivarci impiegò tutta notte.
Come uso comune della razza il villaggio era costruito dentro una grotta naturale illuminata da dei lampadari lunghi cinque passi e alti sette, il garzone contò dieci lampadari e approssimò che la distanza l'uno dall'altro era di circa venti passi, non sapendo dove andare chiese informazioni a un anziano il quale gli disse che se avesse osservato meglio la roccia della caverna si sarebbe accorto che era a forma di U e che le case erano disposte una di fronte all'altra scavate nella roccia e ognuna era posizionata tra due lampadari quindi in tutto erano venti dimore, il vecchio inoltre gli disse che la casata del Rûm si poteva trovare solo in una zona diverse dalle singole case plebee quindi data la conformazione della grotta poteva solo essere sulla parete frontale e più interna rispetto all'entrata e non sulle pareti laterali.
Seguendo le informazioni ricevute non impiegò molto il giovane a trovare la casa del Rûm, davanti a lui si parò un portone in mogano e sui lati vi erano due colonne di pietra lavorata alte come un uomo adulto, esse erano tagliate orizzontalmente e levigate formando una parte superiore piatta e liscia, qui erano incastonati due crani d'orso con le fauci aperte dalle quali uscivano due torce che illuminavano lo stendardo che copriva il portone e partiva dallo stipite di esso, sopra lo stendardo era raffigurata un'ascia circondata da un alone bianco la quale era situata sopra una nuvola nera come la pece.
Il garzone battè contro il portone ma esso rimase chiuso.
-Chi batte alla mia dimora e viene a disturbare il mio silenzio? Daart verifica se l'ospite sarà degno di entrare oppure no-
La stanza era completamente avvolta nell'oscurità e un'inquietante silenzio aleggiava in quell'aula.
Daart aprì uno spioncino nella roccia che gli permetteva di controllare chi ci fosse fuori senza poter essere visto a sua volta:
-annunciati straniero, quali nuove porti?-
- sono Harelir della casa dei Elir, mi manda il Fabbro a consegnare una lettera al vostro Rûm, difatti sono un suo garzone-
Daal richiuse lo spioncino e andò a fare rapporto al Rûm
- È un garzone del Fabbro, annuncia di voler consegnare a voi una lettera, afferma di essere della stirpe dei Elir, sono plebei cosa facciamo?-
Dunque il Rûm si alzò dal trono e levò il braccio e con forte voce ordinò:
- che i servi dispongano uno sgabello per l'ospite e che altri gli servano del cibo cosicché egli possa rifocillarsi, che i musicisti riprendano a suonare e le danzatrici una volta udito il suono dei musicisti riprendano a ballare, convocate i mastri fuochisti i quali desidero accendino tutte le torce e ogni fonte di illuminazione possibile, che essi illuminino la statua di zaffiro del dio Mïr e i bardi cantino lodi a lui e lo esaltino, il tempo di silenzio è finito, che in questo palazzo ci sia motivo di festa, così ho detto!-
Udite queste parole i servi presero lo sgabello intagliato dal miglior falegname del paese e lo disposero di fronte al trono, i musici si alzarono e presero i loro strumenti: chi prese i violini, chi i gozzer, chi i tamburi e chi i corni ed essi iniziarono a suonare melodie di festa.
Così le danzatrici una volta udito il suono dei violini, dei gozzer, dei tamburi e dei corni presero a ballare.
I mastri fuochisti dunque accesero tutte le torce e ogni fonte di illuminazione possibile come era stato desiderato ed essi illuminarono la statua di zaffiro del dio Mïr, essa era alta dodici piedi, la statua era stata intagliata in modo che il dio fosse in una posizione seduta con i palmi aperti levati al cielo, il volto aveva una barba fatta di ghiaccio e dai lati della testa uscivano delle corna alte quindici piedi della forma di quelle bovine e alla statua si avvicinarono i bardi i quali come era stato ordinato innalzarono lodi e lo esaltarono.
La stanza si riempì di rumori festosi, risate di ogni genere e colori vivaci, le pareti di destra presentavano camere da notte e armerie con tanto di fucine, quelle di sinistra avevano scavate dei magazzini, dispense e cucine.
Harelir venne accompagnato da due guardie con lancia, uno scudo lucidato di forma ottagonale e un elmo a maschera.
La dimora era estesa per il lungo probabilmente profonda più di un miglio, le colonne che sostenevano il soffitto erano lavorate e con due file formavano un corridoio centrale che portava a una scalinata, una volta salite le scale Harelir si trovò davanti a una piattaforma sospesa probabilmente sorretta da colonne che non era possibile vedere.
Sulla piattaforma erano disposti tre troni uno centrale imponente e due laterali rispettivamente a destra e a sinistra, sopra ogni trono: pendevano da dei balconi che univano le fila di colonne,fermandosi due o tre piedi sopra i questi, gli stessi stendardi di quello sul portone d'entrata.
- Fatti avanti aiutante del Fabbro e siedi su quello sgabello cosicché i servi possano portarti del cibo e tu possa rifocillarti e riposarti-
Disse colui che sedeva sul trono centrale, Harelir obbedì e sedette sullo sgabello come era stato ordinato, dunque quattro servi uscirono da una cucina della parete di sinistra ciascuno con un vassoio riempito di pietanze: tuberi,maiale allo spiedo, formaggio stagionato e rene di bue, inoltre uscì un quinto servo con un boccale di birra di malto da due litri ed essi lodarono il Fabbro e lo servirono.
-Chi è il Rûm signore di questo villaggio?-
Chiese Harelir
-colui che è seduto avanti a te è il Rûm del villaggio e signore del monte Shart, il nome che possiedo è Tuckt della stirpe di Bisht della casata dei T, quello che siede alla mia destra è mio figlio Shagânt e quello che siede alla mia sinistra è Daart figlio di Shagânt e mio nipote-
Disse quello seduto sul trono centrale: era pelato, una cicatrice gli tagliava in diagonale il cranio e passava per l'occhio sinistro addirittura lasciando un segno visibile sulla barba bianca che arrivava sopra i pettorali, la corazza era fatta di scaglie di drago nero delle Terre del Nord, il mantello era color scarlatto e sulla parte inferiore fatto a brandelli.
-mi ha mandato il Fabbro per consegnare a voi questa lettera-
Harelir consegnò la lettera direttamente in mano a Tuckt e riprese a mangiare

VENGO A VOI CON INFAUSTE NOTIZIE, VENTI LEGIONI DI GOBLIN SONO STATE AVVISTATE DALLE MIE SPIE UNA CINQUANTINA DI CALAR DI LUNE FA' E CHE SI AVVICINAVANO A PASSO SPEDITO VERSO IL MONTE SHART, APPENA RICEVERETE QUESTA LETTERA SIGNIFICA CHE LA FORGIATURA DI TELIS È CONCLUSA
IN LEI HO RIVERSATO TUTTA LA MAGIA DEL NOSTRO POPOLO, VA DETTO CHE ANCHE TUTTE LE CREATURE DEL MALE SONO ATTRATTE DA ESSA PER NATURA PERCHÈ IMPREGNA DENTRO SE OGNI TIPO DI MALVAGITÀ, A QUANTO PARE SPIE DEL MALE SONO VENUTE A CONOSCENZA DEL PERICOLO CHE L'ARMA RAPPRESENTA PER LORO, DIFATTI SE DOVESSE FINIRE TRA LE LORO GRINFIE L'UNICA SPERANZA DI PURIFICARE ERAWAR SARÀ VANA. RADUNATE LE 7 FAMIGLIE DEL VILLAGGIO, OGNUNO CHE POSSA BRANDIRE UN'ARMA VENGA, HO AVVERTITO GIÀ LE DINASTIE DI DURINNEN DELLA CASA DI N E DI ALVISSES DELLA CASA DI S.
LORO CI ASPETTERANNO AL PASSO DEL SOLE MORENTE CON DUE ESERCITI FORMATI CIASCUNO DA DUEMILA UNITÀ, IO VI ASPETTERÒ LÌ E SE MÏR LO VORRÀ ALLA FINE DELLA BATTAGLIA SARÀ INCORONATO UN SOVRANO CHE UNIFICHI TUTTE LE CASATE SOTTO UN UNICO STENDARDO.
CON SPERANZA LONARDŒF

Allora Tuckt si alzò dal trono e alzando il possente martello da battaglia che era poggiato alla spalla del trono gridò a gran voce:
- Che vengano pure quei bastardi, troveranno abbastanza ferro nanico che possa distruggerli! Chiamate il generale, affilate le asce, sellate i cinghiali e issate gli stendardi, all'alba scendiamo in guerra!!!-

L'Ascia del ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora