-Autobus e cuffiette-

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Le foglie, ormai ingiallite, iniziavano a cadere dai rami degli alberi attorno alla fermata dell'autobus, coprendo l'asfalto con un tappeto secco e scricchiolante.
Tristan aspettava ormai da un quarto d'ora il pullman, in ritardo come sempre, appoggiato a uno dei pali di ferro che reggevano la tettoia della pensilina. Teneva lo sguardo basso, per evitare il contatto visivo con i coetanei appena usciti da scuola. I lunghi capelli corvini spuntavano dal cappuccio della felpa nera e gli ricadevano sulla fronte, coprendo parzialmente i suoi occhi verdi. Vide i ragazzi attorno a sé concentrare le attenzioni verso la strada, così alzò appena il viso e si accorse dell'autobus in arrivo. Cambiò canzone dall' iPod che teneva nei jeans grigi slavati e salì sul mezzo, sedendosi al suo posto preferito, sulla destra, circa a metà del veicolo. Era stato il suo sedile da quando aveva iniziato ad andare a scuola e, ormai, ci aveva fatto l'abitudine. Con la testa appoggiata al finestrino, osservava la strada e gli edifici scorrergli davanti e, sporadicamente, guardava di sfuggita il suo riflesso pallido.
Dopo quasi venti minuti, scese alla sua fermata, per poi iniziare la camminata di un chilometro, verso casa. Camminava con le mani nelle tasche della felpa, guardando a terra e con il volume della musica al massimo, passando di fronte agli steccati delle piccole case malconce di periferia. Aprì il cancellino con una leggera spinta e entrò nel giardino dall'erba bruciacchiata dal sole, il quale durante l'estate aveva dato il meglio di sé, camminando lungo il vialetto di cemento e piastrelle crepate, fino ad arrivare alla porta di legno bianco, scrostata. Entrò in casa silenziosamente e salì le scale, con i gradini che scricchiolavano ad ogni movimento. Aprì la porta di camera sua e buttò lo zaino accanto alla scrivania. Dopo essersi chiuso dentro, aprì le persiane cigolanti e si buttò sul letto sospirando.
-Un'altra giornata è andata- mormorò sconsolato sfilandosi le scarpe.
Un'altra giornata noiosa e triste, come tutte le giornate della sua vita. Eleonor, sua madre, aveva instaurato un piccolo regime dittatoriale nella fatiscente villetta, sin da quando Tristan aveva iniziato a muovere i primi passi. Suo padre era chissà dove, mai conosciuto, forse morto.
Il ragazzo si spogliò e indossò una vecchia maglietta sbiadita, con i pantaloni del pigiama. Si sedette alla scrivania e iniziò a fare i compiti.
Un'altra giornata noiosa, triste, uguale a tutte le altre. Tristan non sapeva che, l'indomani, tutto sarebbe cambiato.

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