PROLOGO
La sveglia suona, senza pietà. Mal di testa e voglia di dormire: sono questi i suoi pensieri. Si alza piano, quasi come se le fosse impossibile farlo. Riesce a mettersi seduta, sbadigliano rumorosamente. Riesce a trascinarsi in bagno per sciacquarsi la faccia e pettinarsi. Ai denti ci avrebbe pensato dopo la colazione. La sua cucina è vuota; l'unico rumore a riempirla è il ticchettio dell'orologio appeso accanto al frigorifero.
Mette il latte a riscaldare e intanto ha il tempo di prepararsi delle gustose fette biscottate con burro e marmellata. Non le importava di ingrassare, tanto non aveva nessuno a cui dar conto del suo aspetto fisico.Accese la tv, l'unica cosa a farle compagnia. L'oroscopo delle sei del mattino era l'ideale. Non credeva in quelle sciocchezze ma sentire che le cose sarebbero andate bene le faceva piacere. Almeno quello.
Finì con calma la sua colazione e si accese una sigaretta, in tempo per vedere in tv le notizie del traffico.Dopo una doccia calda e rigenerante, si vestì piano, con un elegante gonna viola al ginocchio, una camicetta di una tonalità più chiara e dei tacchi piuttosto alti, senza esagerazioni. Accessori vari, tra cui orecchini, collana e orologio, dato che odiava i bracciali, ed iniziò a truccarsi. Una passata di mascara e un po' di blush per dare colore alle guance pallide.
Era una donna di venticinque anni, quasi ventisei, diventata apatica di botto. Era un'appassionata del trucco e degli smalti ma da un po' di anni, ormai, non le importava più di nulla. Per il suo lavoro, però, era costretta a darsi un minimo di tono, curandosi e truccandosi.
Prese la sua borsa di cuoio color marrone e si incamminò verso la porta, non prima di aver preso le sigarette, l'accendino e le chiavi dell'auto.
Si chiuse la porta alle spalle, dandole due mandate per chiuderla per bene.
Chiamò l'ascensore, non aveva voglia di farsi tre piani a piedi.
Entrò calma e premette il pulsante che la portava dritta al garage del palazzo. Una volta li, arrivò in fretta alla sua auto. Quel garage le incuteva sempre timore, forse per i troppi film visti, dove una povera ragazza veniva aggredita proprio in garage, sotterranei e via dicendo.
Neanche il tempo di infilare la chiave nel quadro d'accensione che le squillò il telefono. Rispose senza leggere chi fosse.''Dottoressa Lentini, con chi parlo?'' Mise il cellulare tra l'orecchio e la spalla, intenta a mettersi la cintura di sicurezza.
''Dottoressa un cazzo, ieri sera sei sparita!''
''Erika, cosa ci fai già in piedi?'' Continuò, facendo finta di niente.
''Ho un turno di mattina. Non cambiare discorso, che cazzo di fine hai fatto ieri sera?'' Continuò l'amica, urlando come una sirena.
''Sono tornata a casa, avevo mal di testa; dopo aver lavorato tredici ore è normale, non credi?'' Continuò con una calma estrema, accendendosi un'altra sigaretta.
''Non sparare stronzate, sei scappata appena il collega di Sara ti ha chiesto quanti anni avessi. Non puoi continuare a scappare appena un uomo mostra il suo interesse per te. Non è normale.'' La sua amica ci aveva azzeccato come sempre, maledetta.
''Uffa, ero semplicemente stanca, tutto qui.'' Continuò a mentire.
''Ok, allora stasera ci rivediamo? Sara potrebbe richiamare il suo amico. E' un bel professore di letteratura latina. E' colto, sexy, gentile.'' Tentò lei, invano.
''Allora escici tu, se ti piace cosi tanto.'' Alzo gli occhi al cielo, mentre controllava i capelli nello specchietto retrovisore.
''Oh Marika, andiamo, sono sei anni che non ti fai corteggiare da un uomo. Fallo per me!'' La pregò, e Marika già se la immaginava con le mani unite e in ginocchio.
''Erika, tutto dipende se stasera tornerò stanca o meno. Ti avviso io, promesso.'' Buttò la sigaretta e mise in moto, avviandosi lentamente.
''Giuralo. Fai un secondo giuramento di Ippocrate.'' Scherzò l'amica. Ormai non poteva farci niente. Sapeva bene che Erika l'avrebbe trascinata fuori di casa, se avesse detto di no.
''Ok, giuro. Ci sentiamo dopo, altrimenti arriverò in ritardo. Ciao!'' Aspettò la risposta della sua amica e mise giù.Mentre guidava, accese la radio e si trovò a pensare. Aveva ragione Erika. Erano sei anni, sei lunghissimi anni che non si faceva corteggiare. Sei anni che le birre se le pagava sola, cosi come anche i caffè e tutto il resto. Sei anni che non andava a ballare, sei anni che fumava come una turca. Sei anni che stava rovinando la sua vita. E ora si ritrovava a venticinque anni sola, in una casa in cui l'unica sua compagnia erano la tv e i libri, oltre ai cd. Aveva deciso di andare ad abitare da sola da poco più di due anni, quando ancora doveva finire di laurearsi ma comunque stava facendo la tirocinante, quindi veniva pagata ugualmente. Era ormai un medico a tutti gli effetti, un pediatra, e lavora in ospedale da appena sei mesi. Era soddisfatta sul lato lavorativo, ma era il lato affettivo che faceva sentire la sua insoddisfazione.
Arrivò in Ospedale, parcheggiò nel posto riservato ai dottori e si incamminò verso le porte del pronto soccorso. Le porte le si aprirono davanti, mostrandole la solita scena da oltre sei mesi: bambini urlanti con braccia e gambe rotte, donne incinte, reduci da qualche incidente stradale. Di tutto, insomma!Fu un piccino ad attirare la sua attenzione. Un piccolo di due-tre anni, con tantissimi capelli ricci, gli occhi di un colore chiarissimo e un sorriso smagliante. Era in braccio ad una giovanissima ragazza, sua mamma o sua sorella, probabilmente. Le ricordava tantissimo una persona di sua conoscenza.
Lo guardò attentamente, distratta solo da Carlo, il suo amico ginecologo.
''Ehy Marika, buongiorno!'' Era un bellissimo uomo, che toccava quasi i trentacinque anni, biondo e con gli occhi di un azzurro glaciale. Era perfetto, se solo non le facesse la corte, senza freni.
''Ciao Carlo, buongiorno.'' Rimase in silenzio, cercando di ignorarlo e infilandosi il camice con la targhetta che riportava il suo nome.''Allora, quando ce la prendiamo una birra insieme?''. Continuava ad insistere da un mese, tanto da far alzare al cielo gli occhi alla povera Marika, che ormai non sapeva più che scusa trovare.
''Carlo, stasera esco con le mie amiche, magari un'altra sera eh?'' Disse, sorridendogli e avviandosi verso il suo studio, nel pronto soccorso.
''Come vuoi, ma tanto prima o poi uscirai con me, me lo sento.'' Scherzò il dottore, pronto a prendere posto nel suo banchetto.
''Magari in un altra vita'', pensò Marika, tenendoselo giustamente per sé.''Avanti il prossimo!'' Urlò Marika, dalla sua postazione nel piccolo ufficio riservato al medico pediatra.
Sentì un lieve bussare, al quale gridò un ''avanti'' senza esitare, senza alzare gli occhi da un foglio, in cui c'era il referto di un esame di un bambino, che stava finendo di compilare.
''E' permesso, dottoressa?'' Chiese incerta, una voce femminile.
''Prego, si accomodi, finisco di scrivere una cosa e sono subito da lei.'' Continuò indicandole la sedia davanti alla scrivania.
Poco dopo alzò il capo, ritrovandosi davanti quella ragazzina con quel bambino cosi particolare. Per poco sussultò, notando la somiglianza del bambino con una sua conoscenza.
''Mi dica tutto.'' Fece, alzandosi per prendere un bicchiere d'acqua dalla piccola bottiglia che aveva dietro di lei.
''Ecco, mio figlio ha la febbre alta da quattro giorni, ha rigurgitato continuamente per due. Non so cosa fare.''
''Bene, me lo dia che lo metto sul lettino e lo visito.''
Prese in braccio quel bambino di due o tre anni e lo appoggiò delicatamente sul lettino, alzandogli la maglietta per sentirli il cuore e i bronchi. Si sentirono due tocchi alla porta e si sentì aprire.
''Scusami Roberta, ma non trovavo parcheggio.'' La voce le suonò stranamente familiare, sentendo un brivido lungo la schiena per pochi attimi.
''Sssh, siediti e sta buono, la dottoressa lo sta visitando.'' Sentì la sedia trascinata per terra e dopo di chè ci fu silenzio.
''Quanti anni ha il bambino?'' Chiese continuando a sentirli i bronchi e esaminandogli gli occhi.
''Due anni fra un mese.'' Rispose la giovanissima mamma.
''Bene, può venire a prenderlo, mentre io mi lavo le mani e le faccio la ricetta con i medicinali.''
''E' grave?'' Ancora quella voce, troppo familiare per i suoi gusti.Continuò a rimanere di spalle, mentre si lavava le mani.
''No, è solo la sesta malattia. La febbre alta, il vomito, sono tutti sintomi di questa malattia che in genere viene tra i sei mesi e i due anni d'età. Niente di grave. Per fortuna non ci sono segni di convulsioni. Qualche supposta e tutto andrà bene.''
''Bene, cosa devo prendere allora?'' La voce della mamma le fece capire che era ora di voltarsi.
''Due supposte di diazepam al giorno, mattina e sera, per cinque giorni, e tutto andrà per il meglio.'' Si girò e quello che vide la fece rimanere di sasso. Accanto al bambino e alla madre c'era lui: Victor. Era più adulto, le piccole rughe d'espressione accanto agli occhi lo dimostravano, aveva i capelli più corti, la barba e sotto la giacca di pelle portava un pantalone nero e una t-shirt dei Nirvana. Lo avrebbe riconosciuto anche tra miliardi di persone.Anche lui la guardò con attenzione, e notò le sue pupille che si restringevano sempre più.
''Le faccio subito la ricetta.'' Si mise a scrivere, con il capo chino e gli occhi fissi sulla penna. Chissà se l'aveva riconosciuta.
Dovette obbligatoriamente chiedere il nome del bambino.
''Co-come si chiama?'' Chiese, iniziando a tremare.
''Christian Santini.'' Rispose la madre. E fu in quel momento che tutte le certezze di Marika vennero spiazzate. Quel bambino, quell'esserino con i capelli ricci e gli occhi magnetici era suo figlio. Era il figlio di Victor.•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°
Spero vi piaccia il capitolo posto il secondo domani
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