Capitolo 3

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Ci vollero in realtà quasi 50 minuti per arrivare a destinazione; e mentre il bus correva a velocità sostenuta per la strada mi voltai per un istante a fissare lo scheletrico ragazzo occhialuto con uno sguardo di compassione: lo stare in piedi per così tanto tempo gli aveva reso la schiena così curva che sembrava stesse per spezzarsi; si teneva svogliatamente con una mano alla maniglia sul mio sedile, cambiando posizione e stiracchiandosi ogni tot minuti (non avevo idea di quanti fossero, e non stavo di certo a contarli). Quando attraversavamo una strada danneggiata con dei dossi o delle cunette il poverino batteva ogni volta la testa sul soffitto del veicolo; tentare di trattenersi dalle risate era inutile: molto spesso infatti dalla mia bocca, socchiusa in un'espressione appena sorridente (perché trattenuta a forza) ma beffarda, usciva un suono sordo, una risatina appena accennata perché soppressa sul nascere. E lui si voltava a fissarmi per un istante con disprezzo e sfida ogni volta che ciò accadeva; probabilmente stava supplicando mentalmente, tra sè e sè che io gli ridessi il posto come per ricompensarlo del fatto che mi aveva precedentemente fatto il piacere di cedermelo.
Sembrava seccato, parecchio... Ma dopotutto se l'era voluto lui, era stato proprio lui a cedermi quel sedile.
Lo sguardo corrucciato e visibilmente stanco era rivolto verso il finestrino, dal quale l'atmosfera della prima sera, con il cielo dipinto di color indaco e le nuvole dai meravigliosi riflessi rosa cominciavano a lasciar intravedere le prime luci dei lampioni. Fuori vi era un traffico allucinante, ma finora ciò che riuscivamo a vedere del paesaggio circostante erano le automobili (delle quali sono sicura che un buon ottanta percento fossero taxi, taxi giallo limone ovunque!), le grigie strade e i scintillanti grattacieli, o se preferite il loro nome originale gli skyscraper. Il tempo che mancava all'arrivo non passava mai, così mi affidai agli auricolari e alla musica in riproduzione, che mi cullarono dolcemente in un sonno profondo.

Aprii gli occhi; che ore erano? Quanto tempo era passato? Non ne avevo idea. Guardai il telefono: erano le 20:32, non doveva mancare molto all'arrivo.
Un auricolare mi era caduto dal l'orecchio, l'altro era ancora al suo posto. Mi stropicciai gli occhi, mi tolsi i capelli dalla faccia e mi guardai intorno: sembrava che tutti quanti stessero dormendo, e ciò era comprensibile dal fatto che il viaggio in aereo era stata un'odissea, ed evidentemente non lo era stato solo per me ma per ognuno di noi.
Un attimo: dove era finito lo spilungone occhialuto?
Non era più appostato dietro il mio sedile, non si stava più reggendo sulla maniglia e a quanto pare non era più in piedi; ma non lo vedevo.
Poi voltai lo sguardo al pavimento, sinceramente il posto più assurdo che avessi mai potuto immaginare: e invece lo vidi, lui era lì e a quanto pare si era pure accampato. Aveva steso sulla moquette il suo chilometrico giubbotto color blu petrolio, a sostituzione del cuscino aveva utilizzato il suo zaino e vi si era disteso sopra.
Meno male, pensai: non avrei sopportato di vederlo piegarsi in due dallo sforzo di cercare di rimanere in piedi. Ma d'altronde io il posto non glielo avrei ridato in ogni caso, stavo troppo bene seduta, anche se all'inizio ero titubante nel farmelo cedere.

Un'abbagliante scia luminosa mi pervase gli occhi, ancora rivolti  a fissare il "cadavere" dormiente del biondo; mi voltai verso i finestrini: ciò che riuscivo a distinguere, per quanto rimbambita fossi ancora dal sonno da cui mi ero appena svegliata, erano luci, luci dappertutto: verdi, rosse, blu, gialle; scritte luminosi di taxi, fari di automobili; giganteschi schermi luminosi che riproducevano pubblicità e video.
Spalancai gli occhi e la bocca in segno di meraviglia per la spettacolare visione a cui avevo assistito; che fossimo arrivati?
Il pullman cominciò gradualmente a rallentare; la cosa più strana fu che i ragazzi, tranne naturalmente i pochi che erano sopravvissuti al sonno, si svegliarono tutti assieme, quasi come se avessero sentito lo stesso richiamo segreto.
Vi furono i primi sbadigli e stiracchiamenti, ma ciò durò giusto il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo: non mancarono infatti pochi istanti dopo le espressioni meravigliate, le esclamazioni incredule.
Non stavo più nella pelle! Con un gesto felino mi levai l'auricolare che avevo tenuto addosso fino a quel momento, attorcigliai il suo cordoncino bianco e lo riposi nella tasca dello zaino; presi il telefono: qualche foto non poteva negarmela nessuno. Cercai di immortalare ogni singolo particolare di quegli incredibili momenti ma gran parte delle foto uscirono mosse. Pazienza, avrei avuto tutto il tempo che volevo per farne altre.
Una foto però mi riuscì stupendamente, ma me ne accorsi solo poco dopo: ero riuscita a fotografare, e con mia sorpresa molto nitidamente, uno schermo rosso affisso a un edificio che faceva angolo ad un incrocio con lo stemma della pubblicità della coca cola; sotto di esso vi erano altri cartelli luminosi blu e una di quelle fasce dove passavano le notizie scritte a caratteri cubitali luminosi; sotto invece, un semaforo rosso per i pedoni e un taxi giallissimo in transito; questo scatto per me rappresentava New York nella sua essenza, e giuro su ciò che volete che mi rimarrà per sempre nella memoria e nel cuore.

Teal and Orange (sospeso) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora