Il sudore colava lungo la schiena del ragazzo. La temperatura nella stanza era molto alta e il combattimento prolungato non faceva che sfiancarlo ancor di più.
Ma tutto ciò a Sargon non importava: era ormai abituato a questo allenamento e col tempo aveva quasi imparato ad apprezzarlo. Schivò con agilità il colpo che arrivava da dietro abbassandosi e, facendo perno sulla gamba destra e tendendo quella sinistra, ruotò su se stesso e colpì l'avversario poco sotto alle ginocchia facendolo cadere con un grido di dolore.
Sargon si rialzò in piedi, asciugandosi la fronte con una manica. I capelli scuri come l'inchiostro erano appiccicati alla pelle pallida delle tempie per il sudore.
Senza neppure voltarsi evitò un pugno solo inclinando la testa di lato poi afferrò il braccio dell'aggressore e lo piegò di scatto, rompendolo. Il suono dell'articolazione che andava in frantumi era ormai una melodia familiare nella sua mente.
Sentì il tonfo dell'uomo alle sue spalle e i suoi gemiti di dolore, anche quelli frequenti. Si guardò intorno e vide una decina di avversari che lui da solo, disarmato, aveva messo al tappeto. Evitando accuratamente le pozze e gli schizzi di sangue si avviò verso l'uscita della stanza scura.
Sul suo braccio, sopra al bicipite sorprendentemente poco muscoloso per tutto l'allenamento a cui Sargon si sottoponeva, svettava il disegno di uno scorpione stilizzato, con la coda che grondava veleno. Il rosso del tatuaggio spiccava sulla pelle chiarissima del giovane così come i capelli corvini.
Sargon si voltò quando sentì, sopra al silenzio rotto solo dai gemiti degli uomini nella stanza, il rumore ritmico degli applausi.
-Bravo Sargon- disse l'uomo. Si staccò dalla parete a cui era appoggiato per avvicinarsi lentamente al ragazzo. Sargon era poco più alto di lui anche se aveva solo diciassette anni. Aveva un fisico alto e slanciato, non appesantito da tutto quell'allenamento ma aggraziato, privo di muscoli scolpiti. Ciò non significava certo che non fosse in forma o più forte o veloce di chiunque altro. Nessun uomo aveva ancora battuto Sargon.
-Signore- lo accolse freddamente il giovane, chinando leggermente la testa in segno di saluto.
-Migliori ogni giorno di più- si complimentò Rayners-quasi non riesco a credere ai tuoi progressi-
-Grazie- disse automaticamente Sargon. In realtà non era minimamente interessato ai complimenti di Rayners o di chiunque altro. Nessuno capiva che lui non si allenava, non combatteva per compiacere gli altri, figuriamoci per avere credito da loro.
Ma non lo faceva neppure per se stesso, la ragione era una sola: quello era l' obiettivo nella sua vita, quello che era stato cresciuto per essere. Un'arma, un guerriero. Nulla di più.
Nessuno si complimenta con una spada per aver trafitto la vittima. E solitamente nessuno lo faceva neppure con lui.
-È arrivato il momento di affidarti una missione importante e difficile- continuò l'uomo, passandosi distrattamente una mano tra i capelli scuri -Non che le precedenti non lo siano state, è chiaro. Ma questa volta dovrai essere sotto copertura-
-Sotto copertura?- chiese Sargon. Non aveva mai partecipato ad una missione di questo tipo in precedenza. -Si- ribadì Rayners -dovrai unirti una squadra di altri due elementi che sta per affrontare una missione di recupero. Ma il tuo obbiettivo non è il soccorso-
-E quale è allora?- domandò il ragazzo. I suoi occhi neri scrutavano Rayners in attesa di una risposta.
-Devi eliminare l'obiettivo una volta che la tua squadra lo avrà localizzato e raggiunto- svelò Rayners -nella tua stanza è già stata portata tutta la documentazione di cui avrai bisogno. Partirai domani mattina all'alba. Non deludermi- aggiunse, prima di voltare le spalle a Sargon e sparire nelle tenebre. Il ragazzo si diresse nella direzione opposta. Non era teso, preoccupato, scocciato dalla mancanza di informazioni o onorato dall'importanza del suo compito.
Come sempre, non provava nulla.-Sargon, vieni a giocare- la voce di Max riecheggiò nella sua mente. Era un sogno. Era un pomeriggio caldo e ai ragazzi dell'Accademia era stato permesso di uscire per qualche ora dagli ambienti scuri dell'edificio. Max era il suo compagno di stanza, l'unico essere umano con cui interagiva da settimane fatta eccezione per la voce dell'istruttore che proveniva da dietro la porta.
-Non ne ho voglia, Max-rispose Sargon stendendosi invece sotto alle fronde di un albero e godendo della brezza fresca e profumata. Non gli piaceva giocare e trovava che fosse solo uno spreco di tempo per il suo addestramento.
-Okay- disse Max e corse via. Sargon non sapeva quanto tempo fosse passato ma la luce infuocata del sole illuminava già l'edificio con il grande scorpione rosso pitturato sulla facciata principale.
-Sei ancora qui-disse Max con la vocina cantilenante tipica dei bambini. -Mi sono addormentato-replicò Sargon. Max annuì e si sedette di fianco a lui, porgendogli un pacchetto.
-L'ho comprato per te oggi. Sono andato di nascosto fino al villaggio- il sorriso sul volto di Max era così ampio e sincero che Sargon si domandò, in modo distaccato, cosa lo provocasse. Lui non aveva mai sentito il bisogno di sorridere a quel modo.
Il ragazzino prese il pacchetto che gli veniva posto e lo scartò con un rapido gesto della mano.
-Cosa è?- chiese.
-È un album da disegno-disse Max, fiero del suo regalo -e ci sono anche dei colori. Non è granché-aggiunse, facendosi subito serio e pensieroso -ma è meglio di nulla. Mi sono ricordato che proprio tre anni fa ci siamo conosciuti-
Allo Scorpione non si festeggiavano compleanni o stupide ricorrenze, quindi quella era l'unica data che Max era in grado di ricordare e celebrare.
Sargon non era deluso dal suo regalo ma non poteva neppure dire di esserne felice. Non ne vedeva l'utilità: lui era bravo a disegnare, certo, ma non era un'abilità che gli era concesso di sviluppare.
Sargon sorrise: aveva letto molti libri sul comportamento umano e sapeva che quella era la reazione giusta perché anche il vero sorriso di Max si fece più ampio.
-Grazie- disse Sargon.Sargon si svegliò all'alba, prima ancora che il sole sorgesse. Non gli capitava spesso di sognare Max.
Amicizia. Questa parola tuonava nella sua mente ogni volta che pensava a lui. Era come Max aveva chiamato il loro rapporto una volta, prima di andare a dormine. Significa che vuoi bene ad una persona, che ti importa di lei e che ti fidi. Sargon aveva annuito: capiva il significato delle parole che Max aveva detto ma non ne capiva il senso più profondo, non lo aveva mai provato sulla sua pelle.
Max spesso tentava di spiegare a Sargon queste cose per lui semplici ma per l'altro lontane. Era come spiegare ad un pesce come fosse camminare sulla terra o volare nel cielo. Ma una cosa l'aveva capita: la mente delle altre persone era molto più tormentata della sua. Alla fine di ogni discussione Sargon sorrideva, cosa che aveva imparato a fare copiando le espressioni sempre allegre di Max e lui rispondeva con il sorriso più ben costruito che Sargon avesse mai visto.
-E questa cosa che sento quando penso a te?- chiese alle tenebre della sua stanza mentre preparava i bagagli per la sua missione -questa specie di dolore, come se qualcuno mi stesse colpendo qui- e si toccò la base delle sterno -anche questa è amicizia?-