L'uomo lo fissava. L'ufficiale taceva rispondendo a quello sguardo. Si infuriò. Come poteva quell'oscenità avere un tale sfrontato atteggiamento? Iniziò a interrogarlo.
- Dimmi, come ti chiami?
L'uomo restò muto a fissarlo.
- Non capisci che peggiori la tua situazione?
- Peggio di così – sottolineò l'altro senza lasciarlo con gli occhi.
- E qui ti sbagli. Io posso farti stare anche peggio, o meglio. Dipende tutto dalla mia volontà.
- O dal vostro capriccio.
- Chiamalo come vuoi – esplose l'ufficiale. – Sai bene che a scegliere sono io, a vincere sono io, e devi sottostare a ciò che ti chiedo.
- Cioè ubbidire e tacere. Ma non ce la faccio, dovete scusarmi, non ce la faccio proprio. È più forte di me.
- Allora mi costringi: ti farò torturare.
- Potete farlo, se lo desiderate. Ne ho viste tante e subite tante, fin dalla notte dei tempi...
- Smettila con queste frasi a effetto, non ne posso più – si alzò e si sedette sulla scrivania, più vicino al prigioniero. – Prova a essere ragionevole, hai trovato me che tento di capire, di essere tollerante, però sai che qui non ce ne sono molti disposti a perdere tempo con te. Quindi ti consiglio di collaborare.
- Altrimenti mi farete del male, anzi mi ucciderete.
- Sì, ti farò uccidere da uno dei miei sottoposti. Guardati in giro, alcuni non aspettano altro. Ti odiano in parecchi.
- Lo so, ci sono abituato. Chi non comprende tende a giudicare, a detestare, ad avere paura.
- Paura? Maledizione, credi che io possa avere paura di te? Di chi è come te?
- Paura forse no, ma...
- Niente ma, quelli come te mi fanno ribrezzo.
- Tuttavia voi lo avete detto, state perdendo del tempo con me.
- Già, è vero, sto perdendo tempo, lo sto sprecando mentre dovrei dedicarmi al mio dovere, farti eliminare e passare al prossimo.
- E allora fatelo – l'uomo incrociò le braccia continuando a tenergli gli occhi addosso.
L'ufficiale ebbe un gesto di frustrazione: mai conosciuto un ebreo più ostinato.
- D'accordo, stavolta hai vinto tu. Sarai contento. Ti farò fucilare, niente camera a gas per te, voglio essere io stesso a comandare il plotone. Sarà una grossa soddisfazione.
- Come volete. Però temo non servirà.
L'ufficiale stavolta perse completamente quel poco di calma che gli rimaneva.
- Basta! – urlò. – Chiamerò il primo soldato che passa qui davanti e ti farò portare via. Non voglio più rivederti, se non davanti a dei fucili.
Lo afferrò da un braccio e lo costrinse ad alzarsi.
- Fuori – lo spinse verso l'uscio.
- Non volete ascoltarmi, ma cerco soltanto di spiegarvi che non potete nulla contro di me.
- Ancora? Cos'è, vuoi raccontarmi una storiella ebraica, qualche antica profezia secondo la quale voi ebrei siete intoccabili? Non ci crederai, ma guardati intorno, non funziona!
- Magari fosse vero, purtroppo è vero il contrario. Se mi darete ancora una possibilità, vorrei sapeste tutto.
- Certo adesso sei spaventato e ti sei deciso. Non voglio sentire più niente ormai.
- Neppure il mio nome?
- Va bene, parla! – gli intimò lasciandolo lì in piedi in mezzo alla stanza.
- Non siete meravigliato che conosca bene la vostra lingua?
- Sì, in effetti sì.
- Ne conosco molte, le ho imparate negli anni attraversando il mondo. E ho tanti nomi, quanti me ne hanno dati. Vivevo in un villaggio... - l'uomo si sedette e cominciò.
E si era fatto incantare, pensava. L'ufficiale era rimasto alla sua scrivania dandosi dell'ottuso e desiderando di poter tornare indietro, eppure non riusciva ad ammettere di avere completamente sbagliato.
Rammentava l'uomo seduto davanti a lui, le parole e gli occhi, occhi scuri, profondi e antichi. Gli aveva detto dei suoi molteplici nomi e del suo passato, il suo passato lungo millenni.
- Che storia vuoi propinarmi?
- È la mia storia, la mia vita.
- Mi ritieni stupido, ma sei tu che dimostri di esserlo; non puoi, non devi, prendermi in giro. Sai quanto possa essere spietato.
- Non ho timore di voi.
- Appunto, sei uno stupido.
- No, perché non ho timore degli uomini, dopo aver visto quello sguardo, con la forza che emanava, posso reggere qualsiasi altro sguardo. Non mi piegherò che davanti al Suo. Lo reputavo un uomo come gli altri, pure se alcuni della mia gente sussurravano fosse un profeta, per me era uno dei tanti che predicava all'epoca. Poi quando lo condannarono, non mi importò nulla. Si presentò sulla soglia della mia bottega mentre saliva perché lo crocifiggessero, mi chiese se poteva riposarsi, io lo respinsi. Detestavo essere disturbato durante il lavoro. Lui non disse niente, si limitò a guardarmi. E compresi ogni cosa, anche di essere stato segnato per l'eternità. Fui condannato a vivere fino alla fine del mondo. Senza poter morire, mai.
L'ufficiale si alzò e andò alla finestra. Si guardò intorno, c'era l'inferno lì sotto, ma da anni era la sua realtà. Aveva fatto carriera e non voleva perdere i suoi privilegi. Perciò nessuno doveva mai scoprire la sua azione.
Si era allontanato un paio di ore prima con il prigioniero. Grazie alla sua autorità, gli era stato facile sfilare attraverso il campo, nascondere l'uomo nella sua macchina e
uscire. L'aveva accompagnato lontano, a una decina di chilometri. L'aveva spinto fuori dall'auto e gli aveva raccomandato di scappare e di non girarsi, avrebbe potuto cambiare idea.
L'aveva visto attraversare il bosco tra gli alberi radi e aveva alzato la pistola. Aveva puntato, era facile averlo sotto tiro perché non correva, camminava come se stesse passeggiando. Quella sicurezza lo aveva sconcertato. Aveva abbassato l'arma. Era restato lì a contemplarlo finché non era sparito, si augurava per sempre.
Si era rimesso al volante. Era la cosa più inverosimile che gli fosse capitata. Lui non era certo religioso, malgrado ciò... Per una volta, nonostante tutto, aveva deciso di credere, ma era stata una follia che non si sarebbe ripetuta. Non poteva permettersi certi sentimentalismi, si era detto con fermezza.
Si era voltato verso il campo di concentramento ed era tornato al suo lavoro.
Franca Marsala