Tallinn è sempre stata per me una città splendida, con le sue torri e i suoi monumenti. Ma, quando si cresce in un solo posto, in una città, anche se così bella, a volte nemmeno ci si rende conto della bellezza che ci circonda. Abituata alla monotonia della mia vita, mai e poi mai mi sarei soffermata per soli dieci minuti ad osservare le minuscole vie solitarie che si intersecavano tra un palazzo e l'altro. Eppure, adesso, anche se correndo, avevo notato tutto. Avevo provato soggezione alla vista di alcune case, disorientata da altre e addirittura impaurita da terze.
-"Come ti senti?"- Chiese Jamie, lentamente, attendendo da più del dovuto una mia risposta, che però continuava a non arrivare. Poi, mi avvicinò ancora a sé prendendomi il polso. Quella che sembrava una sensazione piacevole si mutò in qualcosa di terribilmente sbagliato, come un macigno, come una voce: la mia coscienza.
Ci trovavamo in un locale, mentre la pioggia diminuiva contro le finestre, illuminate di tanto in tanto da qualche fulmine in lontananza. Era una tavola calda che profumava di legno e di caffè ed era invasa da persone pressoché adulte, intente a bere tazze di liquido caldo. Eravamo in piena primavera, ma Tallinn era imprevedibile riguardo il tempo. D'estate era più mite, forse per via del mare.
Jamie mi stava fissando con un mezzo sorriso sul volto. Aveva detto qualcosa?
-"Ehm, c-cosa? ?"- Spostai a fatica lo sguardo verso la saletta, notando con sorpresa che stava ospitando circa una trentina di persone. Sembravano molte meno, prima.
- "Stai bene?"- Ripeté il ragazzo, prendendomi per il polso e avvicinandomi ad un tavolo in fondo. Aveva delle dita lunghe, affusolate, curate. Una volta seduti, una sua mano si allontanò dal mio polso per giungere verso il mento, che venne leggermente sollevato verso l'alto da due dita. Quella strana sensazione rovinava il tutto. C'era una vocina dentro di me che continuava a cercare di farmi ricordare qualcosa.
Ero certa che adesso il ragazzo non stesse sorridendo, eppure i suoi occhi dicevano altro.
-"È tutto okay. Non devi più piangere."- Disse lentamente, prima di rispostare la sua mano.
-"È solo... nervosismo. Non sopporto le bugie. O che mi si nascondano le cose."- Quanto avrei voluto soffocare quella sensazione di poco prima. Ma c'era ed era persistente.
L'indice sinistro punzecchiò la mia guancia, ancora umida a causa delle lacrime, cercando di farmi sorridere. Poi, accarezzò la pelle, fino a toccare il mio labbro superiore. I miei occhi, ancora fissi sui suoi, li vedevano analizzare il mio viso, centimetro per centimetro, come se ogni dettaglio fosse importante.
Spostò nuovamente lo sguardo. Si stava soffermando, questa volta, sulle mie labbra, per più tempo. Vidi una strana luce balzare nei suoi occhi, come un'idea, un'intuizione. Istintivamente mi irrigidii, abbassando il capo. Nella sua espressione, leggermente incupita dalla luce soffusa del locale, si erano fatti spazio lo stupore e la curiosità.
-"Non c'è bisogno di essere nervosi. Rilassati e guardami."- Pronunciò con il suo evidente accento straniero.
Non mi mossi.
-"Guardami, Liine."- Ripeté.
Alzai lentamente il capo. Il suo mento si mosse in avanti e il mio cuore perse un battito. O forse era solo il mio stomaco che aveva provato ad uccidermi nuovamente, non saprei dire.
Il suono squillante di una suoneria che non riconoscevo ci fece sobbalzare. Dio, se esisti, ti ringrazio.-"Pronto?Sì, sono io..."- Rispose al telefono il ragazzo, allontanadosi e appoggiando le spalle alla sedia. -"Elise?"- Sussurrò.
Al pronunciare di quel nome, riuscii a sbloccarmi da quello stato di trance, mentre Jamie alzava l'indice come per chiedermi di aspettare che terminasse la conversazione.
-"Amore? Ma sì, certo che sto bene... Stavo... Cucinando. Davvero? Saranno i vicini? Oh...Beh, no,non ho cenato...Sono solo un po' stanco, davvero..."-
Un'immagine di una ragazza dai capelli neri e gli occhi talmente grigi da sembrare il cielo in preda a quella tempesta, mi si impastò confusionaria nella mia mente.
Elise.
-"Ti amo anche io."- Gli sentii dire.
Ed ecco che capii il perché di quella sensazione odiosa, il perché avrei dovuto ascoltare la mia coscienza, come sempre. Ricordai l'ultima conversazione che avevo avuto con quel ragazzo. Ricordai che ero molto arrabbiata con lui, e mi venne una gran voglia di tornare ad esserlo. Nonostante mi avesse appena salvata e fosse stato gentile con me.
Appoggiai la schiena alla sedia anche io, abbassando lo sguardo sulle mie mani.
Il suono di un tasto premuto riportò la mia attenzione sul tavolo, sul quale adesso giaceva il telefono del ragazzo, bloccato.
-"Scusami... Era..."-
-"Okay."- Dissi, duramente, alzandomi. -"Buonanotte."- Lo guardai, notando la sorpresa crescere sul suo volto.
-"Cosa? Ehi, ehi, ehi..."- Mi guardò sbigottito, prima di alzarsi e bloccarmi il braccio. -"Siediti, non puoi tornare a casa così..."-
-"Buonanotte, ho detto."- Feci per voltarmi ma la sua presa era salda. Sentivo i capelli pesanti e bagnati gocciolare ancora qua e là sulle mie braccia.
-"Che ti prende?"-Mi si parò di fronte.
- "Stavolta ho esagerato. Adesso devo andare, buonanotte."- Ripetei per la terza volta.
Jamie sembrò allentare la presa, così da lasciarmi allontanare. Mi diressi verso la porta in legno del locale, dal quale stavano facendo ingresso tre persone: Olesya, Neide e David.
Spalancai gli occhi e mi voltai, dando le spalle ai tre e ritrovandomi il viso di Jamie, piuttosto confuso e arrabbiato.
-"Sai una cosa?"- Disse a voce troppo alta, alzando le braccia. -"Sei davvero incredibile! Ti ho appena salvato la vita, dato che non sembri proprio essere capace di prendertene cura da sola, e non mi rivolgi per più di dieci minuti un tono gentile? Eppure quando ci siamo conosciuti avevamo iniziato bene, cosa diamine è successo dopo?"- Lo guardai sbigottita e sicura di aver capito solo metà del discorso che aveva appena fatto, troppo preoccupata di quei tre che stavano cercando un posto a sedere. Era la mia occasione per fare luce su tutto?
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Non sono l'eccezione dei libri. {In Correzione}
AcakRoheline Petrov, 17 anni. Vive a Tallinn, capitale dell'Estonia, sotto la responsabilità di una madre dittatoriale e di un padre perennemente assente. In un gelido pomeriggio d'inverno, però, il ritrovamento di qualcosa potrà cambiarle la vita. " L...