Capitolo 1

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La nostra casa di Hueton è quella che mi è sempre piaciuta meno tra tutte. Anche se di nostro, non aveva più nulla. Ormai era mia, lui non si faceva vedere da tempo ormai. Diciamo che ora come ora, eravamo umani molto evoluti. Ero un umana molto evoluta. Avevamo tecnologie potentissime, in grado ormai di fare tutto. Ma non quelle per recuperare l'amore, quello vero, che hai perso.

La fotocellula della porta comincia a suonare e io mi avvicino per vedere chi è. E il computer mi batte sul tempo

- Cheryl Griffin, Trisha Clarks alla porta. Consento accesso?- la voce robotica risuona fredda e distaccata dalle casse a muro vicino alla porta.

-Consenti accesso- mormoro con voce scocciata.

Un tintinnio mi avverte dell'apertura del cancello e aspetto.

Da quando sono sola in una casa grande quasi quanto una città intera, ho adottato queste precauzioni.

Apro la porta e le mie amiche mi sommergono di abbracci. Loro si sarebbero fermate sulla porta a riempirmi di domande, abbracci e pacche sulle spalle, ma ho preferito farle entrare.

-Hai il giardino molto curato! Grande! Quando sei uscita a piantare le rose? E quei bellissimi gerani? E la siepe poi!! È bellissima!- Trisha non smette più di parlare, come se non ci vedessimo da anni e dovesse farmi domande a non finire. La verità è che ci siamo viste venerdì scorso.

-No tranquilla, ho il giardiniere- rispondo apatica.

La sua faccia da 'chebellotiseiunporipresa' é diventata 'ahoknontiseiripresa'.

-Ally devi riprenderti ok?- mormora Cheryl

E io distolgo lo sguardo.

Avevo lasciato tutto in lui, e quando sen'é andato non mi ha ridato nulla indietro. La verità era che lo amavo ancora perché si era preso un posto nella mia vita e non sen'era andato per molto tempo, ma spesso chi non se ne va per molto tempo, non significa che non se ne andrà mai. Non so dirmi se io lo ami ancora per routine, o per quello che sento davvero.

Prendo fiato e parlo

-È vero. Da quando lui non c'é più io sono diversa...- cominciavano a salirmi le lacrime agli occhi -sono cambiata. Provate a mettervi nei miei panni: lasci tutta te stessa in un uomo che poi, se ne va. Ah giusto voi non capite. Perché voi vivete nelle vostre fottute favole dove il principe e la principessa vissero per sempre felici e contenti. Beh sappiate che non è così. Il Principe e la Principessa vissero cercando di adattarsi l'un l'altro, vissero cercando di amarsi più che qualcun'altro possa fare, vissero con l'eterna sensazione che non fossero fatti l'uno per l'altra, vissero litigando, vissero urlandosi parolaccie e cercando di tornare sempre al punto di partenza, senza fare decisioni avventate. Ecco come vissero il Principe e la Principessa.-

Finisco il discorso che sto piangendo, ma non stavo male, da molto non stavo male da piangere, era più uno sfogo. Come quando non piove da un po, e poi, quando piove piove forte.

Da quando lui non c'é, io ero come un buco nero, esistente sì, ma vuoto.

Le mie amiche erano senza parole. Anche io, dopo tutte quelle che avevo detto.

Il sensore dell'ufficio in mansarda si accende, ma il computer non parla. Mi alzo, deglutisco, -fate come se foste a casa vostra.- mormoro,e salgo le scale con la mano che scorre sulla ringhiera laccata. Quella ringhiera era stata laccata quasi un anno prima, qualche giorno dopo il nostro trasferimento. Espiro e inspiro un paio di volte, per far sparire il singhiozzo del pianto.

Purtroppo per arrivare in mansarda dove la fotocellula aveva rilevato qualcuno, dovetti fare due rampe di scale, che si curvavano in alto dandomi piena vista della casa. Quindi arrivai al secondo piano e mi affacciai sul soppalco che dava sul piano di sotto, in cui vedevo le mie amiche mettere un po a posto il casino in cucina, perché non mangio da un po, ma i piatti sporchi nel lavandino erano ancora quelli dell'ultimo pasto consumato con lui. Mentre pensavo, il movimento meccanico delle mie gambe, senza ragionarci troppo mi aveva portato in mansarda.

Vedo la porta aperta nell'ufficio e mi affaccio senza pensare troppo a chi potrebbe esserci lì dentro.

E prima che l'immagine passasse attraverso la retina, si trasformasse in impulso elettrico e si capovolgesse, io avevo capito chi era entrato lì dentro senza passare dalla porta.

Lui era in piedi e la sua 'bambolina' era seduta sul divanetto rotondo, che avevamo pensato di mettere insieme, perché a noi sembrava un pancake. Non li avevo mai visti insieme, e in quel momento, lei seduta su quel divanetto mi faceva uno strano effetto, lei seduta in casa nostra. Come un chicco di caffè nel sacchetto del sale.

Per un po' lo guardo come se fosse un oggetto di vetro, quasi non fossi sicura fosse lui, e lui ricambia lo sguardo. Quel momento sembrava non finire mai, sembrava che io non mi fossi mai accorta che lui era lì. Era un momento in cui sembrava tutto congelato, tutto fermo ad aspettare un mio o un suo passo. Sento aria di fianco a me, e senza che me ne accorgessi lui era li, nel corridoio di casa nostra, che mi guardava con gli occhi di una persona che non dimentica. Mi sposto dalla porta, e la sua tipa sparisce.

Indugio nei suoi occhi dall'altra parte del corridoio. Mi avvicino un po' giusto per coglierlo da vicino.

Quanto è bello. Ha quelle spalle in cui ti butteresti per sentirti finalmente a casa. Faccio un passo in avanti e mi avvicino sempre di più, e lui è sempre li, impassibile. Ma è impossibile che io non gli faccia alcun effetto. Io lo so com'è lui: presuntuoso, non vuole ammettere che gli manco. Ma se non gli mancassi non sarebbe mai tornato. Allungo una mano, quasi a constatare che lui fosse lì veramente, gli tocco un braccio, e mi avvicino sempre di più. Il mio cuore comincia a battere sempre più forte, ed è come se mi stesse dicendo di non avvicinarmi troppo al fuoco, perché poi mi sarei scottata un altra volta. Mi metto esattamente di fronte a lui con le mani sulle sue braccia e per caso, perché l'istinto me lo ha detto, appoggio il naso nell'incavo della sua spalla, e lo sento col respiro affannato. Lo abbraccio appoggiandogli le mani sulle spalle. Immagino il suo viso, i suoi lineamenti perfetti, con la mascella un po' sporgente, su cui ogni tanto mi piaceva tracciare il contorno con le dita, quelle labbra carnose e un po aperte per colpa del suo fiato corto e il suo corpo pieno di muscoli sporgenti. Per un momento mi sembra che indugi ad appoggiare le sue mani su di me, e poi, quasi come ci avesse pensato e riflettuto, mi cinge i fianchi con le braccia. Potrei stare con il viso li per ore a sentirlo respirare, a sentire l'amore che prova per me. Quasi come se non fossimo in corridoio, quasi come se non fossero passati mesi dall'ultimo brutto litigio in cui lui sen'era andato, gli appoggio le labbra sul collo e comincio a risalire fino a ritrovarmi vicino alle labbra. Lo guardo negli occhi. Vedo le pupille dilatate e le sue labbra mi vengono incontro. Lo guardo un'ultima volta negli occhi, per avere un idea di come trattarlo dopo quello che succederà. E da un attimo all'altro, cambia sguardo. Uno sguardo freddo quasi come un robot. E mi strattona, mi tira via le braccia dai fianchi in malomodo e mi dice -Ma cosa pensi di fare con me? È finita Ally.- non era la sua voce quella. E in quel momento in testa mi passano tante cose, avrei potuto dirgli che se fosse stata davvero finita, perché era tornato?

Ma le parole mi escono di bocca troppo velocemente -Mi stai solo usando Bryan. Vaffanculo-. Mentre parlo colgo dei cambiamenti abissali nel suo volto: gli occhi ogni tanto sembravano presenti, e ogni tanto completamente assenti. Mi giro di scatto per andarmene, quando vedo la vecchia, che teoricamente si scopava Bryan, guardarlo fisso negli occhi e tenere le mani in tasca. Stava succedendo qualcosa con quella tipa. Rivoglio indietro il mio Bryan. E farei di tutto per riprendermelo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 15, 2015 ⏰

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