Rosso. Avevo la vista sfocata, ci vedevo a malapena, ma bastava quel tanto per riconoscere un colore così accesso e sgargiante. Era rosso. Rosso come il sangue. Forse era il mio sangue, chi può saperlo; io, in quel momento, non avevo la capacità di pensare lucidamente, ma, secondo quella sostanza calda e viscida che mi mi sgorgava, come un fiume, dalla fronte, colava dalle braccia e imbrattava i pantaloni all'altezza delle ginocchia, mi fece intuire che fosse veramente sangue. Il mio sangue. A mano a mano che riprendevo conoscenza, notai il color legno quercia che tappezzava il pavimento, il color crema del divano, che ha già vissuto una vita esuberante, fatta di chili esuberanti, il riverbero di luce che filtrava dalla finestra. Mi correggo, dalla finestra rotta. Minuscoli frammenti di vetro giacevano sul suolo, formando i vertici di figure geometriche: rettangoli, triangoli, persino quadrati.
Sembrava che in casa non ci fosse nessuno. Apparte una ragazza esanime e sanguinante. Credo che non sia solo il sangue a darmi questo bell' aspetto, ma avevo anche il privilegio di avere tre costole fratturate sul lato destro, una gamba rotta e varie contusioni, innumerevoli come le stelle nel cielo notturno in una serata d'estate, quando l'astro celestiale è sgombro di nuvole. Adesso non c'era più un momento da perdere, dovevo agire subito. Strisciai fino al divano, facendo peso sugli avambracci ed evitando le schegge di vetro. Tentati di sdraiarmici a fatica, sopportando quell'ammasso di carne piena di ferite che sono diventata. Respirai a fondo l'odore di legno antico (o, se vogliamo essere più precisi, di legno marcio), ma procurava ancora più dolori e, invece di tenere la bocca aperta, ero costretta a digrignare i denti e a strizzare gli occhi. Non avevo la minima intenzione di chiamare l'ospedale e spedire un'ambulanza a soccorrere quella povera malcapitata, che ha subito questo insolito "incidente". Cavarmela da sola era la mia specialità. E come tale, avevo solo bisogno di tre cose: disinfettante, pinzette e fasce medicinali. Il problema che si frapponeva era raggiungere il primo piano, senza ottenere un corpo ancora più distrutto di quello che era. Mi alzai con tutta la determinazione che era in me, però arrivai troppo velocemente e troppo tardi per riuscire a salire anche solo sul primo scalino. Persi disastrosamente l'equilibrio e caddi dall'altra parte, mi aggrappai appena in tempo alla maniglia della porta principale. Mi costò ancora più resistenza alla sofferenza e gemetti, pareva quasi un sussurro. Le mani tirarono giù la maniglia pre la troppa pressione e caddi in avanti, sul selciato umido di una giornata afosa. Le ultime cose che vidi: la forte luce che mi infastidí gli occhi, il cemento e le pietre del vialetto e un'ombra che corse verso di me. Poi il buio totale.
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Make your pain mine.
FanfictionFrustrazione: è la parola che si addice di più ad una sedicenne, con un passato da dimenticare. Francesca, a causa delle vicende trascorse, ha vissuto la vita del "soldato in trincea", vive in una casa, ma non è la sua casa. Ha uno zio, che si dovre...