Capitolo undicesimo. Douglas' POV

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Il cielo color giallo ocra rimbombava sopra la mia testa. I palazzi distaccati tra di loro rievocavano nella mia mente immagini sbiadite della mia infanzia, che, diciamocela tutta, era meglio non ricordare. Non che avessi avuto una brutta infanzia, ma adesso a ventiquattro anni avanzati, avrei voluto essere meno viziato e più un bambino normale.
Le macchine sfrecciavano in quella che sembrava Manhattan, invece era solo la piovosa e banale Roseville.
Roseville mi era mancata però, nel corso degli anni passati a Saint Paul e a Minneapolis.
Il freddo incombeva imperterrito sulle mie spalle e lo sentivo come un peso; odiavo ogni cosa fredda.
Cosa mi era mancato allora di Roseville?
La mia famiglia. Significavano tutto per me.
Mia madre Eveleen, ottima cuoca, mi implorava per tutto il giorno, tutti i giorni, di tornare a casa. Era molto premurosa. Mi mancava anche mio padre Sebastian, affermato avvocato, con la sua leggera severità. Mi mancavano le pesti dei miei fratelli, Kristian e Nathan. La mia casa e i miei amici. Insomma, questa cittadina aveva suscitato in me pensieri molto profondi e tornare qui era un desiderio scalpito a fondo.
A volere il mio trasferimento era stata anche la mia fidanzata, Valerie.
Il suo tono saccente mi colpì dolorosamente e cominciai ad avere sospetti sul suo conto.
"Sono stanca di viaggiare sempre tra Roseville e Saint Paul. Troviamo un punto d'incontro: vieni a vivere da me."
Furono queste le sue parole. Io, come una marionetta acconsentii.
Ai miei genitori non piaceva, pertanto frequentava casa mia molto raramente.
Sfregiai nuovamente le mani, mi strinsi nella giacca e attraversai la strada in cerca di una caffetteria in cui trovare calore.
Rustica e curata in ogni dettaglio, la caffetteria trasmetteva il calore che cercavo. Un menù plastificato era affisso al muro accanto al bancone, mentre al tavolo c'era un menù cartaceo con tutti i dettagli.

La poltroncina era talmente comoda che non volevo alzarmi né tantomeno distrarmi, ma in quel momento la mia attenzione fu catturata da un paio di occhi color nocciola.
"Salve, hanno già preso la sua ordinazione?"
La guardai e sussultò. Pensavo fosse bellissima.
"Non ancora, ci penserà lei?" Le chiesi socievolmente.
"Certo, mi dica pure."
Notai con fermezza che era la ragazza di un paio di giorni prima.
"Cappuccino alla vaniglia e cheesecake ai frutti di bosco."
Mi fece notare che precedentemente avevo ordinato un altro tipo di dessert e questo mi lasciò del tutto sorpreso. Tornò immediatamente.
"Rapida" affermai.
Mi sorrideva, avrei tanto voluto chiedere il suo nome.
Ero fidanzato. Fidanzato con una tizia che pensava alla notorietà e a sposarsi in grande.
Chiesi il conto e decisi di andarmene per cacciare quei pensieri, ma senza prima commettere un gesto o errore, qualsivoglia dire.
Le scrissi un bigliettino, certo che avrebbe pulito lei.
Sentivo il suo sguardo su di me è questo mi intrigava.
Lei mi intrigava.
Ricevetti una chiamata poco dopo l'uscita dalla caffetteria, risposi.
"Tesoro" Valerie era pacata.
"Ehi Val. Come va?"
"Bene, amore. Sei arrivato?"
"Sì da un po'. Dove sei?"
"A casa, vieni. Ti sto aspettando."
Guidai per mezz'ora sino al centro e piombai nella villa della Harrison che puntualmente aveva cambiato macchina.
Mi corse incontro e mi saltò in braccio. Se fossi stato stupido come una volta avrei giurato che mi amasse, invece con lei era tutto imprevedibile.
"Amore sei qui." Mi stampò un bacio.
Mi invitò ad entrare e cominciò a toccarmi sensualmente, le sue intenzioni erano chiare.
"Val, non so..."
"Sh, sta zitto. Io non vivo con mamma e papà. Siamo soli, cresci un pochino."
Mi lasciai spogliare come le foglie cadono dal tronco.
Finimmo a letto, da quando sapevo quelle cose il sesso con lei era diventata fonte di sfogo.
Mentre io avevo voglia di innamorarmi ancora e vivere senza pensieri una relazione seria.
Avevo voglia di proteggere qualcuno.
E il mio pensiero si rifece a quei due occhi.

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