Una creatura comune nel nostro pianeta aprii i propri occhi ambrati e felini, stiracchiando le braccia e inarcando la schiena. Appoggiò la testa su un braccio, rimettendo in ordine i capelli di un colore simile al verde di una foglia giovane e fresca aiutandosi con le dita.
I raggi del sole entravano deboli attraverso le tende bianche della finestra decorate con qualche merletto, anche perché la notte era ancora presente nell'aria fresca del mattino. Quante volte ha pensato il ragazzo di strappare quei pezzi di stoffa? Una? Due? Forse anche di più ma, comunque erano troppe. Però, le forze lo abbandonavano ogni volta che ci provava; era l'unica cosa alquanto stupida lasciata dalla sua famiglia.
Dalla nonna, precisamente.
Ogni volta che pensava alle persone che l'hanno abbandonato senza pensare molto, una gelida ma alcontempo rovente ondata di rabbia gli attraversava il corpo fino alla bocca. E allora, senza ritegno e pietà, un grido pieno di frustrazione e dolore lasciava i polmoni protetti dal torace asciutto.
Di frustrazione perché si malediceva per continuare a pensare a loro.
Di dolore perché in fondo, sotto quelli muri di acciaio intorno al suo cuore, qualcosa stava pulsando. La vena della speranza ormai morta; la speranza che loro sarebbero ritornati prima o poi.
Ma lui lo sapeva, sapeva benissimo la situazione in cui si ritrovava fino al punto di desiderare di rimanere ignorante.
I suoi genitori se ne sono andati, lasciandolo cadere nell'abisso della disperazione. Inducendolo a isolarsi dal mondo e perfino da sé stesso. Sì, perché aveva paura di scoprire il completo soffrimento che giocava a nascosto dentro di lui. Scoprire quanto in realtà gli importava.
Che stupido, continuava a pensare ogni dannata volta. Era come risolvere un mistero inesistente.
Lo hanno abbandonato, continuando a vivere la loro vita senza doversi occupare dei suoi problemi. Continuava a ridere mentalmente della sua stupidità e ingenuità senza contegno. Un divertimento macabro e interminabile che forse lo avrebbe accompagnato durante tutta la sua esistenza.
Ma, voleva una spiegazione. È così dannatamente insopportabile che anche i propri genitori, sopratutto la donna che gli ha regalato la vita, l'hanno messo da parte come un maledetto oggetto?
No, questa non era la spiegazione. Era un bambino quando, con l'inganno, quei due esseri l'hanno portato in quel posto chiamato orfanotrofio. L'hanno voluto e basta. Senta pensare a lui e a cosa gli sarebbe successo dopo.
«Aitor, dannazione!», ringhiò il ragazzo tra i denti passandosi le mani piene d'acqua sul viso. Era rimasto a fissare il suo riflesso senza neanche accorgersene, cosa che gli capitava sempre.
Passò l'asciugamano sul viso, pietrificando il corpo e per un istante per scacciare i brutti pensieri. Non sarebbe stato di malumore proprio quel giorno. Tra un mezz'ora avrebbe iniziato a studiare in una vera scuola. Senza le noiose facce dei suoi compagni d'orfanotrofio.
Quel giorno era contento, anche se non lo dava a vedere. Si faceva un sacco di domande mentre infilava l'uniforme blu decorata da fulmini gialli, simbolo e marchio della scuola nuova che forse lo avrebbe cambiato per sempre.
Qualcuno lo avrebbe preso in considerazione?
Avrebbe seguito la sua parte altamente stronza che ha allontanato molta gente o si sarebbe lasciato andare per una volta?Non lo sapeva e gli andava bene così. In fin dei conti, era consapevole del fatto che avrebbe dovuto trovare una risposta a queste domande. Quel suo pensiero era la cosa più stupida che aveva mai pensato, ma era la cosa più giusta da fare.
Forse, era arrivato il momento di smettere avere tanta paura.
Ma, anche se lui la pensava così, una persona che avrebbe incontrato più avanti non condivideva il suo il suo umore.
I capelli si un rosa intenso e lisci, legati in sue codini di media lunghezza, ondeggiavano nel vento fresco e arricchito dalla dolce fragranza dei fiori di ciliegio. Il suo corpo scolpito dall'allenamento faticoso ma soddisfacente, ondeggiava a ritmo dei piedi che si muovevano a passo accelerato lungo il marciapiede che accostava il campo da calcio.
Un'espressione seria era stampata sul viso dai tratti delicati ma decisi, incorniciati dai piccoli ciuffi e dalla frangetta ribelle; la borsa bianca che si muoveva lungo il suo fianco.
L'umore quel giorno era sotto i piedi, cosa molto rara da parte del ragazzo che possedeva stupendi capelli. E non perché era orfano anzi; lui disfruttava di una famiglia amorevole e disposta a tutto per vedere quel suo stupendo sorriso che solo lui possedeva.
Ma, allora, cosa disturbava il rosa?
Be', la monotonia di ogni giorno. Ovvio. Come ogni adolescente, la lunga e snervante routine che era costretto a ripetere ogni giorno, lo mandava in bestia. Forse, l'unica persona che migliorava i suoi giorni era il capitano della squadra nella quale giocava: Riccardo Di Rigo. Un ragazzo meraviglioso, amante della musica classica prodotta dal suo amato pianoforte e l'essere che possedeva i occhi più intensi del mondo (almeno è questo che pensava fino ad allora il giovane protagonista).
Era sicuro che sarebbe caduto in depressione se non fosse per lui. Per quella meravigliosa risata profonda e quel sorriso indimenticabile. Per i suoi semplici gesti ma unici agli occhi celesti di Gabi. Per questo gli doveva tutto; più di quando potrebbe mai ammettere a se stesso. E forse...forse provava qualcosa che va oltre i confini dell'amicizia. Dell'ammirazione.
Avrà mai il coraggio di confessare i suoi sentimenti? Di minacciare l'amico affinché non lo prendesse in giro e non perdere il legame tra di loro?
Ha tutto quel potere? Tutto quel coraggio?
Ma, lui sapeva una cosa certissima sul futuro: era imprevedibile e poteva cambiare facilmente senza neanche accorgersene. E forse aveva ragione, il Fato gli stava preparando una sorpresa che avrebbe sconvolto la sua esistenza.
Qualcosa di unico e limitato. Gli stava preparando un amore davvero demenziale.
SPAZIO DI UN PANDA.
La mia prima storia! Si vede, vero? Comunque, lasciare un commento e un voto, please! :3
Ciauuu!!
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L'amore è demenziale (aitor × gabi)
RomanceLui corre verso di te, ma tu fuggi. E nella tua fuga che lui muore. ** La mano tremante di Aitor strinse quella di Gabi che lo guardava con un'espressione confusa, mentre il primo stringeva un telefono nell'altra mano libera. La forza che ci metteva...