Capitolo 18

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«Non dovremmo aiutarlo?» domandò Emma, con un filo di voce.

Ary la spinse dentro al grande montacarichi di ferro e si guardò per un attimo indietro: quel tipo non solo aveva ucciso i quattro Scavii, ora stava neutralizzando anche le colonne che si erano risvegliate per fermarlo. Non aveva di certo bisogno del loro aiuto, e, anche se ce ne fosse stata la necessità, Ary non sarebbe mai andato in suo soccorso.

Chiuse la grata, spinse un bottone e la gabbia di metallo iniziò a scendere nel sottosuolo escludendoli dal caos che si era generato al primo livello di Distorcispazio.

«Ary?» Emma gli picchiettò su di un braccio, costringendolo a voltarsi verso di lei.

Si guardarono per un lungo istante, in silenzio, poi Ary digrignò i denti. «Lo sapevo che non dovevo portarti, guarda cosa hai combinato!»

Emma aggrottò la fronte, contrariata. «Prego? Io non ho fatto nulla!»

Ary le afferrò il volto con una mano, tenendole su il mento perché lo guardasse dritto negli occhi. «Cosa ti avevo detto prima di entrare? Non interagire con NESSUNO. E tu cosa hai fatto? Prima tiri una spallata a un Notturno, poi ti metti a chiacchierare con un Suurihale che se per caso avesse scoperto cosa sei ci avrebbe dato la caccia ovunque, poi, ovviamente, non potevi non fermarti a salutare il tuo caro amico Scavii!» sbraitò, concludendo la frase così frustrato da doversi allontanare da lei e voltarle le spalle.

La sentì tentare di far avvalere le sue ragioni, ma non sarebbe riuscito ad ascoltarla in ogni caso: nelle orecchie sentiva solo il pulsare frenetico del suo cuore e il respiro affannato. Poggiò le mani sulla parete di metallo e chiuse gli occhi, doveva calmarsi.

La gabbia si fermò, annunciando il loro arrivo al livello più basso della città, quattro piani sotto a dove infuriava lo strano Scavii. Ary aprì la grata, ed Emma tossì un paio di volte: l'aria in quel piano era densa e carica di vapori caldi, per i suoi deboli polmoni non doveva di certo essere facile da respirare.

La via che si aprì di fronte a loro era praticamente deserta e tutto sembrava dormire: molte porte erano chiuse o sprangate, anche gli occhi delle colonne erano spenti, segno che dovevano essere ancora impegnate al primo livello. Ary prese Emma per una mano e iniziò a tirarla; lei aveva sempre un passo troppo lento per i suoi gusti, ma, almeno, aveva imparato a non lamentarsi.

Arrivò di fronte alla porta che gli interessava, non si stupì nel trovarla chiusa a chiave e senza pensarci due volte la aprì con una spallata. Sentì chiaramente il rumore di qualcosa di piccolo che esplodeva, accompagnato poi da svariati sibili nell'aria nella sua direzione. E in quella di Emma. Si voltò stringendo l'umana contro il suo petto appena in tempo per ricevere sulla sua spalla una serie infinita di piccolissime scorie di metallo che gli martoriarono la carne, trapassandolo in alcuni punti. La prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu il volto contratto di Emma ricoperto di schizzi di sangue, suo prevalentemente. Notò una piccola scheggia di metallo, che si era aperta una strada rossa nella guancia di lei all'altezza dello zigomo, incastrata in quella pelle chiara. Alzò una mano nonostante le proteste della spalla che tentava di guarire ed estrasse il frammento. Emma gemette di dolore, strappandogli un sorriso: se lei si lamentava per un piccolo taglio sulla guancia, lui, con la scapola devastata, cosa doveva fare?

Lasciò cadere a terra la scheggia e si guardò la spalla: dalla sua carne fuoriuscivano pezzettini simili rigettati dalla pelle in guarigione. Si girò lentamente verso la fine del lungo corridoio in cui erano appena entrati.

Lo scarno Notturno-cyborg abbassò il fucile meccanicamente, aprendo la bocca e parlando senza articolare. «Ehi Ary, ti piace il mio nuovo giocattolo?»

L'umana dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora