Prima Manche - Gocce

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"Morgana!" lo squillo delle trombe vocaliche di madame Margot si rivelava più intollerabile di giorno in giorno e già il dottor Plotnikov (che per fregiarsi di quel titolo non vantava nulla più di un diploma) implorava il suo avvocato di trovare un cavillo legale attraverso il quale tentare una causa contro il signor Grosselli, inventore, per il fatto di averle progettate e fatte realizzare. Le trombe chiaramente, anche se Plotnikov rabbrividiva all'idea che si potessero chiamare così, erano in tutto necessarie a madame e sarebbe stata la peggiore villania implorarla di sbarazzarsene. Il dottore, che mai era stato sfiorato dal pensiero di esercitare la professione medica, aveva pertanto pensato quantomeno di tentare una vendetta per via istituzionale contro il genitore di quegli inferni meccanici, che tutto facevano fuorché rendere "piacevolmente armoniosa e frizzante" la voce dell'inferma padrona di casa diramata per tutta la casa fino ai gastropodi in ottone da cui vibrava violenta come la bora islandese.

Il dottore era, di fatto, un musicista. Componeva, salariato, in casa di madame, la quale non potendo più assistere ai concerti a causa della sua paralisi alle gambe, non sufficinetemente ricca per poter convocare un'orchestra alla propria residenza, si dilettava delle operette che Plotnikov scriveva in suo onore ed eseguiva offrendo una sera di paga a qualche amico dell'Accademia, a patto che portasse per conto proprio lo strumento. Va da sé che il dottore ritagliava per sé una parte di pianoforte o di violoncello, rassegnato al fatto che fosse Clement il flautista, ma rifiutandosi di fargli suonare il proprio duduk (madame Margot aveva mantenuto un attaccamento culturale all'origine armena della madre) in barba alla seria difficoltà di procurarsene uno. "Morgana!"

L'anziana Morgana, l'eternamente grigio vestita domestica, era indubbiamente l'unica persona in grado di prendersi cura dei bisogni di madame Margot, per quanto non la sola ad essere virtualmente disposta a lavarle le gambe. Saliva le scale con il passo silezioso e svelto di un fantasma e uno scoiattolo alzando appena gli orli della gonna come se potesse inciamaparcisi: non apparendo questo possibile il dottore ne aveva dedotto che si trattasse di un vizio scenografico.

Non era chiaro a nessuno come riuscisse a settant'anni suonati a spostare madame dal letto alla vasca e viceversa, né le due donne avevano mai ritenuto necessario raccontarlo a qualcuno; l'argomento anni prima era stato d'ispirazione a Plotnikov per un allegro per archi e pianoforte titolato "L'ultima delle amazzoni".

Il dottore immobile contemplava lo spostamento delle ombre dei diesis sui tasti bianchi del pianoforte, fatto che in sé costituiva una prova della longevità della sua apnea mentale. La sua musa lo osservava con il volto un paio di metri sopra il corpo dello strumento, più immobile di lui e da molto più tempo. Bruni riflessi catturavano l'attenzione nella fluidità innaturalmente rossa della chioma eternamente sparsa dal vento, un po' sollevata da forze invisbili, un po' cadente verso il basso come una fontana viscosa, come un pugno di serpenti, meraviglia figlia di mille carnevali e troppe leggende che qualche scalpellino aveva voluto accorpare alle veneri di botticelliana memoria. Le linee nettamente squadrate del volto e gli enormi occhi che parevano costanetemente lucidi facevano pensare che l'ideale di bellezza dell'autore risiedesse di più nel viso della Temperance dei tarocchi di Marsiglia. Ad aver perso la propria temperanza, ora, era più Plotnikov, da quando, da un paio di settimane, la polena dipinta fatta appendere nel magnifico salone che con una modestia spudoratamente falsa chiamava studio aveva smesso di sussurrare le sue melodie al mondo degli uomini di carne. Le squame della coda ritorta, il loro scintillio, non suonavano più ognuna con una nota differente, la sua luce non si rifletteva più sul pianoforte, le trombette squillavano e la musa era morta.

All'improvviso, dalle conchiglie, un frastuono subumano. Un tonfo, vibrante, ma pieno, come una cassa di risonanza implosa e vomitante ghiaia, un solo secondo. Doveva essere stato un colpo di tosse, accidentalmente virato nella cornetta di madame. Plotnikov, mentre già una goccia di sudore, come uno spiritello uscito a scoprire il mondo, sgusciava fuori da un poro della fronte, alzò lo sguardo alla polena issata sopra di lui. Lei gli fece l'occhiolino. Morgana comminava: un-due un-due un-due un-due. Madame tossiva: trruum trruum trruum trrum. Lo spiritello cadde dallo zigomo su un sol diesis. Le dita del dottore presero a muoversi, nella sua testa il colpi di tosse continuavano incessanti, le gambe dimentiche dei pedali presero a muoversi mentre la polena versò una lacrima, perché avrebbe voluto ballare anche lei.

"Dovrò chiedere al signor Grosselli se ha ancora uno di quei maledetti molluschi."


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