Capitolo 1

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Emily era una bellissima ragazza, con lunghi capelli biondi e occhi verdi, intensi, che sembravano scrutare tutte le persone che incontrava. Aveva un grande dono: era empatica, e riusciva spesso a comprendere, con un solo sguardo, il carattere delle persone. Negli occhi di James, il marito, aveva notato una grande bontà sin dal primo istante in cui l'aveva incontrato.
Si erano conosciuti durante una festa di laurea, e da allora erano diventati inseparabili.
Erano entrambi originari di New York, eppure il lavoro li aveva portati a Firenze, in Italia. Lo scopo della loro visita era semplicemente la vacanza, infatti sarebbero dovuti rimanere solo alcune settimane; invece si erano stabiliti in quella città. Era stata dura, all'inizio, rinunciare a tutto quello che avevano in America per trasferirsi in un nuovo paese, dove non conoscevano la lingua. Eppure, nonostante le difficoltà iniziali, non avevano mai rimpianto quell'improvviso cambio di programma.
Erano stati in una trattoria e, per deformazione professionale, James iniziato ad osservare le varie caratteristiche del vino, trovando alcune pecche. Il titolare della trattoria, informato dal cameriere, volle sapere dal giovane per quale motivo avesse giudicato il suo vino poco adatto. Egli spiegò in dettaglio quello che aveva riscontrato e il titolare capì che si trovava di fronte ad una persona seria e competente. Gli propose quindi di lavorare per lui e di controllare la qualità dei vini di ogni fornitore.
Decisero quindi di stabilirsi a Firenze e la giovane iniziò subito a cercare un lavoro: non le piaceva stare con le mani in mano e non voleva dipendere dal suo fidanzato. Trovò quindi un impiego come programmatrice. La sua vera passione, però, era l'informatica e la tecnologia ed avevano deciso di costruire, all'interno della casa che avevano acquistato, una stanza segreta dove poter fare esperimenti.
Una mattina si era svegliata con un brutto presentimento, e aveva chiesto al marito di non uscire. Ma lui doveva andare a lavorare: quel giorno aveva un appuntamento importante. E poi, le ricordò, di lì a poco non sarebbero più stati soli: ci sarebbe stata Sharon, la loro piccola erede (come già amavano chiamarla), che sarebbe nata nel giro di due mesi. Accarezzando il ventre della moglie, James sentì uno strano sussulto, anche da parte della bambina, ma credette che fosse la sua immaginazione.
- Ci vediamo più tardi, amore mio.
Questa era stata l'ultima frase dell'uomo, prima di uscire.
Emily si recò come di consuetudine al lavoro, con una strana apprensione che l'aveva accompagnata per tutta la giornata.
Non appena arrivò a casa, la sera, notò subito che c'era qualcosa di strano: una vettura dei carabinieri era ferma davanti alla sua abitazione. Due uomini in divisa stavano aspettando proprio lei. Non appena la videro, uscirono dalla macchina e le andarono incontro.
- Lei è la signora Tysser?
- Sì, sono io.
- Signora, mi dispiace davvero, ma devo comunicarle una brutta notizia: hanno investito suo marito. Purtroppo si trova in coma all'ospedale. Abbiamo bisogno di rivolgerle alcune domande.
Emily ebbe un mancamento, ma i poliziotti riuscirono a sorreggerla, prima che cadesse. Le consigliarono di entrare in casa; lì avrebbero potuto porle le domande necessarie, senza doverla portare in caserma.
Le mani le tremavano, e non riusciva ad aprire la porta. Qualcuno, dietro di lei, la aiutò. Si accomodarono nel salone e la aiutarono a sedersi. Uno dei carabinieri le portò un bicchiere d'acqua e, dopo qualche minuto, sembrò riprendere colore.
Il capitano Ryan cercò di allentare la tensione che si era creata domandando ad Emily che nome avrebbe dato al bambino. Lei sorrise debolmente e rispose. Dopo qualche istante il capitano riprese a parlare:
- Signora, abbiamo motivo di credere che quello che è accaduto a suo marito non sia stato un incidente. Un testimone afferma che l'auto ha accelerato, e dopo l'impatto non si è fermato a soccorrerlo. Non è riuscito a prendere il numero della targa, ma ci stiamo già attivando con diversi posti di blocco, anche se, purtroppo, è già passato diverso tempo. Che lei sappia poteva avere qualche nemico, oppure aveva avuto qualche discussione con qualche collega o con qualche altra persona recentemente?
- No, non mi sembra. Lui controlla la composizione dei vini, e non so se c'è qualcuno che possa avercela in questo modo con lui.
- Ha mai ricevuto minacce?
- No, mai.
- Per ora non abbiamo più domande da farle, ma le chiediamo di rimanere a disposizione. Se vuole, la possiamo accompagnare in ospedale.
- Sì, grazie.
Entrarono in auto, e durante il tragitto dalla casa all'ospedale, Emily rimase in silenzio, con lo sguardo assorto, accarezzandosi distrattamente il ventre, quasi a voler sentire quella presenza rassicurante e viva... già, almeno lei.
In quel momento la piccola creatura era l'unica che le dava la forza di andare avanti. Aveva paura di vedere il marito, ma più di ogni altra cosa temeva che non si sarebbe svegliato mai più. E questo non poteva sopportarlo. Avrebbe avuto voglia di gridare, di piangere, ma doveva essere forte, ed era consapevole di questo. Durante il tragitto cercò di ricordare quello che era successo negli ultimi tempi, chiedendosi se aveva notato qualcosa di strano, ma non ricordava nessun avvenimento particolare che avrebbe potuto insospettirla. Forse perché in realtà non era successo nulla, o forse era troppo sconvolta per ricordarsene. Decise quindi di non pensarci e di concentrasi per qualche istante su se stessa.
Dopo un tragitto che a lei sembrò interminabile, giunsero finalmente all'ospedale. Si diressero insieme all'accettazione e il capitano fece un cenno alla caposala che subito condusse Emily dal marito. Camminava pesantemente, quasi trascinandosi, e senza volerlo stava rallentando. Nelly se ne accorse e si fermò per darle la possibilità di raggiungerla.
- Signora, se vuole, può stare nella stanza insieme a suo marito, ma le consiglierei di andare a casa a riposare e di tornare, magari, domani mattina. Visto che aspetta un bambino sarebbe meglio riposare nel suo letto. Se dovessero esserci novità la chiameremmo immediatamente.
- Lo so; me ne rendo conto. Però sento il bisogno di stare insieme con lui. Vorrei che mi sentisse vicina.
- Come preferisce. Dovrà però indossare il camice per entrare. Se ha bisogno di qualcosa prema il pulsante che si trova accanto al letto, oppure ci venga pure a cercare. Siamo a sua completa disposizione. Mi creda, comprendiamo la sua situazione, ed io in particolare posso assicurarle che la presenza nella stanza di una persona cara non può che fare bene. Una volta è capitato anche a me, ed io sono rimasta tutto il tempo accanto a mio figlio. E' stata dura, e molto lunga, eppure insieme ce l'abbiamo fatta.
- Grazie.
Arrivarono vicino alla stanza. Lei si preparò indossando il camice ed entrarono insieme. Guardò il marito steso nel letto. Non sembrava neanche lui: aveva la testa fasciata ed era intubato. Tese la mano, fredda e tremante, verso il lenzuolo, cercando di sfiorare con le dita quelle di James. Non ce la faceva. Aveva paura di fargli male, e il lieve contatto che c'era stato l'aveva fatta ritrarre. Anche lui era freddo e sembrava non avere più un briciolo di vita dentro di se. Eppure il suo cuore batteva ancora, anche se aiutato dalle macchine. Questo le dava una debole speranza.
Si chiese quanto tempo sarebbe rimasto in quello stato, e sperava che potesse veder crescere la loro bambina. Prese la sedia che si trovava lì vicino e la mise accanto al letto. Respirò profondamente e si sedette; Nelly la guardò sorridendo e, con un cenno di saluto, uscì dalla stanza. Lei ricambiò il sorriso e rivolse il suo sguardo verso James. Sapeva che la caposala sarebbe venuta spesso a controllare la situazione, in fondo lo faceva con qualsiasi paziente.
Sospirando debolmente iniziò a parlare:
- Amore mio, ma cosa fai? Non mi vorrai lasciare sola proprio in questo momento? Te lo ricordi che fra un paio di mesi avremo una bambina? Lo sai che è il frutto del nostro amore? Ti prego, svegliati. Non potrei mai immaginare la mia vita senza di te. Non ci sono mai riuscita, fin dal primo momento che ti ho visto. Ti ricordi? Sheila ci aveva invitato alla sua festa di laurea. Io non ero mai andata da nessuna parte, ma quel giorno avevo deciso di accettare. Avevo paura di trovarmi male; sai come sono fatta: temo sempre di sentirmi emarginata, ma forse è un po' colpa mia. Il tuo sguardo, però, mi ha subito conquistata, dal primo istante. Non avrei mai immaginato di poter provare un amore così grande, ma soprattutto affiatamento e fiducia. Ricordo che, quando ti presentasti a me, mi colpì la tua stretta di mano: era sicura e forte; i tuoi occhi, però, rivelavano la timidezza. Sei stato il mio primo ed unico amore e sono contenta di aver avuto questa opportunità.
Ti prego, non abbandonarci proprio adesso. Abbiamo bisogno di te. Non sappiamo ancora cosa è successo, ma sono sicura che lo scopriremo.
Chiuse gli occhi, e si svegliò dopo alcune ore grazie a Nelly che, venuta a controllare la situazione, l'aveva trovata addormentata. La convinse ad andare a casa per riposarsi: rimanere lì, in quelle condizioni, non avrebbe giovato a nessuno.
Prese un taxi, dato che a quell'ora tutti i mezzi pubblici avevano già terminato le loro corse. Arrivata a destinazione mise la chiave nella toppa e, prima di girare, si guardò intorno, avendo la sensazione di essere spiata. Entrò e chiuse a quattro mandate, mise il chiavistello ed inserì l'allarme. Nonostante tutto questo non si sentiva sicura. Non le era mai successo e la sensazione che stava provando in quel momento non le piaceva affatto. Decise quindi di ispezionare la casa prima di coricarsi. Aprì ogni porta ed ogni armadio e, solo dopo essersi accertata che tutto fosse in ordine, si diresse in cucina. Nel lavandino ritrovò il bicchiere che aveva lasciato il capitano prima di andare in ospedale. Riscaldò un po' di latte e vi aggiunse del miele; questo, sperò, l'avrebbe aiutata a conciliare il sonno. Avrebbe voluto chiamare Silvia, la sua più cara amica, ma erano le 3 e, sicuramente, a quell'ora stava dormendo.
Con passi lenti si diresse verso la camera da letto, dando un'amorevole sguardo a quella che sarebbe stata la stanza della bambina: insieme avevano deciso di dipingere le pareti di rosa, e quel colore tenue la riempiva di tranquillità e di pace. Sorrise e spense la luce.
La camera era fredda: una finestra era rimasta aperta. Eppure si ricordava di averla chiusa; forse era la sua immaginazione, o James si era dimenticato di richiuderla. Già, ma che motivo avrebbe avuto per fare una cosa del genere? Inconsciamente accese la luce e controllò nell'unica stanza in cui non aveva ancora guardato. Era tutto normale o c'era qualcosa fuori posto? No, ad un primo sguardo ogni cosa sembrava essere in ordine.
Si distese e cercò di rilassarsi, ma subito si alzò: aveva dimenticato di chiudere la tapparella. Guardò le luci di Firenze che, in quel momento, la rincuoravano. Lasciò una lampadina accesa vicino al comodino. Era un fantasmino che emanava una debole luce blu. Si era talmente abituata a quel colore che ormai non le dava più fastidio.
Sospirò e cercò di capire per quale motivo qualcuno avrebbe potuto volere tanto male a suo marito da tentare di ucciderlo. A New York sarebbe successa la stessa cosa? Non l'avrebbe mai saputo. In fondo ora si trovava lì e quella era la cosa che contava più di tutte. Come amava sempre dire il marito, se è destino che una cosa succeda, succederà ovunque tu sia. Con questo ultimo pensiero chiuse gli occhi e si addormentò profondamente.

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