Capitolo 2

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Si svegliò la mattina seguente, pronta per affrontare una nuova giornata. Pensò di avere ancora solo poche settimane di lavoro, e poi sarebbe rimasta a casa per la maternità. Chiuse tutte le porte e tutte le finestre ed inserì l'allarme digitando il codice. Girò la chiave nella toppa e si diresse a piedi al lavoro. Durante il tragitto si guardò più volte intorno, sentendosi osservata, e in ufficio riuscì malamente a concentrarsi. Avrebbe dovuto comunque fare del suo meglio: era una programmatrice e sapeva di non poter sbagliare. Il titolare della ditta aveva sempre detto che la vita privata non avrebbe dovuto in alcun modo intralciare e compromettere quel delicato lavoro. Già, ma come avrebbe fatto in quel caso? Sapeva che non avrebbe accettato giustificazioni, quindi cercò di dare il massimo. Quando si accorse che la situazione stava iniziando a sfuggirle di mano, per la prima ed unica volta ricorse ad un finto malessere. In fondo nella sua condizione non sarebbe stato così strano. Due colleghi la accompagnarono fuori e lei rimase lì, sola con i suoi pensieri, fino a quando non sentì qualcuno arrivare alle sue spalle. Era Stefano, il suo collega, che, preoccupato, era uscito per cercarla. Aveva notato che il suo viso era rigato di lacrime, e sentiva la sua voglia di parlare e di confidarsi.
- Cosa ti succede? E' tutta la mattina che sei strana.
- Vorrei dirti che non succede niente, che è solo un normale malessere, ma non è così. Hanno investito mio marito, è in coma in ospedale, ma non è stato un incidente. Hanno cercato di ucciderlo, ed io sto diventando paranoica. Ieri sera i carabinieri mi hanno chiesto se avevo notato qualcosa di strano e, stamattina, quando sono tornata a casa dall'ospedale, ho trovato la finestra della camera da letto aperta. Per non parlare della sensazione di essere seguita e spiata.
- Perché non ne parli con i carabinieri?
- No, penso che siano solo le mie paure.
- Ascolta, stasera ti accompagno a casa. Preferisco venire insieme con te e, se davvero c'è qualcosa che non va, potrei rimanere a farti compagnia.
- Ti ringrazio per il pensiero, comunque avevo intenzione di tornare a casa per prendere un libro e le chiavi della macchina: voglio andare da James.
- Ok, ma insisto per venire. Sappi che ci tengo a te.
In realtà, Stefano era segretamente innamorato di Emily, anche se era consapevole del fatto che sarebbe stato sempre solo un sogno. Ma gli bastava vederla felice per poter stare bene anche lui. Evidentemente non sarebbe stata lei la donna della sua vita.
Sollevata da quell'incontro si mise di nuovo a lavorare, ancora più ristorata dopo essere stata alla mensa: la sua bambina, forse ancora inconsapevole di quello che stava succedendo, reclamava l'attenzione della mamma "ricordandole" che avrebbe dovuto mangiare. Eppure Emily se lo sentiva: la piccola Sharon "sapeva"; sentiva che la mamma era agitata e, di conseguenza, cercava di calmarla dandole dei calci, facendole quindi sentire la sua presenza.
Alla fine della giornata, come concordato, ritornò a casa insieme al suo collega. Una volta giunti davanti all'abitazione si fermarono con il cuore in gola: una figura si stava muovendo all'interno, esattamente nella sua stanza da letto. Era sicuramente un uomo, non molto robusto ma neanche troppo esile, che indossava una tuta nera ed aveva il volto coperto da un passamontagna. Come se sentisse di essere osservato si girò e, vedendo l'auto lì fuori, saltò giù dal balcone e scappò via. Dalla macchina Emily chiamò il capitano Ryan che suggerì di restare all'aperto fino al loro arrivo. Le sembrava così assurdo, eppure era successo veramente. Ma come era riuscito ad entrare senza far scattare l'allarme? Forse sapeva il codice. Già, ma in che modo l'aveva scoperto?
Dopo pochi minuti una volante dei carabinieri arrivò a sirene spiegate. Due uomini entrarono nell'abitazione indossando calzari di plastica per non cancellare eventuali impronte. Utilizzando i loro strumenti cercarono tracce che avrebbero potuto dare un nome ed un volto al ladro. Non trovarono nulla, neanche un'impronta eccetto quelle di Emily e James. Forse questo voleva dire che si trovavano di fronte ad una persona esperta e non ad uno sprovveduto. Dopo qualche tempo uscirono, lasciando entrare la donna.
- Signora, mi rincresce rivederla, soprattutto in questa situazione. Torno a chiederle se si ricorda di aver notato qualcuno o qualcosa di strano.
- No... anzi, una cosa c'è, ma non so se può essere utile, o se è stato un errore di mio marito.
- Si spieghi meglio.
- Vede, ieri sera, quando sono tornata, ho trovato la finestra della camera da letto un po' aperta. Io ero convinta di averla chiusa quando me ne sono andata; forse James, quando è tornato per il pranzo, è uscito ad innaffiare le piante ed ha dimenticato di chiudere o...
- Io propenderei per la terza ipotesi: qualcuno è entrato nella sua camera, per cercare qualcosa, e poi, per un motivo o per un altro, ha dovuto aprire la finestra. Ora le chiedo gentilmente di poter controllare se in casa sua manca qualcosa. Questo potrebbe essere un caso, oppure può trattarsi dello stesso uomo che ha investito suo marito.
Entrarono insieme, muovendosi con cautela, e si diressero immediatamente verso la camera da letto. Aprirono cassetti ed armadi, anche se Emily era convinta che avrebbe trovato tutto a posto: in casa non aveva niente (non portava gioielli e, l'unico anello che aveva, lo portava al dito insieme alla fede); l'unica cosa che, per loro, aveva un valore inestimabile, era la loro collezione di libri. Pensierosa, aprì una scatola e vi trovò alcune lettere che aveva scritto a lui da quando si erano messi insieme fino al giorno del matrimonio. Non sapeva che le avesse conservate. Sorrise teneramente al ricordo.
- Perdoni l'indiscrezione, cosa c'è in quella scatola?
- Lettere. Tutte quelle che gli ho scritto fino al giorno del nostro matrimonio. Avevo l'abitudine, o forse il vizio, di scrivergli almeno una volta alla settimana; mi sa che ricomincerò a scrivere. In fondo, è l'unico modo che ho per sollevarmi e non pensare.
Girò lo sguardo per tutta la stanza, ma le sembrava che fosse tutto a posto. All'improvviso si arrestò, avendo notato qualcosa di strano. Si avvicinò alla libreria ed osservò lo spazio vuoto tra due libri. Si fermò a riflettere: cosa poteva mancare? Dopo qualche secondo ricordò: era un libro che parlava di vini.
- Non capisco, che senso ha?
- Come dice?
- Dicevo che non ha senso: manca un libro sui vini. Stamattina, però, c'era.
- Ne è sicura?
- Sì, ne sono assolutamente certa. Ma non capisco. Che valore potrebbe avere un libro del genere? Se avessero rubato una bottiglia di vino, avrei potuto capire, ma un libro?
- Signora, non ha mai pensato che suo marito possa aver scoperto qualche irregolarità e possa aver nascosto le prove in un libro?
- Cosa vuole dire?
- Voglio dire che i pezzi del puzzle si stanno ricomponendo.
- Posso capire qualcosa anche io?
- Certo, le spiego subito. Se suo marito fa bene il suo lavoro, e questo ne darebbe la conferma, deve controllare la composizione dei vini. In questo periodo, però, alcuni produttori stanno cercando di vendere vini che, in realtà, non hanno niente a che vedere con quelli veri. Probabilmente suo marito, nel fare il suo lavoro, è entrato in contatto con qualcuno di questi venditori. Forse, avendo sentito di recente questa notizia al telegiornale, ha ben pensato di fare una copia del documento, in modo da poterlo portare a noi. Qualcuno, però, ha scoperto il suo piano ed ha cercato di ucciderlo per evitare che le carte finissero nelle mani giuste.
- Interessante come ricostruzione, ma lei pensa seriamente che se avesse trovato una cosa del genere, l'avrebbe nascosta in un libro di vini?
- Beh, non è così assurdo. E poi vorrei farle notare che non è stato solo il mio pensiero.
- Certo, ha ragione, ma io l'avrei nascosto da qualche altra parte. Per esempio in un altro libro oppure...
- Oppure?
- Beh, se fossi stata nella sua stessa situazione ne avrei fatto una scansione, protetta da password ed avrei effettuato almeno una copia, che manderei a qualcuno di fiducia. In questo modo, qualora mi succedesse qualcosa, qualcuno sarebbe in grado di portare a termine quello che non sono riuscita a fare. Provo ad accendere il computer.
In effetti James aveva fatto una copia del documento ma l'aveva protetto con un software di riconoscimento visivo.
- In pratica può aprirla solo lui. Per quanto riguarda la copia, penso che l'abbia mandata via, ma mi domando a chi.
- Beh, la cosa più importante è averlo trovato. Perdoni l'ipotesi, ma se non si dovesse svegliare, dovremo ricorrere ad un tecnico per la forzatura.
- Se si tratta di questo posso farlo io: sono esperta in informatica. Però preferirei aspettare che si svegli, oppure sapere a chi ha mandato la copia. Meglio ancora se si trovasse l'originale.
L'appuntato Moretti, però, sembrava propendere per la forzatura. Ad Emily la cosa sembrò alquanto strana: non si fidava di quella persona, aveva una luce particolare negli occhi, quasi inquietante. In ogni caso avrebbe compiuto qualsiasi operazione fuori dalla casa: sicuramente qualcuno aveva messo una microspia o peggio una telecamera nascosta; quello, credeva, sarebbe stato l'unico modo per scoprire il codice dell'allarme.
Ulteriormente angosciata da quel pensiero si diresse sospettosa verso la camera. Prese le chiavi, un libro, una penna ed alcuni fogli: avrebbe scritto delle lettere al marito e gliele avrebbe lette mentre le scriveva. Poi le avrebbe conservate, e sarebbero andate ad aggiungersi a tutte le altre.
Arrivata alla macchina si fermò, assalita da un dubbio atroce. Guardò il capitano Ryan che ricambiò lo sguardo e chiamò una squadra di artificieri per controllare che sotto la macchina non ci fossero bombe. Fortunatamente era tutto a posto, ma decisero di metterle a disposizione tre persone: una avrebbe controllato la casa, una la macchina ed una sarebbe stata l'ombra di Emily fino a quando non avessero scoperto il responsabile di tutti i fatti. Sempre inquieta ma un po' più tranquilla, si diresse verso l'ospedale. Dopo essere arrivata salì direttamente nel reparto dove si trovava il marito. Si sedette sulla sedia accanto a lui ed iniziò a parlare e contemporaneamente a scrivere:
"Amore mio, sono qui accanto a te, con un foglio ed una penna in mano. Ti scrivo quello che ti sto dicendo, e ti dico quello che sto scrivendo. Ieri sera, tornando a casa, ho trovato due carabinieri ad attendermi. Mi hanno detto quello che ti era successo, cioè che ti avevano investito e che eri stato portato qui. Beh, non è stato un incidente; qualcuno deve volerti veramente male per fare una cosa del genere. Ma come mai? Cosa puoi aver fatto di tanto grave? Il capitano Ryan crede che questo sia dipeso dalla tua eccessiva professionalità. Certo, qui in Italia sono veramente strani: li ho sentiti parlare di precisione e rispetto delle leggi, ma quando succede una cosa del genere sono capaci di dirti che sei stato troppo preciso e che non è così necessario prendere tutto alla lettera. Bravi, dico io, come si fa però a distinguere il momento giusto da quello sbagliato? Io penso che tu abbia fatto bene ad essere così rigido, anche se la tua (e le nostre) vita è stata sconvolta.
Ho trovato il file che hai scannerizzato; geniale l'idea di proteggerlo con una password visiva. Vuol dire che, stando insieme, qualche idea tecnologica si è trapiantata dentro di te. Ok, sto scherzando. Comunque l'appuntato ha cercato di proporre la forzatura del file ma qualora questa cosa debba essere necessaria voglio farlo io; non mi fido di lui, ed ho seri dubbi che sia sicuro anche stare in casa: qualcuno è entrato disinserendo l'allarme, il che mi fa pensare di essere spiata, anche se non so ancora né come né da chi. E' una sensazione veramente brutta.
Mi hanno messo tre persone a disposizione, anche se non ne sono proprio entusiasta. L'unica fortuna è che in casa, con me, ci sarà una donna, che mi seguirà anche al lavoro. Mi sembra una brava persona, si chiama Veronica ed è molto cordiale. Non la conosco ancora bene, ma credo che andrò d'accordo con lei. Ho in mente una cosa per fare in modo che solo noi potremo accedere in casa. Certo, prima bisognerà controllare che non ci siano telecamere o altro. Poi sarà la casa più sicura che sia mai esistita. Non ti anticipo niente, ti aggiornerò sui vari progressi. Bene, ora ti devo salutare. Sta arrivando Nelly, l'infermiera. Tornerò domani. Buona notte amore mio."
Dopo aver rimesso il cappuccio alla penna piegò il foglio e lo sistemò su un tavolino che si trovava vicino al letto. Incrociò lo sguardo della caposala e le sorrise.
- Ti vedo meglio questa sera. Mi fa piacere.
- Beh, sì, ma non sto tanto bene. No, la bambina non ha niente. E' solo che ho trovato un ladro in casa al mio ritorno dal lavoro. Mi sembra una situazione così assurda... qualcuno ha cercato di uccidere mio marito, e quasi sicuramente è la stessa persona che è entrata in casa mia, disattivando l'allarme. Non mi sento sicura.
- Posso capirti; anche a me è successo un avvenimento simile.
- Scusa se te lo chiedo... mi parleresti di tuo figlio? Mi rassicurerebbe ascoltare le tue parole: nel tuo caso, alla fine, tutto è andato bene.
Un groppo alla gola impedì a Nelly di parlare: le faceva male ricordare l'accaduto. Si rendeva conto che avrebbe potuto essere un sollievo per lei, ma le parole non le uscivano. Le lacrime iniziarono a scorrerle sul viso, ed Emily si alzò, dirigendosi verso di lei, e la strinse in un caldo abbraccio.
- Scusami, sono stata così insensibile...
- No, non ti preoccupare. Mi rendo conto che questo non può farti che bene, quindi ti racconterò quello che è successo. Ora però è tardi e ti conviene andare a casa. Facciamo così: sabato non sono di turno, ma se tu ci sei verrò volentieri, così ti terrò compagnia. Ora posso fare poco: devo andare anche dagli altri pazienti.
- Non ti preoccupare. Sto andando via. Se per te non è un disturbo, ci vediamo sabato.
Si lasciarono con un sorriso e, prima di andarsene, Emily si chinò sul marito sfiorandogli la guancia con un lieve bacio. Uscì dalla stanza e si diresse insieme a Veronica alla macchina. Filippo, l'agente in borghese, vedendole arrivare, si diresse verso di loro, ed insieme tornarono verso casa. Lì avrebbero trovato Daniele, l'altro agente che stava sorvegliando l'abitazione. Il capitano Ryan aveva chiesto loro un rapporto dettagliato almeno due volte al giorno. Il ladro sarebbe tornato? No, ne era certa; qualcuno lo avrebbe avvertito di non fare mosse false, dato che la casa, la macchina e lei stessa erano sotto scorta ma... un pensiero le balenò nella mente: sicuramente sapeva che il marito si trovava in ospedale e non avrebbe avuto occasione migliore per portare a termine il suo folle progetto, miracolosamente fallito. Chiese all'agente che stava di guardia se poteva tornare indietro: forse il marito era in pericolo. Cercarono di farla calmare, ma chiamarono il comando che c'era in ospedale, chiedendo di piantonare la stanza fino al loro arrivo. Fortunatamente giunsero in  tempo: l'uomo era entrato nella stanza ma non era riuscito a portare a termine il suo intento; era però riuscito a fuggire.
Tornarono tutti a casa e fecero sedere Emily, ancora sconvolta. La segreteria telefonica lampeggiava: era Silvia, la sua amica, che le chiedeva notizie dopo che non aveva ottenuto risposta da nessuno alle varie chiamate che aveva fatto. Sospirando, la donna cancellò il messaggio, ripromettendosi di chiamarla.
Quella notte non riuscì a dormire; il pensiero andava sempre all'uomo misterioso e alla consapevolezza che, solo per uni miracolo, il marito era ancora "vivo". Già... forse, però, quella era una parola imprecisa. Preferiva pensare che fosse in un altro mondo, e che magari stesse vegliando su di lei, proprio come un angelo.
- Perché non ti svegli? Io ti voglio qui, accanto a me.
Sentendola piangere e parlare, Veronica si precipitò nella sua stanza. Era convinta, infatti, che fosse entrato qualcuno. Accese la luce della camera e puntò la pistola verso il letto. Vi trovò soltanto Emily; aveva una strana espressione sul volto, dovuta alla luce che, violentemente, era entrata nei suoi occhi, da troppo tempo aperti. Si sedette accanto a lei, sul letto, e la abbracciò con tenerezza.
- Mi dispiace. Umanamente non posso capirti: non mi è mai successa una cosa del genere. Se può esserti di conforto, avrai tutto il mio appoggio: la tua sofferenza è evidente e, anche se non dovrei farmi condizionare, mi rincresce non poter fare niente per darti almeno un po' di sollievo.
- Sei buona, e si vede. Ti ringrazio di cuore per queste tue parole. Sai, prima stavo pensando che James, in questo momento, potrebbe essere in un mondo parallelo. Una volta ho letto le esperienze di persone che, durante il coma, avevano viaggiato fuori dal loro corpo. La loro anima si era elevata, e raccontavano il loro passaggio attraverso un corridoio buio, alla fine del quale c'era una luce. Terminavano il loro viaggio risvegliandosi. Vorrei che fosse così.
- Te lo auguro di cuore. Forse è proprio quello che sta succedendo a lui. Ora, però, dovresti dormire: restare sveglia non fa bene né a te né alla bambina. Questo te lo posso dire con certezza, visto che anche io sono una mamma.
Sorrisero entrambe, l'una al ricordo della gioia di diventare mamma, l'altra al pensiero di quell'esserino (come la chiamava ogni tanto) che di lì a poco sarebbe diventata la loro piccola creatura.
Si distese e chiuse gli occhi. La stanchezza si impossessò di lei e si addormentò. Durante la notte fece uno strano sogno: si era ritrovata in un campo ma, guardandosi intorno, aveva capito che quello non era un prato qualsiasi. Aveva notato che il colore dell'erba era particolare, di un verde brillante, mai visto. Si chiese dove fosse ma, soprattutto, se quello che stava facendo era un sogno oppure stava succedendo realmente. La bambina si muoveva dentro di lei, e sembrava che volesse spingerla a muoversi. Fece qualche passo in avanti e si fermò improvvisamente: James era a pochi metri da lei e la guardava con grande amore. Molte lacrime iniziarono a cadere, un po' per l'emozione che le aveva procurato quell'incontro, un po' per la paura che quello non fosse un sogno. Possibile che fossero morti entrambi? La bimba non era dello stesso parere e scalciò piano, come per far capire alla mamma che dovevano per forza essere vive (almeno loro): lei ne era la prova. Sorrise e andò incontro al marito. Si abbracciarono teneramente, proprio come avevano fatto fino alla mattina dell'incidente. I loro corpi erano caldi, ed il contatto le sembrò molto reale.
- Amore mio, non piangere. Non ti devi preoccupare per me: sto bene, e mi sveglierò. Fidati di me. Tu devi riguardarti.
- Io non capisco... sto sognando? Mi sembra tutto così reale. Vorrei stare sempre accanto a te, vorrei che ti svegliassi, vorrei capire.
- Non è possibile: quello che mi sta succedendo va al di là di ogni umana comprensione. Perfino io non riesco a spiegarmi quello che sto vivendo. Non so dirti se questo è un sogno, oppure è la realtà, e non credo che mi ricorderò di quello che sta accadendo, ma sono sicuro di una cosa: l'amore che provo per te e quello che tu mi fai sentire ogni giorno, mi aiuteranno a riportare la mia anima nel mio corpo. Non smettere mai di amarmi.
- Non ci riuscirei nemmeno se me lo imponessero.
Un dolce sorriso le donò una pace immensa. Si distesero su quel prato, mano nella mano, ed osservarono, entrambi rapiti dallo spettacolo, quello splendido cielo che li sovrastava. Aveva un colore particolare, intenso, pulito.

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