Non riuscivo a credere che fosse davvero lì con me, di sua spontanea volontà poi. Soprattutto, però, non riuscivo a credere che, proprio quando avevo deciso di lasciarmela alle spalle, di andare avanti con la mia vita, fosse ricomparsa proponendomi addirittura una chiacchierata sul suo essere lupo. E io le avevo detto di sì subito, senza neanche pensarci, dimenticandomi completamente del mio proposito di dimenticarla: perché?
Sapevo benissimo che continuare ad insistere sarebbe stato solo dannoso, ma mi era bastato rivederla per tornare a desiderare di saperne di più, per sentire di nuovo quella strana attrazione verso di lei. Che aveva di tanto speciale? A parte la licantropia, ovviamente. Niente, era una ragazza come tante: occhi marroni, capelli castani, viso carino ma niente di più.
Eppure mi tremavano le mani quando ero salito in auto, avevo avuto paura che mi si incrinasse la voce, non ero stato sicuro di quello che dicevo. Che mi stava succedendo? Era una specie di reazione involontaria? Magari troppa paura repressa mi stava facendo perdere il controllo a poco a poco. Qualunque cosa fosse, non mi piaceva: non potevo permettermi di non avere il controllo della situazione con lei vicino. Non ora che sembrava decisa a dirmi qualcosa di sé.
«Bene.» Commentò con il tono di voce di chi deve farsi forza per affrontare qualcosa di spiacevole ma necessario. «Andiamo?»
Prima che potessi anche solo valutare se fosse il caso o meno di dirlo, le parole uscirono fuori da sole: «Non sei obbligata a farlo. Per niente.»
Mi guardò negli occhi con più naturalezza delle altre volte e senza la sua solita aria di sfida. «Lo so, me l'hai già detto. Ma... è giusto così, okay? Facciamolo e non pensiamoci più.»
Non mi diede neanche il tempo di ribattere: scese dall'auto e chiuse lo sportello. Rimasi a fissarla attraverso il finestrino per qualche secondo prima di decidermi a raggiungerla. Quando le arrivai accanto mi lanciò un'occhiata veloce e distolse subito lo sguardo. Giocherellava nervosamente con le maniche della felpa che indossava e che le stava decisamente grande: nascondeva il suo corpo facendola sembrava ancora più minuta di quanto non fosse in realtà.
Fece per entrare nel bar, ma la fermai prendendola per un braccio e facendola girare verso di me. La distanza tra noi due si ridusse notevolmente. Le sue iridi marroni trovarono le mie come se fossero state attratte da una calamita. Non c'era traccia di rabbia nel suo sguardo, solo malcelato interesse.
«Non voglio che tu ti senta obbligata...» Cominciai.
«Ancora? Finirai per farmi venire i sensi di colpa.» Le sue labbra si incurvarono in un sorriso quasi timido di cui sembrava non essersi accorta. «Non mi hai obbligata a fare nulla. Sono venuta io da te, è stata una mia scelta. È una cosa di cui non parlo volentieri, questo sì, ma è okay, davvero.»
Mi morsi il labbro inferiore, combattuto: mi stava dando quello che volevo, perché non riuscivo a smettere di sentirmi in colpa? L'aveva detto anche lei che aveva scelto di sua spontanea volontà, quindi non avevo motivo di essere così nervoso.
Trassi un respiro profondo ed annuii cercando di convincere più che altro me stesso che stava andando tutto bene. «Sì, lo so... Scusa, non ti sto rendendo le cose facili.»
«Già. È da quando mi hai quasi investita che mi complichi la vita.» Mormorò.
Le lasciai il braccio tornando a mordermi il labbro. «Immagino di dovermi scusare anche per questo.»
Sollevò lo sguardo su di me. «Se mi offri una cioccolata calda ti perdono.»
Per un qualche strano motivo mi rilassai e riuscii ad abbozzare un sorriso. «Okay, sì, si può fare.»
«Bene.» Commentò con aria determinata: di lei si potevano dire molte cose, ma non che non sapesse cosa voleva.
Entrammo nel bar e prendemmo posto ad un tavolino piuttosto isolato che ci avrebbe permesso di parlare tranquillamente. Quel locale era piccolo ed arredato in modo semplice ma comunque curato: i tavoli e le sedie erano di legno dipinti di verde chiaro, il pavimento era di parquet scuro, il bancone era di mogano e marmo bianco; le finestre avevano i ventri colorati che riempivano la stanza di giochi di luce quando venivano attraversati dalla luce del sole.
Scarlett appoggiò i gomiti sul tavolo, le mani coperte dalle maniche della felpa. Si guardò intorno incuriosita e io non riuscii a fare a meno di osservarla: mi sembrava impossibile che una creatura forte e potente come un licantropo si nascondesse in lei; sembrava così... normale, la classica adolescente che non si piace e che cerca di trovarsi un posto nel mondo. Invece dentro di lei c'era un lupo, rabbioso e pronto a venire fuori in qualunque momento. Era una bomba ad orologeria, sarebbe bastata una parola di troppo, un gesto frainteso e potevo rimetterci la vita.
Avrei dovuto avere paura di lei, sarebbe stato più che normale, invece la guardavo affascinato: il modo in cui gestiva se stessa e ciò che si portava dentro, le sue iridi marroni banali eppure ardenti in qualche modo, il suo carattere spigoloso... tutto questo mi mandava in confusione e rendeva inutili sia il buon senso che l'istinto di sopravvivenza.
«Vuoi passare il pomeriggio a fissarmi? Pensavo fossi ansioso di parlarmi... Se hai cambiato idea non c'è problema, solo che è un po' inquietante sentirsi costantemente osservati.» Commentò facendomi trasalire.
Incrociai i suoi occhi marroni che mi studiavano cauti: probabilmente stava cercando di intuire quali sarebbero state le mie mosse, le mie domande. «No... Scusa, ero sovrappensiero. Vuoi ordinare prima che... cominciamo?»
Si strinse le braccia al petto appoggiando la schiena alla sedia. «Sì.»
Annuii e richiamai la cameriera con un cenno. Raggiunse subito il nostro tavolo, sorridente ed allegra nella sua uniforme blu.
«Volete ordinare?» Domandò con il blocchetto in una mano la penna nell'altra.
«Una cioccolata calda e un caffè.» Stavo diventando un po' troppo dipendente dalla caffeina, ma quello non era il momento di preoccuparsene.
«Caffè normale o macchiato?» Volle sapere la cameriera mentre scribacchiava le nostre ordinazioni sul taccuino.
«Macchiato.» Risposi senza curarmi di quello che dicevo: poteva anche avermi proposto di metterci della vodka per quanto le avevo prestato attenzione.
«Bene, arrivano subito.» Disse lei infilando la penna nella tasca del grembiule per poi dileguarsi velocemente tra i tavoli.
Mi passai una mano tra i capelli e cercai di mettere in ordine i miei pensieri, cosa che si rivelò essere piuttosto complicata.
«Dalla tua espressione sembra che sia tu quello sotto pressione qui. Per caso ti è sfuggito il fatto che devi solo farmi delle domande? Tocca a me rispondere.» La voce di Scarlett, venata di sarcasmo, mi fece alzare lo sguardo su di lei senza che fossi stato io a deciderlo.
Trassi un respiro profondo. «Okay, okay, ci sono. Hai detto di non essere nata così, giusto?»
Un muscolo sulla sua guancia si contrasse appena. «Già.»
«Da quello che ne so, per diventare un licantropo si deve essere morsi da un altro lupo... tu sei stata morsa?» Faticai io stesso a sentire le mie parole.
Lei abbassò lo sguardo sul tavolo e notai che aveva le mani strette a pugno così forte che le nocche erano diventate bianche. «Sì. Ma avevamo detto niente domande personali, quindi direi che è meglio se ti tieni più sul generale.»
«Oh... Sì, scusa.» Mormorai.
Scrollò le spalle. «Non fa niente. Va' avanti.»
Le lanciai un'occhiata di sottecchi. «Come funziona il plenilunio? Voglio dire, ogni mese tu... cioè, i licantropi perdono il controllo?»
«Diciamo che più che altro sentiamo di più l'istinto primitivo di uccidere. Ognuno lo ha dentro di sé, anche la persona più pacifica. I lupi mannari lo percepiscono di più praticamente sempre, è per questo che abbiamo... qualche problemino con il controllo della rabbia. La luna piena risveglia la voglia di sangue, sai, quella che hanno tutti i predatori. Un lupo normale, diciamo, uccide per sfamarsi; una volta sazio smette. Un licantropo, con il plenilunio, non riesce a fermarsi.» Mentre parlava sollevava di tanto in tanto lo sguardo, come se neanche se ne accorgesse.
Annuii cercando di assimilare meglio che potevo le sue parole: istinto primitivo di uccidere... Era più pericoloso di quanto pensassi. «Mmh... E le zanne e gli artigli? Voglio dire, sono retrattili come quelli dei gatti?»
Inarcò un sopracciglio, sorpresa. «Non mi sono mai paragonata ad un gatto, ma... Sì, credo che più o meno sia la stessa cosa.»
Non era facile come avevo pensato inizialmente farle domande senza scendere troppo nei dettagli. «I licantropi possono tirarli fuori a loro piacimento?»
«Esatto. Ci vuole un po' d'esercizio per imparare a farlo, ma sì, possiamo comandarli.» Mi fece cenno di guardare sotto il tavolo. «Ti faccio vedere.»
Mi sporsi di lato e lei fece lo stesso. Allungò una mano verso di me mantenendola nascosta e, come per magia, le sue unghie si allungarono e divennero più spesse: per la forma ed il colore più scuro sembravano gli artigli di un lupo, affilati e pronti all'uso. Sollevai lo sguardo su di lei e notai una lieve sfumatura dorata nei suoi occhi.
Senza pensare a quello che dicevo, mi ritrovai a chiedere: «E l'oro nelle iridi?»
Indietreggiò di scatto ripristinando la distanza tra noi. Sbatté le palpebre lasciando che il marrone tornasse a predominare nei suoi occhi. «Non è niente di che, penso sia solo un segno del nostro... potere.»
Prima che potessi dire altro, la cameriera ricomparve, ancora sorridente. Aveva in mano i bicchieri di carta contenenti le nostre ordinazioni. Le posò sul tavolo insieme a qualche bustina di zucchero.
«Ecco qua.» Aggiunse. «Volete altro?»
Lanciai un'occhiata a Scarlett: teneva lo sguardo basso, sembrava ansiosa di andarsene. E la capivo. «No, grazie. Siamo a posto così.»
«Perfetto.» Concordò la cameriera prima di avvicinarsi al tavolo accanto al nostro.
«Immagino che tu abbia altre domande, mmh?» Chiese Scarlett prendendo il suo bicchiere con entrambe le mani e fissandolo cupa.
«Sì.» Ammisi. «Ecco... La storia dell'argento è vera?»
Mi lanciò un'occhiata di sottecchi e giurerei di averla vista sorridere. «Più o meno.»
«Che vuol dire? Sì o no?» Insistetti guardandola.
Prese un sorso di cioccolata prima di rispondere. «Non è molto saggio rivelare informazioni del genere ad uno sconosciuto, sai?»
Rimasi interdetto: rischiavo di non ricevere nessuna informazione utile se continuavo a fare domande a caso. "Utile a fare che?", chiese una vocina nella mia mente. Non ci avevo pensato, non mi ero mai chiesto cosa avrei fatto se fossi riuscito ad ottenere delle risposte. Ero stato troppo preso dal cercare di dare un senso a quella strana attrazione verso di lei per riflettere in modo concreto. Mi maledissi da solo: ora che avevo la possibilità di parlarle non riuscivo a fare una domanda decente?
«In effetti...» Convenni mio malgrado.
«Già. Devi avere un po' di buon senso quando ti esponi.» Commentò lei.
«Vero. Allora perché non cambiamo un po' le cose? Dimmi quello che vuoi, quello che non ti rende nervosa e che non posso... uh, usare contro di te, che ne pensi?» Proposi prendendo il mio bicchiere. «Così evito anche di farmi ammazzare per la domanda sbagliata.» Aggiunsi a voce più bassa parlando più per me che per lei.
«Non ti ammazzerei a prescindere. Voglio dire, non ti rivelerei mai niente di così compromettente.» Replicò lei appoggiando i gomiti al tavolo e osservandomi.
Schiusi le labbra, sorpreso: come aveva fatto a sentirmi? Avevo usato un tono molto basso... così basso che una persona normale non avrebbe dovuto capire quello che avevo detto. A meno che...
«Roba da licantropi. Credevo ti fossi informato. Abbiamo tutti i sensi più sviluppati: udito, vista, olfatto... Tutto.» La voce di Scarlett tradiva una nota d'ironia.
«Come... come sai che ho cercato delle informazioni sui licantropi?» Domandai quasi senza rendermi conto che mi aveva dato dei dettagli sui lupi mannari.
«In realtà non ne ero sicura, ma sono andata un po' ad intuito: visto che ti interessava tanto saperne di più ho pensato che magari avevi fatto qualche ricerca. E poi mi sembri ben informato.» Spiegò.
Mi sentii quasi messo all'angolo perché sì, in effetti ogni tanto mi ritrovavo a leggere leggende antiche e strani articoli sui licantropi e sul soprannaturale in generale. E il fatto che lei lo avesse capito così facilmente non aiutava a diminuire la tensione.
«Sei una buona osservatrice, eh?» Commentai sperando di non sembrare troppo nervoso.
Si strinse nelle spalle. «Lo sono sempre stata. Sai, potresti definirmi una di quelle ragazze che preferisce osservare piuttosto che agire.»
Presi un sorso di caffè e per un attimo mi stupii di quanto fosse amaro. «Davvero? Insomma, con i poteri che hai potresti fare molto di più.»
«Il punto è che se mi espongo così rischio di rivelare ciò che sono. È tutto collegato, licantropia, vita sociale, mia madre... Praticamente tutto nella mia vita è implicato quindi cerco di tenermi in disparte.» Il suo sguardo era tornato a soffermarsi sul bicchiere che aveva in mano.
Feci per chiederle come mai non avesse nominato suo padre, ma mi trattenni: aveva detto che dovevo limitarmi a domande più generali, e quella non lo era di sicuro. Per essere sicuro di non lasciarmi sfuggire una parola di troppo, bevvi un altro sorso di caffè, ormai freddo.
Scarlett appoggiò la schiena alla sedia sorseggiando la sua cioccolata. «Altro da chiedere?»
«Hai... Avete altri poteri?» Domandai osservando il mio bicchiere come se di colpo fosse diventato interessante.
«Guariamo più in fretta degli umani, molto più in fretta.» Rispose. «E il nostro metabolismo è più veloce. Per esempio, io posso mangiare una torta intera e sentirmi come se ne avessi mangiato solo una fetta. E posso mangiare quanto voglio e ingrassare molto, molto lentamente.»
«Questo sembra essere utile... E anche un po' ingiusto.» Commentai alzando lo sguardo.
Lei si lasciò sfuggire un sorriso divertito. «Beh, almeno voi umani non dovete preoccuparvi di uccidere qualcuno una volta al mese perché l'istinto primitivo prende il sopravvento: è una grossa preoccupazione in meno.»
«Beh, sì, ma...» Esitai quando notai che aveva una piccola macchia marrone all'angolo della bocca. «Hai un po' di cioccolata qui.» Mormorai sfiorandomi la guancia per farle vedere il punto preciso.
Arrossì di colpo e si portò una mano alla bocca. Mi sorprese quel suo imbarazzo improvviso, non credevo che bastasse così poco a metterla a disagio. Cercava in tutti i modi di evitare di guardarmi, il rossore sulle sue guance che tradiva ciò che provava.
Avevo a che fare con un licantropo, avrei dovuto prestare attenzione a quello che facevo, invece non avevo quasi la concezione dei miei movimenti, sembrava che ci fosse qualcun altro a guidarli. Purtroppo lo realizzai solo quando sentii la sua pelle sotto le dita: mi ero sporto in avanti e avevo allungato una mano per pulirle la guancia. E non ricordavo di aver deciso di fare una cosa del genere in precedenza.
La sentii irrigidirsi al mio tocco, i suoi occhi marroni ed ardenti erano puntati su di me, il suo sguardo era quello di un predatore sul punto di balzare alla gola di una preda assolutamente inerme. Quando allontanai la mano da suo viso, la sentii buttar fuori l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento. Pareva che volesse scappare nel giro di un secondo, che stesse solo aspettando l'occasione adatta.
«Uhm... Immagino di doverti ringraziare.» La sua voce era bassa, un sussurro appena udibile.
«Non importa. Voglio dire, non serve.» Replicai senza riuscire a trattenermi dal lanciarle un'occhiata: stava tormentando il suo bicchiere guardandolo male, come se le avesse fatto un torto.
«Meglio così perché non credo che l'avrei fatto.» Dichiarò alzando il mento.
Si era sentita punta sul vivo ed era scattata sulla difensiva: era vero, magari farla parlare era difficile, ma potevo comunque capire qualcosa di lei soltanto osservando le sue reazioni.
«L'orgoglio è un tratto distintivo dei licantropi o è una tua particolare caratteristica?» Borbottai.
«Tutti sono un po' orgogliosi, c'è chi lo controlla meglio e chi non ci riesce. Io credo solo di voler mantenere le distanze.» Ribatté.
Una piccola parte di me si sentì quasi ferita da quelle parole: poteva fidarsi di me, non avrei detto a nessuno cos'era in realtà. Ma lei che motivo aveva di credermi? Nessuno. Niente di ciò che avevo fatto o detto avrebbe potuto convincerla che ero un suo alleato invece che un potenziale nemico. In più avevo cominciato ad uscire con la sua migliore amica, quindi probabilmente buona parte di quella tensione era dovuta anche a quello. Forse era meglio così, però: meno tempo passavamo insieme, meno danni ci sarebbero stati.
«Anche questo è vero.» Ammisi. «Quindi... guarite più in fretta, avete artigli e zanne retrattili, perdete il controllo con la luna piena, i vostri sensi sono più sviluppati: per ora mi hai detto questo.»
«Eh già. Non so se è rilevante, ma forse ti interessa sapere che sappiamo riconoscere quando qualcuno mente.» Nei suoi occhi passò un lampo quasi malizioso.
«Davvero?» Domandai incuriosito.
Una parte di me mi avvertì che la sua poteva essere solo una strategia per ottenere qualcosa, o per spaventarmi e scoraggiare i miei tentativi di saperne di più, ma non ci feci caso.
«Sì. Sai, quando menti i battiti cardiaci accelerano e se un licantropo ti è abbastanza vicino può percepirlo.» Spiegò. «E fartela pagare se gli hai detto una bugia.»
«Suona come una minaccia, o un avvertimento.» Commentai.
«Prendila un po' come vuoi.» Mormorò mantenendosi sul vago.
Tutto quel mistero mi irritava e mi attirava nello stesso tempo: avrei voluto che mi dicesse di più, che mettesse via quell'aria così scontrosa, eppure in qualche modo mi incuriosiva il modo in cui cercava di nascondersi, di proteggersi. C'erano un'unica spiegazione logica per quei sentimenti così contrastanti: stavo diventando pazzo.
«Senti... Io dovrei andare. Immagino che tu voglia chiedermi altro però non posso fermarmi di più.» Il suo tono era esitante, eppure solo un minuto prima era stato sfrontato e quasi minaccioso.
Sollevai lo sguardo su di lei. «Okay, nessun problema. Vuoi che ti riaccompagni a casa?»
Schiuse appena le labbra prima di serrarle in una linea sottile. «Oh... Non lo so... Cioè, non ce n'è bisogno. Tu avrai altro da fare...»
«Non preoccuparti, è questione di cinque minuti in fondo.» La rassicurai.
I suoi occhi marroni mi studiarono attenti, come se avessero voluto raccogliere ogni minimo dettaglio e memorizzarlo. O forse stava semplicemente cercando di capire se c'erano doppi fini nelle mie parole. «Okay.»
«Perfetto.» Mi alzai posando il bicchiere sul tavolo. «Vado a pagare e poi andiamo, mmh?»
Sembrava essere tornata come quando eravamo entrati, nervosa, guardinga, vogliosa di andarsene. Annuì piano. «D'accordo, ti aspetto qui.»
«Bene.» Commentai.
Feci per andare alla cassa, ma lei mi richiamò: «Adam...»
Mi voltai a guardarla e mi stupii di quando paresse debole, stretta nella sua felpa con quei due grandi occhi marroni fissi su di me. Ma sapevo benissimo che quella era solo apparenza. «Sì?»
«Grazie.» Lo disse a bassa voce, come se fosse stato un segreto, o qualcosa che la turbava.
Eppure, un attimo dopo, vidi le sue labbra incurvarsi in un piccolo sorriso. Senza che fossi stato io a deciderlo, le sorrisi di rimando prima di andare alla cassa.
Grazie al cielo mi ripresi abbastanza da smettere mentre pagavo. Che mi stava succedendo? Mi era già capitato di innamorarmi, questo sì, ma ci era voluto qualche giorno perché finissi per sentirmi in quel modo. Invece adesso sembrava che Scarlett avesse sconvolto tutto di me semplicemente standomi vicino. Come aveva fatto? Cosa aveva fatto di preciso? A parte cambiare umore ogni cinque secondi...
Quando la cameriera mi disse quanto dovevo pagare le sorrisi distrattamente più per educazione che per altro. Mentre prendeva le monete per darmi il resto mi passai una mano tra i capelli sospirando: se c'era una cosa che non sopportavo era non avere il controllo delle situazione, non sapere cosa sarebbe successo dopo. E in quel momento non avevo assolutamente la più pallida idea di cosa ci riservasse il futuro. Era tutto una grande e piuttosto pericolosa incognita.
Tornai al tavolo, da Scarlett e dai suoi misteri, cercando di schiarirmi le idee e riordinare le informazioni, sfuggevoli e disordinate, che ero riuscito ad ottenere.
«Possiamo andare.» Dissi osservandola.
Sollevò lo sguardo su di me e sbatté le palpebre prima di mormorare un "okay". Le sorrisi di nuovo, e questa volte ne fui un pochino più consapevole. Ricambiò il sorriso distrattamente per poi alzarsi e seguirmi fuori dal bar.
Quando uscimmo sul marciapiede cercai le chiavi dell'auto nella tasca dei jeans.
«Adam...» La voce di Scarlett era esitante, insicura.
Mi voltai verso di lei, incuriosito mio malgrado. «Dimmi.»
Lei trasse un respiro profondo e mi guardò negli occhi. «Credo che ora tocchi a te rispondere a qualche domanda.»
SPAZIO AUTRICE: Anche se un po' in ritardo rispetto a quando avrei voluto pubblicare, eccovi il decimo capitolo *-*
Purtroppo in questi giorni ho avuto un po' da fare con la scuola e solo oggi ho trovato il tempo di mettermi al computer e pubblicare.
In questo capitolo abbiamo un vero e proprio confronto tra Adam e Scarlett. Nonostante la curiosità, sono entrambi piuttosto diffidenti l'uno nei confronti dell'altro. Soprattutto Scarlett si troverà un po' in difficoltà con questa nuova situazione.
Volevo chiarire una cosa: Adam ed Elisabeth escono insieme, e questo renderà complicate le dinamiche tra lui e Scarlett. In effetti, questa relazione potrebbe diventare un freno nel rapporto tra Adam e Scarlett. Ma potrebbe non essere sempre così.
Detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia continui a piacervi.A presto,
TimeFlies
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Under a Paper Moon (Completa)
مستذئبScarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare Adam, r...