Come fuoco bollente

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Quando sospiro e stacco gli occhi dal pavimento, mi accorgo della figura accanto a me e quasi non cado per terra.
"Che ci fai tu qui?" Domando, dopo aver chiuso e aperto la bocca senza emettere nessun suono.
"Hai l'abitudine di sparire e c'è gente che si preoccupa"
"Ti avevo detto di starmi alla larga" Lo rimprovero.
"No mi sembra di averti dato conferma" Sogghigna lui.
Non ci credo, perché diamine Liam è qui, accanto a me che mi sorride con quel sorrisino altamente perfetto e gioviale, come se ora dovessimo andare a fare una passeggiata?
"Chi ti ha det..."
"Eloise, ti sembrerà assurdo, ma ho parlato più con lei in questi due giorni che in due mesi con te" Mi blocca lui, staccando gli occhi da me e posandoli sul muro di fronte a noi.
"Non dovresti essere qui Liam. Dico sul serio. Dovresti starmi alla larga" Ammetto, anche se controcorrente a quello che il mio animo mi sta urlando, abbassando lo sguardo sulle mie mani.
"Perché?" Domanda lui, proprio come ieri al parco, ma stavolta più tranquillo, come se abbia smaltito la rabbia.
"Perché io e te non siamo esattamente compatibili"
"E secondo te questo basta?"
Alzo lo sguardo e lo trovo a guardarmi, come se stesse domandando la cosa più ovvia.
"Basta e avanza, o dovrei stilarti una lista?"
Lui scuote la testa e per un attimo sembra sorridere.
"Non mi interessa. Alyssa, è complicato e io per primo non saprei dirti esattamente perché mi trovo qui, ma la maggior parte delle risposte credo le abbia avute sia io che te, ieri sera"
Resto un attimo in silenzio, assimilando le sue constatazioni.
"Come hai detto tu è complicato, con me non saresti felice Liam e io non posso chiedere questo"
Detto ciò mi alzo, come se la consapevolezze mi avesse punto.
Prego e spero che quella porta si apri il più in fretta possibile, non ne posso più di aspettare. Ormai non posso più tornare in dietro.
"Non me lo stai chiedendo, sono io che mi sto offrendo" Dice lui, alzandosi a sua volta, passandosi le mani nei suoi jeans, come a volerli stirare.
"Ma io non voglio" Sussurro, guardando le mie punte delle scarpe.
"Non è vero" Ribatte lui prontamente.
Io chiudo gli occhi e scuoto la testa, come a volerla far pesare di meno.
"Se realmente non mi vuoi, se veramente vuoi che vada via, guardami negli occhi e dimmelo" Sussurra lui, troppo vicino al mio viso.
Cerco di essere forte, veramente! Ci provo con tutto quello che mi è rimasto in corpo.
Ma alla fine, cosa mi rimane? Nulla. La consapevolezza di non volere nessuno al mio fianco, tranne poche persone e Liam ne fa parte.
Come posso avere la forza di allontanarlo da me, quando il mio corpo, la mia anima mi spingono verso lui?
Lui mi appoggia due dita sotto il mento e fa pressione, facendomi sollevare il viso.
"Guardami" Sussurra.
Alzo lo sguardo, che fino ad ora era rimasto bloccato sulle mie scarpe e lo poso nel suo.
Occhi bruni, mi fissano in attesa.
"Dimmi che non mi vuoi" Alita leggero sulle mie labbra.
Come una doccia fredda, la consapevolezza mi fa svegliare.
Non posso, non posso continuare a fingere.
Sempre guardandolo, scuoto la testa negando.
"Vuoi che resti?" Domanda ancora, come per avere una conferma.
Assecondo con la testa e mi lascio andare.
Perché è semplicemente la verità, non vorrei nessun altro qui con me.
Lui, mi sfiora la guancia destra con i polpastrelli della sua mano e chiudo gli occhi per quella sensazione. Dio, l'ho provata solo una volta ma mi è mancata come l'aria.
Prego perché non si fermi, mille brividi partono da quel punto, dove sta solo sfiorando e si disperdono su tutto il corpo.
Lascio andare un sospiro e le sue dita scivolano un collo, lasciato scoperto dalla mia maglia.
Lui segna i contorni, sfiorando come se fosse una cosa preziosa e delicata, per poi passare la sua mano sulla mia spalla, fino a fare una leggera pressione, affinchè io mi possa avvicinare a lui.
E lo faccio, mi lascio andare.
Mi avvicino e appoggio la testa al suo petto, allacciando le mie braccia alla sua vita.
Subito il suo profumo, che tanto adoro, mi inebria l'olfatto.
Questo è il paradiso, questo è il posto che mi piace, questa è "casa" per quanto assurdo possa essere.
"Ho paura" Sibilo, nascondendo il volto nella maglietta.
"Non ti capiterà nulla. Ci sono io" Sussurra lui, per non rompere il momento, strofinandomi la schiena su e giù con il palmo della sua mano.
E stranamente mi ci affido, anche se so che è tutta una finta. Ma non mi importa, voglio essere presa in giro, sbeffeggiata dalla realtà. Non mi importa, voglio credere, per una volta, che tutto andrà bene.
Ad un tratto sento aprirsi una porta e successivamente, qualcuno schiarirsi la gola.
Mi stacco, riluttante, per trovare mio padre in attesa sulla soglia.
Ha la faccia tirata, nessuna emozione gli traspare sulla pelle. Non so perché, sia preoccupato, o semplicemente si è calato nella parte del suo lavoro.
"Ciao Liam" Saluta lui.
"Salve Michel" Risponde Liam, allacciando le sue dita intorno alle mie.
"Alyssa, puoi entrare" Mi avvisa mio padre, facendosi da parte.
Assecondo con la testa, per poi voltarmi verso Liam.
"Credo tu non possa entrare li dentro" Biascico, con la gola ruvida.
Ho paura a lasciarlo, non voglio. Può sembrare infantile, non ho mai dipeso da nessuno, ma stavolta ho veramente paura di lasciare un porto sicuro, per immettermi nella tempesta.
"Quando uscirai sarò qui. Tranquilla"
Detto ciò mi tira a se stringendomi, lasciandomi un bacio sulla tempia.
Quando mi stacco lui mi fa un piccolo sorriso, che stampo in mente.
Sarà la mia forza! Sarà la mia medicina non appena scoprirò la realtà.

Quando riapro gli occhi, il raggio della tac si è appena spento con il suo familiare "bip".
Esco da quella macchina, che tanto assomiglia a una navicella aliena.
Come vorrei salirci sopra e abbandonare le mie sembianze, crearmi una nuova vita, una nuova me. Liberarmi dei miei panni e vestirne altri.
Il dottor Smith è preso davanti al suo computer, come se gli potesse dare tutte le informazioni che necessita.
"Puoi alzarti" Mi sibila mio padre, materializzatosi accanto a me che mi tende una mano.
Impacciata mi metto a sedere, sentendo un piccolo giramento di testa, ma non gli do corda.
Forte, sarò forte.
In tutta quest'ultima ora qui dentro, tra prelievi del sangue, risonanze e tac, l'unica cosa che avevo a mente era lui.
Chiudevo gli occhi e c'era lui. Che sia diventata la mia ancora? Il mio porto sicuro?
Non lo so, so solo che ne sto iniziando a dipenderne.
Scendo dalla barella tenendo stretto quel camice da sala operatoria che mi è stato offerto.
"Abbiamo finito?" Domando.
"Puoi cambiarti" Mi avvisa mio padre, regalandomi il centesimo sorriso, come se potesse rilassarmi e farmi dimenticare dove mi trovi.
Vado dietro il separé verde e infilo i miei vestiti che avevo precedentemente piegato e appoggiato su una sedia.
L'assonanza che c'è tra questo gesto e il pensiero di poco fa è assurdo. Volevo tanto cambiare panni, ma alla fine questi sono i miei. Il mio destino.
Quando finisco, sono pronta per il verdetto.
Prendo un profondo respiro ed esco da quel piccolo spogliatoio improvvisato.
"Siediti" Mi richiama il dottore, indicandomi la sedia di pelle davanti alla sua scrivania.
Una sedia è già occupata da mio padre, pronto a sapere anche lui il verdetto.
Mi accomodo, assumendo una posizione al quanto nervosa.
"Ok, eccoci qui" Inizia lui.
"Come hai potuto ben vedere, abbiamo fatto tutti gli accertamenti che ci erano consentiti fare. Dalle analisi, per arrivare alla tac. Avevo iniziato a capire qualcosa dalle analisi del sangue, ma volevo avere certezze dalla tac" Continua lui, togliendosi gli occhiali e incrociando le dita tra le mani tra loro.
Sospira e riapre i fogli delle analisi.
Questa attesa è snervante. Insomma!
Lui ha le risposte li, in quella dannatissima cartellina, perché non dice esattamente come stanno le cose?
"Dottore!" Sussurro io, con la gola notevolmente secca.
Mio padre è in silenzio accanto a me, ma sento la sua tensione. È così fitta che potrebbe tagliarsi con un coltello.
Il dottor Smith, chiude la cartellina gialla, contenente le mie vecchie analisi e alza lo sguardo.
Non vorrei l'avesse mai fatto.
Il suo sguardo parla da se e porto una mano alla mia bocca.
No! Non voglio crederci.
Ad un tratto il pavimento è come se si fosse aperto e mi avesse inghiottito con se.
"Lei è peggiorata Alyssa" Decreta lui, dando voce ai miei incubi.
Quello che temevo, si sta avverando.
La gola mi si chiude e non riesco a deglutire.
È così strano, quando le cose che temi, la tua più grande paura si materializza davanti ai tuoi stessi occhi e quella piccola speranza, a cui ti sei aggrappato con tutte le forze, decade, inghiottita dalle tenebre. Dalla realtà.
Mio padre è in silenzio, come d'altronde lo sono anche io.
Cosa si può mai dire quando ti confermano quello che più temi?
"Il tumore si è allargato e si sta diffondendo pian piano. Se prima eravamo nella fase acuta, ora siamo in quella cronica. I globuli rossi sono pochi, molto pochi e in più i linfonodi del fegato si sono ingrossati"
Le sue parole sono come una coltellata, ma giungono alle orecchie offuscate.
Tutto attorno ha assunto una consistenza ovattata, come se la stanza in cui ci troviamo fosse stata inserita di forza in una bacinella piena d'acqua.
"Cosa dobbiamo fare?" Domanda, con una voce preoccupata e flebile, mio padre.
Il dottore prima di rispondere, prende un consistente respiro. Probabilmente non sa nemmeno lui cosa si potrebbe fare in queste situazioni.
"Possiamo iniziare delle cure di chemioterapia, ma non so se..."
Prima che possa continuare, alzo lo sguardo, che fino ad ora è stato incatenato sulle mie ginocchia e lo guardo, interrompendolo. Ho la vista appannata e mi sento la testa scoppiare.
"Quanto mi resta?"
"Alyssa!" Mi richiama mio padre, arrabbiato. Ma semplicemente impaurito di scoprire la verità.
È inutile girarci attorno, siamo qui per un motivo valido.
Il dottore mi guarda e scuote il capo.
"Ho diciotto anni maledizione! Devo saperlo!" Alzo la voce esasperata, con la vista offuscata.
Sono stanca! Stanca delle menzogne, stanca della finta speranza.
È vero, sto morendo e non c'è assolutamente nessun bisogno di rinnegare la realtà.
È sempre stato il mio destino questo, sono nata per questo, no? E ora perché tutti questi finti perbenismi?
"Non lo saprei con esattezza" Ammette lui, continuando a guardare tra le carte.
"Dottore!" Lo richiamo per la seconda vola.
Lui stacca lo sguardo dai fogli e mi guarda negli occhi per la prima volta.
"Mi dica la verità" Sussurro, con la gola così stretta e la testa che mi pompa.
"Un anno"
Ed ecco la mia data di scadenza.
Chiudo gli occhi e lacrime consistenti cadono in caduta libera dagli occhi stretti.
È un incubo. Dovrà per forza esserlo. Voglio scappare, voglio andare più lontano possibile da qui.
Cerco di alzarmi in piedi, ma il movimento è così repentino che la testa decide di rimanere li al suo posto, mentre io casco nell'limbo oscuro.

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