Capitolo 26

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Sabato sera, il giorno del tanto atteso appuntamento a cena.
Mi fissavo davanti allo specchio: avevo indossato il mio nuovo vestito color acquamarina, ai piedi avevo le décolleté suggeritemi da Aurora. Nonostante non fosse così difficile camminarci mi sembrava di indossare un paio di trampoli, quando mettevo un piede davanti all'altro mi sentivo un cavallo al trotto.
Avevo passato il pomeriggio a provare a riprovare quelle scarpe, a camminare avanti e indietro per la camera guardandomi allo specchio, in modo da aggiustare la camminata e il modo con cui appoggiavo il piede, il modo con cui coordinavo gambe e braccia per non sembrare troppo ridicola.
Mi ero leggermente arricciata i capelli con la piastra, steso un po' di ombretto dorato sulla palpebra e un velo di rossetto sulle labbra. Mi guardai allo specchio e stetti lì a fissarmi, piacevolmente sorpresa di vedermi come non mi ero mai vista prima d'ora.
Fui distratta dai miei pensieri quando il cellulare vibrò. Mi avvicinai al letto, sul quale era poggiato e guardai sullo schermo: mi era arrivato un messaggio da Tristan, che mi riferiva di essere on the way.
Sentii salire l'agitazione e assieme a essa il batticuore. Non sapevo cosa avrei dovuto aspettarmi da quella serata, non conoscevo ancora bene Tristan: sarebbe potuto capitare di tutto, dalle frasi dolci allo sbottare furioso davanti a tutti, come era successo il giorno prima.
Cercai di non pensarci: non sarebbe mai accaduta una cosa del genere, no. Tristan non mi avrebbe mai messa in ridicolo davanti a tutti, ci teneva davvero tanto alla buona riuscita della serata e si vedeva.
Sentii provenire dal piano di sotto il suono del campanello. Mum, che stava preparando la cena, mi chiamò dalla cucina per avvisarmi del fatto che il mio accompagnatore era finalmente arrivato.
Prima di accingermi a scendere mi diedi un'ultima controllata davanti allo specchio per assicurarmi che fosse tutto a posto. Varcai poi la soglia della porta.
Dall'altra parte del corridoio anche Adam era uscito dalla sua tana; e stava lì impalato a fissarmi, gli occhi spalancati, sbarrati, come se avesse appena avuto un'apparizione mistica.
<< Che c'è? Non hai mai visto una ragazza che indossa abito e tacchi? >>
Adam non rispose, abbassò lo sguardo a terra.
Non ne valeva la pena di sprecare il mio tempo con lui; non ne valeva la pena, anche perché Tristan mi stava aspettando fuori.
Mi voltai e me ne andai, senza nemmeno rivolgergli la parola, pregando di non poggiare male i tacchi sui gradini ricoperti di moquette, cercando di non rotolare giù per le scale e di non rendermi ridicola davanti ai suoi occhi. Non avrei potuto sopportare una figura del genere davanti a lui.
Salutai Mum e uscii.
Lui era lì, in piedi davanti alla sua Jaguar che mi aspettava con un ombrello nero in mano, con il quale si stava riparando dalla copiosa pioggia che scrosciava. Appena mi vide mi rivolse un largo e sincero sorriso e con lui sorrisero pure i suoi occhi color ghiaccio, i suoi occhi color cielo. In giacca, camicia e cravatta aveva avuto il coraggio di aspettarmi all'aperto mentre pioveva a dirotto.
Camminò verso di me, iniziando a salire le scale. Mi prese una mano e mi fece cenno di correre verso l'auto.
<< Tristan, aspetta! Ho i tacchi! >>
Mi misi a ridere, evidentemente non era la serata adatta per tirarsi a lucido in quel modo.
<< NO PROBLEM. >>
Appoggiò a terra il largo ombrello ancora aperto lasciando che la pioggia ne bagnasse l'interno e con gesto felino allungò le braccia, alzandomi di peso, sostenendomi con una mano a reggere la schiena e l'altra a reggere le gambe.
<< Ma cosa stai facendo? >>
<< Prendi l'ombrello! >>
<< Uhm, d'accordo! >>
Risi e lo assecondai; dopodiché iniziò lentamente a scendere le scale mentre sosteneva il mio peso morto, scaricandomi sul sedile dell'auto.
Chiusi la portiera con forza per evitare che gli interni immacolati dell'automobile si inzuppassero di pioggia e lo vidi correre per raggiungere il suo posto di guida. Dopo vari tentativi di richiudere l'ombrello riuscì finalmente a entrare nell'abitacolo e a chiudere la sua portiera.
Mi guardò negli occhi, io guardai lui e dopo un attimo di silenzio tombale scoppiammo a ridere ciascuno alla visione dell'altro dato che evidentemente i nostri tentativi di renderci eleganti erano miseramente falliti, le nostre intenzioni di essere presentabili erano state lavate via dalla forza della pioggia incessante. I suoi capelli corvini sembravano ancora più scuri di quanto già non lo fossero per via della quantità di pioggia che avevano dovuto affrontare e la camicia bianca inzuppata lasciava intravedere il suo petto in trasparenza. Mi guardai sul riflesso dello specchietto per capire quali realmente fossero le mie condizioni al momento: i boccoli che avevo precedentemente creato con la piastra si erano trasformati in un ammasso di materia rossa e filiforme, il trucco era per metà colato, il mio giubbotto era zuppo assieme alle calze, ma in compenso ero riuscita a salvare il vestito.
La mia espressione davanti allo specchio virò da divertita a schifata, facendomi scappare pure un << Bleah!>>
Tristan si voltò verso di me, e mi guardò divertito.
<< Che c'è? Che hai da guardare in quel modo? >> gli chiesi alterata.
<< Nulla, ridevo per la tua espressione. >>
<< Che espressione? >>
<< Quella che hai appena rivolto a te stessa guardandoti allo specchietto. >>
<< Bravo, chiediti pure il perché. >> risposi ancora più irritata; << Tutta la mia fatica di prepararmi e la buona volontà di essere decente è andata chiaramente a farsi benedire! >>
<< Ma che cosa stai dicendo? >>
Mi prese la mano nelle sue; << sei bellissima anche con i capelli zuppi e il trucco colato. È solo che... >>
<< Cosa? >>
<< Nulla, la tua faccia sembra un quadro di Picasso. >>
Scoppiò nuovamente a ridere, io avevo avevo colto la pungente ironia ma mi trattenni dall'esprimermi in merito.
<< Ah... Beh, sappi che hai rovinato il momento. >>
Incrociai le braccia scherzosamente e feci la finta arrabbiata.
<< Dai Alice, lo sai che per me sei sempre bellissima! Non fare così. >>
Mi rivolsi verso di lui, tirandogli fuori una linguaccia degna dei bambini delle elementari.
<< Ci sei cascato! >>
<< Questa me la paghi, sappilo! >>
Mentre pronunciava quell'ultima frase fissai l'ora sullo schermo del telefono.
<< Ma.. Tristan, non è l'ora di andare? >>
<< Perché, che ore sono? >>
<< Per che ora hai prenotato al locale?>>
<< Per le 20.15. Perché? Mi dici che ore sono? >>
<< Sono le 20.10. >>
<< Oh, shit! >>
Accese in men che non si dica il climatizzatore perché riuscissimo ad asciugarci almeno per un minimo prima di arrivare, mise in moto l'auto e accelerò, partendo a tutta velocità tra i viottoli di una New York notturna e piovosa.

Entrammo in un ristorante dal nome impronunciabile, dall'insegna luminosa posta sulla facciata sopra un grazioso porticato rosso.
L'atmosfera era surreale: una luce diffusa e davvero piacevole per gli occhi avvolgeva tutto l'ambiente rendendolo caldo e accogliente, i tavoli, disposti ordinatamente in file diagonali erano ricoperti da tovaglie color blu notte e sopra ciascuno di essi troneggiava un vaso di fiori bianchi.
Il cameriere ci indicò il nostro tavolo: era un tavolo isolato dagli altri, posto sotto una finestra dalla quale si intravedevano le luci notturne di New York, il mio punto debole in assoluto, l'aspetto che più preferivo della città.
Oltre ai fiori sul nostro tavolo giaceva impettito un candelabro con una snella candela rossa che venne accesa poco dopo dal cameriere in persona. Ci portò poi i listini e con un gesto di inchino si congedò.
Appena il cameriere ebbe voltato le spalle tutto ciò che riuscii a dire a Tristan fu: << Ma tu sei impazzito! >>
<< Io? Impazzito? >>
<< Si, tu! Sei matto da legare! >>
<< E perché dovrei esserlo? >>
<< Perché hai prenotato in un posto del genere... Così elegante... E pretendi di pagare tu... >>
<< Infatti, pagherò io. >>
<< Mi stai facendo sentire in colpa. >>
<< Hey, piccola. Ho scelto io di prenotare in questo luogo, non hai motivo di sentirti così. Ora ordina ciò che vuoi senza farti problemi, mangia e poi penserò io a pagare. Lo sto facendo per te, e sono contento di farlo, sono contento di pagarti una cena del genere, sono contento di passare una serata del genere in un luogo del genere con te. >>
Mi prese la mano e me la baciò; io seppi reagire solo annuendo e porgendogli un sorriso.

Nonostante le sue parole cercai lo stesso di ordinare piatti tra i meno costosi in segno di rispetto nei suoi confronti.
La serata si svolse tranquillamente tra un boccone e l'altro, una parola e l'altra, una risata e l'altra.
<< Alice. >>
<< Dimmi. >>
<< Volevo farti una domanda molto importante per me. È da un po' di giorni che sto progettando questa serata è, beh, volevo chiederti... >>
<< Chiedermi cosa? >>
Mi prese nuovamente le mani tra le sue e mi guardò, i suoi occhi fissi nei miei.
<< Chiederti... Vuoi essere la mia ragazza? >>
Un sorriso prese il sopravvento sulle altre espressioni del mio volto, ma non riuscii a distinguere se fosse un sorriso legato alla felicità che provavo al momento o al nervosismo e al non sapere che cosa rispondere. Nel giro di pochi millisecondi fui costretta a soppesare mentalmente i pro e i contro della situazione; ma il mio cuore fermò la mente impedendole di continuare i suoi contorti ragionamenti e ordinò al mio istinto di rispondere al più presto a quella proposta avente tutta l'aria di una proposta di matrimonio:
<< Si, lo voglio. >>
Un sorriso inondò il viso di Tristan, che vidi per la prima volta arrossire. Rimasi stupita e affascinata, non sapevo che fosse degno di simili manifestazioni.
<< Signorina, mi rende il ragazzo più felice della terra. >>
Stappò la bottiglia di spumante che poco prima il cameriere ci aveva portato, ne versò nei calici.
<< Direi allora di brindare alla nostra salute. >>
Con la mano sinistra mi teneva la mano mentre con la destra sollevava il calice colmo, facendomi cenno con lo sguardo di assecondarlo.
<< Alla nostra salute! >>
Pagò il salato conto che non volle mostrarmi nonostante la mia insistenza; approfittammo poi del fatto che aveva da pochi minuti smesso finalmente di piovere per farci una camminata mano nella mano. I piedi rinchiusi nelle décolleté gridavano per il dolore, ma io non li ascoltavo; pensavo solo a godermi quei fantastici momenti, ignorando l'acuto dolore che mi avvolgeva i talloni.
E fu in un angolo della strada, in un apparentemente insignificante incrocio tra due squallide vie che mi rubò il suo primo bacio.

Teal and Orange (sospeso) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora