Capitolo 13- Steps.

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LESKA'S P.O.V.

Misi le cuffiette e iniziai a dirigermi verso casa.

Era piuttosto lontana, quindi avrei dovuto prendere la metro.

"Leska! Leska!"

La sua voce. Non volevo sentire quella voce.

"Leska, ti prego! Fermati!"

"Non ho niente da dirti!" Gli gridai di rimando.

"Io sì!"

Continuai a camminare, poi lui mi bloccò prendendomi un braccio.

"Cazzo vuoi?!"

"Senti, scusami, non so cosa mi sia preso, l'altro giorno. Non ero in me. Ti prego, perdonami."

"Dustin, no."

"È troppo tardi per chiederti scusa, adesso?"

Mi bloccai. Odiavo quando faceva la vittima, odiavo quel suo fare da dispiaciuto, quando sapevo che lui non lo era minimamente.

"Dustin, smetti di fare la vittima."

L'unica cosa a cui riuscivo a pensare erano le sue labbra sulle mie, e tutto quello che avevano comportato dentro di me.

"Non la sto facendo. Ti prego Les. Sono serio, sai quando mento. Tu mi conosci."

"Dustin, per favore."

"Non sto mentendo! Sono dispiaciuto sul serio!"

"Ti conosco, so che sei dispiaciuto, ma... non riesco a perdonarti."

Mi divincolai dalla sua presa, poi proseguii per un breve tratto di strada, fino a quando non sentii chiamarmi.

"Ayleska Alexandra Mortimer, pretendo che tu mi ascolti."

"Non chiamarmi in quel modo!" Gli risposi a tono cercando di frenare le lacrime.

"Perché no?!"

"È colpa di mio padre! Cazzo smettila!"

Scappai. Un'altra volta, come facevo sempre, dai miei problemi.

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Avevo già comprato un nuovo cellulare, anche se avrei preferito non farlo.

Dustin chiamava continuamente, io non avevo la forza, né la voglia di rispondergli.

Ero stesa a letto, e il mio cellulare non la smetteva di squillare.

Non che non mi piacesse ascoltare la mia suoneria, ma era già da qualche ora che suonava.

Non ce la feci più e risposi.

"Sì."

"Cazzo, mi hai fatto preoccupare, stavo morendo! Aprimi dai."

"Che cosa... ma sono a letto, e tu non sei qui sotto. Scommetti?"

"No, non scommetto, perché sono qui sotto, e vorrei gentilmente che tu mi aprissi."

"Sono a letto, già te l'ho detto e te lo ripeto, non voglio alzarmi. Chiaro?"

"Vuol dire che mi arrampicherò."

"Dust-."

Ma aveva già chiuso la chiamata.

La mia era una casa a due piani, e quasi sicuramente lui non sarebbe riuscito ad arrampicarsi, sempre se fosse stato lì sotto.

La mia opinione cambiò quando aprì la porta della camera.

"Ma come diavolo..."

"Avevi lasciato una finestra aperta al piano di sotto, perciò sono entrato."

"Ma io ti denuncio!"

"Ma siamo amici, no?"

Sapeva che non doveva fare quella domanda.

"Dustin, noi non siamo amici."

"Mi ricordo della nostra chiaccherata, ma poi penso... che significa essere 'confidenti'? Possiamo benissimo essere amici."

"Non capisco."

"Gli amici non sono anche confidenti?" Si sedette sul letto.

"Anche. E noi siamo solo confidenti."

"Dicono tutti così."

Lo guardai male, poi mi sedetti accanto a lui.

"Penso che non mi perdonerai mai. E che non saremo mai un duo normale." Iniziò lui.

"Che cazzo significa normale? Perché se lo sai, vuol dire che tu sei normale."

"No, non credo di essere normale."

"Nessuno è normale, Dustin. Nessuno. La normalità non esiste, il grigio non esiste. Tutto è bianco o è nero."

"Tu sei grigia."

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Parecchi anni prima.

"Maledette feste."

"Smettila di dirlo."

"Non so neanche come tu abbia fatto a convincermi. Sei un mago?"

"Sfortunatamente no. Ma sono un bravissimo approfittatore."

"Che stronzo."

Tutti avevano l'aria di divertirsi, mentre io guardavo in aria per non fare capire il mio disagio.

"Che hai?"

"Non sono abituata, non vedi come sono vestita?" Indicai i miei jeans, la mia maglietta strappata e le mie Superga nere.

"Non sei una troia come le altre. E poi le altre del Blue-Ace mi sembrano vestite normalmente."

"Se con dei vestiti vuol dire normalmente, allora io mi chiamo Genoveffa."

"Ciao Genoveffa."

"Stronzo."

"Grazie."

Scossi la testa e guardai fuori dalla finestra.

La casa abbandonata era stata scelta come location, ma a me non era piaciuta molto.

"Vuoi andare fuori? Almeno ti rilassi, no?"

"Ehm, forse è il caso che me ne vada a casa invece."

"Ma siamo arrivati adesso."

"Ma non mi sento al sicuro qui."

"Intanto usciamo fuori, poi vediamo, okay?"

Annuii, non avendo la forza per parlare.

Tutti mi sembravano minacciosi, e le loro facce non erano da meno.

"Che cosa intendi con 'Non mi sento al sicuro'?"

"Non so, trovi diverse interpretazioni a quella frase?"

"Non sei abituata a feste del genere. Tanto finiscono sempre con degli ubriachi che scopano, e delle troie che fanno finta di essere sante, scoprendo ogni centimetro della loro pelle."

"Che bel quadro della situazione!" Borbottai ironica.

"Hai freddo, vero?"

"Un po'..."

Mi diede il suo giubbotto di pelle e me lo fece indossare.

"Sembro deficiente."

"Non lo sarai mai."

Lo guardai.

Lui mi guardò.

Stetti qualche secondo così, prima di avvicinarmi a lui e mettere le mie braccia dietro al suo collo.

Lui chinò lentamente il collo, e poi sentii qualcosa che non avrei mai voluto sentire.

"Ragazzi, come va?"

E Kendall che si avvicinava lentamente.

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AngelsDevils: Big Time Rush.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora