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Tutto è perfetto... guardai fuori la bellissima distesa davanti a me illuminata dalla morbida luce argentea della luna, tanto da sembrare giorno. Sei e trenta del mattino, di nuovo. Apro gli occhi e inizio la mia nuova giornata ma sta volta con tanto rancore nel cuore. Mi sono andato a specchiare indossando le mie solite pantofole blu e tenendo in mano l'ippopotamo verde che mi ha regalato la mia bella e senza il quale non riuscirei a dormire. Ma ecco che... I miei occhi! Sono rossi! Rossi di lacrime piene di amarezza e tristezza... Queste lacrime che provengono dal mio cuore le ho versate ieri sera. Ho avuto tanta paura di perdere la mia ragazza! Sono stato uno stupido! Trascino i piedi perché non ho la forza di sollevarli sono troppo stanco! Vado in cucina, mi verso la mia tazza di caffè e latte e prendo i cereali dal cassetto tenendo sempre lo sguardo perso nel vuoto mentre ripenso a quello che è successo. Mangio in silenzio mentre, senza accorgermi, verso tre cucchiai di zucchero nel latte già addolcito dai cereali. Bevo il primo sorso di quello zucchero annacquato dal latte e incomincio di nuovo a piangere senza capire il perché, come se quella sostanza cristallina non mi fosse servita ad addolcire il cuore. Mi rendo conto di quanto sia ingiusta la vita con me, perché oggi dovrò pure fare la verifica di storia e non ho studiato come avrei dovuto. Ero troppo preoccupato per lei. Domani, 20 novembre, compierò diciassette anni. Guardo fuori dalla finestra mentre le lacrime piene di amarezza continuano a rigarmi il viso lasciando i segni come fossero acido. Fuori il sole sta albeggiando e non sono pronto per andare a scuola. Ho il pullman tra dieci minuti esatti e devo ancora vestirmi. Corro in camera con la consapevolezza che non voglio deludere anche i miei. Mi vesto velocemente indossando un paio di jeans che avevo lasciato sulla sedia la sera precedente. Prendo una maglietta rosa salmone della Hollister. Mi guardo allo specchio e mi sento uno schifo! Ricordo che quella maglietta l'avevo indossata la prima sera che uscimmo insieme. Ricordo esattamente ogni dettaglio di quel pomeriggio ed eravamo andati a mangiare un gelato. Poi, tornando in me, prendo di fretta una felpa pesante con il pelo, un cappellino nero e i miei guanti touch. Metto in spalla la cartella, butto uno sguardo all'orologio e corro in pensilina senza salutare i miei, senza accorgermi di aver lasciato la tazza sul tavolo e scordandomi di rifare il letto. Le cuffie e la musica ora sono la mia unica salvezza, ma più la musica corre e più i ricordi quell'estate riaffiorano alla mia mente. Se chiudo gli occhi ecco che l'ombra ha ripreso la sua funzione di freschezza, e le vie sono appunto questo, ombra e luce, in un passaggio alternato tra caldo e fresco. Amavamo la sera, l'ora calma. Del resto, anche la notte ci faceva l'effetto di quella breve penombra che inghiotte chi dal gran sole rientra in casa. Ci incontravamo sull'imbrunire, ed era già mattino, era un'altra giornata tranquilla. Ricordo che la città era tutta nostra, le case, gli alberi, i tavolini, le botteghe. Nelle botteghe e sui tavolini rivedo montagne di frutta e di anguria, ma soprattutto lei che è sempre stata la più bella in mezzo a mille. Ricordo i profumo caldo e le voci nelle vie. La notte mi pareva tanto breve aspettando abbracciato a lei ma quando ci lasciavamo non era un addio ma un attenderci altrove. Amavo tanto sapere che la giornata iniziava e finiva con lei. Era bello sapere che oltre alla luce e all'ombra fresca c'era qualcosa che mi stava a cuore e rinasceva con il sole e affrettava la notte, dava un senso ad ogni incontro che avveniva su quelle strade. Potevo amare e ammirare ogni cosa. Il rumore di un clacson mi riporta alla realtà, ma io non ce la faccio e le lacrime continuano a rigarmi il viso. Frenai di colpo, ma non fu sufficiente per sfuggire al mio destino. H 17:23 del pomeriggio. Ospedale. Apro gli occhi. Sento una voce. La sua voce. Sono così felice ora che lei è qui con me; ma che mi succede? Non riesco più a muovermi. Dove sono? Tutto è bianco però la vedo. La sua voce è lontana e posso inoltre sentire la voce sconosciuta di altre persone, ma non mi interessa perché io voglio solo lei. Mi ci vuole un po' ma riesco a mettere a fuoco il tutto. La guardo. Piange, sorride, non capisco. Le accarezzo dolcemente il viso e i capelli. I suoi capelli castani, di seta, che per un intera settimana non avevano addolcito le mie dita adesso fragili, ma nonostante tutti i dolori che mi affliggono riesco a sfilare uno dei miei migliori sorrisi e dico semplicemente:<hey te...tesoro>. Lei si limita a sorridere mentre le lacrime le rigano il suo bel viso dolce <hey Amore>. E' tutto così strano ma capisco dove sono perché mi ritrovo un dottore davanti agli occhi. Inizio a sentirmi un coglione perché l'ho fatta piangere, l'ho fatta soffrire, quando invece il mio obbiettivo era quello di proteggerla per sempre.


Il dolce e sconosciuto sorriso dell'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora