Capitolo 3

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L' ultima volta che piansi fu quando morì mio padre.
L' unica mia salvezza fu il fatto di credere al futuro, ad un briciolo di onestà in questo mondo.
Forse pensate che io sia pazza, ma quando vieni a sapere che una persona da te tanto amata  smette di esistere, il  mondo sembra fermarsi facendoti rivivere le stesse emozioni per giorni, mesi finché la tua anima non se ne fa un abitudine.
Mia madre mi disse che ebbe un incidente.
Ecco perché penso che la morte di una persona o di un animale sia vista, ancora oggi, come un morbo che arriva e ti porta via.
Il mio unico paragone di morte è la pioggia.
Essa è bella, ma allo stesso tempo  fredda da farti riflettere tutti i più desolati e tristi pensieri.

Un altro incubo.
Questa volta urlai a squarciagola.
Stavo piangendo e continuavo contorcermi nelle pesanti coperte del mio letto.
Era la quarta volta questa settimana e mia madre non ne poteva più di sentirmi urlare e piangere ogni santa notte.
:"Ancora un altro incubo?" mi chiese preoccupata.
:"Sì, era la morte di Henri".
:"Non ti preoccupare, vedrai che tutto si risistemerà... te lo prometto" mi disse mentre tornava  in camera sua.
Da quando era morto Henri, i miei incubi erano peggiorati.
Continuavano a perseguitarmi.
Non ne capivo né il senso, né il motivo.
Abe mi continuava a ripetere  che si trattava di ansia o,per lo meno, di stress accumulato nei mei precedenti mesi di depressione.
Magari aveva ragione, visto che ogni giorno che passava,  vedevo sempre più Ombre intorno a me.
Stavo ancora pensando, quando vidi l'ora sulla sveglia appoggiata sul comodino.
Le quattro meno un quarto di notte.
Davvero? E pensare che fra meno di cinque ore mi sarei dovuta alzare per andare a scuola!.

Stavo camminando nel corridoio della scuola in compagnia di Abe che mi parlava della sua fantastica serata, passata con il suo formidabile ragazzo.
Ci stavamo dirigendo agli armadietti per prendere i libri di fisica e matematica quando vidi  il corpo di Henri  per terra.
Aveva tutto il sangue in faccia, gli occhi aperti che gridavano aiuto e la bocca ferma per confermare che fosse morto.
Urlai più che potei.
Lui era lì che mi fissava disteso, le mani vicino alle mie scarpe e la faccia girata nella mia direzione.
Henri era in quel corridoio, proprio davanti a tutti gli studenti della mia scuola.
:"Arya, perché urli?"
:"C' è Henri, è qui...è...è accasciato davanti a me...è qui...Henri...".
Ma mentre pronunciavo quelle parole lui disse :"E' tutta colpa tua".
Urlai ancora e ancora finché le mie corde vocali non smisero di emettere suoni.
:"Arya ma...ma che cosa stai dicendo.... Per terra non c' è nessuno! Arya!", mi continuava a dire Abe.
Continuavo a vederlo a sentirlo, fino a quando non sentii una leggera brezza sfiorarmi l'orecchio e pronunciare Akasha.
Dopo quelle parole il corpo di Henri scomparve.
Mi misi le mani davanti alla bocca per la paura che stavo, disperatamente, provando.
Scorsi con la coda dell'occhio una platea di studenti guardami, mentre Abe, con la sua acuta voce, li urlava contro.
Nessuno voleva ascoltarla, nessuno voleva aiutarmi, nessuno avrebbe capito quello che avevo appena visto.
:"Ma che cosa ti è successo prima?, Hai cominciato ad urlare, a piangere e a dire di aver visto Henri.".
:"Ho paura di essere impazzita" dissi, prima di cadere a terra
:"Arya Arya!" Sentivo pronunciare dalla mia migliore amica.
Mi tremavano le gambe, mi facevano male le braccia e sentivo gli occhi pesanti.
Mi sembrava di morire e di sentire la mia anima andare verso un corridoio infinito.
Così chiusi le mie fragili palpebre e intuii che  in pochi secondi avrei smesso di provare qualsiasi emozione, lasciando che il mio corpo, anche se stanco e indifeso potesse reagire, ma la paura sembrava essere più forte delle mie energie, facendo in modo che i miei sensi smettessero di funzionare.

. . .

" Mi trovavo davanti a due porte, una bianca e una nera.
Erano enormi e possenti.
Non sapevo quale aprire e se aperta una mi avrebbe  portato di nuovo nella mia vita attuale.
In mezzo alle due porte c'era uno specchio, quando mi guardai notai che avevo un vestito vecchio e antico.
Era nero con delle rose che risalivano fino al corpetto.
Portavo un paio di guanti di pizzo, avente un ricamato di rose bianche alla fine.
Provai ad avvicinarmi, per potermi vedere meglio.
Toccai lo specchio e immediatamente mi vidi entrare attraverso esso.
Non sapevo che cosa stessi facendo e né perché stessi sognando.
Ad un certo punto mi ritrovai in un posto diverso, Londra.
Tutti avevano un abbigliamento diverso da quello che indossavo solitamente.
Sentivo una voce che diceva di andare verso a un palazzo, a pochi metri da me.
Era bianco con delle colonne in marmo che reggevano il portico, fuori dall'entrata d' ingresso.
Quando arrivai davanti a quel palazzo lessi di chi fosse e vidi che apparteneva agli "Evans".
Il mio stesso cognome.
Avvicinandomi al cortile vidi una ragazza seduta su una panchina.
Stava ricamando.
:"Scusa...ma dove mi trovo?".
Appena si voltò per rispondermi notai come il suo volto fosse identico al mio.
Senza scrupoli andai verso di lei, ma un vortico  mi risucchiò, portandomi via da quella strana realtà a me sconosciuta."

Sentivo il mio nome risuonare in tutto questo mio subdolo "sogno".
Era una voce femminile, la conoscevo e capii subito di chi si fosse.

L' ultimo Respiro  {Breathed} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora