Capitolo 26

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La notte passò fin troppo in fretta, Emma si svegliò sentendo la sua pelle bruciare. Il sole era alto in cielo e lei non riusciva a capire se avesse la febbre o un'insolazione. O entrambe. Avvertiva la spalla pulsare, che non era affatto un buon segno: la ferita doveva essersi infettata. Ma la cosa non la preoccupò più del dovuto, alla fine, erano così tante le sue possibili morti che una più o una meno faceva davvero poca differenza.

L'unica cosa che la risparmiò fu il morso della fame, sebbene la sete si fece sentire fin da subito. Si maledisse per aver fatto fuori l'intera borraccia d'acqua in quel breve lasso di tempo, ma non era mai stata un asso nel trattenersi. Eppure, anche quello, non la preoccupò più del dovuto: erano i rumori che provenivano dalle altre fosse che la inquietavano. Mugolii, gemiti e ruggiti. Qualcuno doveva essersi già trasformato e non doveva essere affatto contento della sua nuova condizione.

All'ennesimo verso gutturale che la raggiunse, verso sera, Emma si rannicchiò istintivamente nel fondo della sua fossa, respirando il più silenziosamente possibile, sperando di non attirare nessuno nella sua direzione. Fino alla notte rimase tutto abbastanza tranquillo, ma, appena la luce della luna fece capolino nel cielo notturno, un ululato accompagnò lo stridente rumore di sbarre che venivano divelte.

Ci siamo.

Si fece piccola, silenziosa e attenta, seguì il rumore dei passi sulla terra come se fossero l'unica cosa importante al mondo. Sapeva già che si sarebbero prima o poi avvicinati, e non perché lei fosse un'irrimediabile catastrofica o perché fosse oggettivamente sfigata, ma perché era ferita, e quelle dannate creature potevano fiutarlo a grandi distanze. Il sangue era segno di debolezza e la debolezza in natura veniva estirpata senza pietà.

Infatti, come lo avesse richiamato, un'ombra comparve sopra le sue sbarre. Trattenne il fiato ma si diede subito dell'idiota: il mutaforma poteva perfettamente sentire il suo cuore e il suo odore, tanto valeva farsi gli ultimi respiri in santa pace. Nel buio non capì perfettamente cosa successe, sentì solo il rumore delle sbarre che venivano piegate e avvertì la terra intorno a sé tremare. Chiuse gli occhi, già sapeva cosa sarebbe successo, ma un tonfo sordo seguito da svariati latrati la distrasse. Guardò in alto e vide il cielo: niente sagome, niente sbarre. Non ci pensò due volte: si arrampicò come meglio poté sulla parete di terra e uscì dalla sua fossa. La spalla le lanciò delle fitte atroci, ma poco importava, il panorama che si presentò ai suoi occhi la distrasse da ogni genere di dolore. La fioca luce della luna le rivelò solo sagome di mutaforma che si sbranavano a vicenda, ma la cosa più raccapricciante erano i rumori: ossa frantumate, guaiti, strappi, tonfi.

Ebbe come un presentimento, fu assalita da una strana sensazione e senza nemmeno rifletterci un secondo si abbassò. Un mutaforma la sorpassò con un balzo, girandosi poi a mezz'aria per guardarla dritta negli occhi. Emma non stette a studiarlo, gli voltò le spalle e iniziò a correre. Successe qualcosa di strano dentro di lei: correva a più non posso, il cuore le pompava così forte nel petto da farle credere che sarebbe morta d'infarto di lì a poco, eppure il tempo parve fermarsi. Vedeva esattamente dove metteva i piedi, saltava le fosse aperte e scansava altri ostacoli, poi i suoi occhi si impigliarono su degli artigli che tentavano di farsi strada all'esterno: un mutaforma che, con un po' di ritardo, rompeva la sue sbarre per aggiungersi alla festa. Un piano si fece forma nel suo cervello alla velocità della luce, virò nella direzione di quella precisa fossa, per una volta decise di scommettere su se stessa, sulla sua fortuna, e fu ripagata: saltò la fossa un istante prima che il mutaforma ritardatario ne fuoriuscisse. Il suo inseguitore fu investito dalla mole del nuovo arrivato. Emma si guardò solo per un istante indietro: non aveva più nessuno alle calcagna.

Rallentò un po' la sua corsa, cercando disperatamente di riprendere fiato. Il tempo aveva ripreso il suo solito corso facendole piombare addosso tutta la spossatezza di quella corsa. Si fermò dopo un po', appena si rese conto di trovarsi nel fitto del bosco che circondava le fosse. Forse per il buio pesto, forse per l'agitazione accumulata, si rese conto di non sapere minimamente dove fosse. Mosse incerti passi nell'impervio terreno del sottobosco, poi, di nuovo, quella strana sensazione. Si sentiva osservata e si voltò, ma nel buio non scorse nulla se non confuse ombre. Si appiattì con le spalle contro un albero e tentò di captare ogni tipo di rumore ma non sentì nulla. Aveva solo quella sensazione addosso che le faceva aggrovigliare le budella ogni minuto di più. Presa da un dubbio, o meglio, per puro caso, guardò in alto e i suoi occhi si incrociarono con due pozze scure fameliche che brillavano di follia.

Si buttò di lato appena in tempo per scansare il mutaforma che le si era gettato addosso. Si guardarono dritti negli occhi per un tempo che sembrò infinito: Emma sarebbe voluta correre via ma qualcosa in quegli occhi la inchiodava al terreno in cui era rannicchiata. Lei conosceva quegli occhi castani, così tondi, gentili...

«Bli!» esclamò, appena riuscì a collegare quegli occhi al volto del ragazzo.

Bli piegò la testa di lato, evidentemente confuso da quel sono stridulo, poi ringhiò con tutta la forza che aveva in corpo. Emma tremò: lui non l'avrebbe mai riconosciuta in quello stato, e, in ogni caso, era meglio non tentare la sorte.

Aspettò che lui facesse la prima mossa, quindi, nel momento esatto in cui lo vide avvicinarsi, scattò di lato e si mise, nuovamente, a correre. Le gambe erano ancora provate dallo sforzo di poco prima e anche tutte le radici e vari altri impedimenti la rallentarono molto. Come se non bastasse, più avanzava nel bosco, più calava una strana nebbiolina che ben presto divenne una vera e propria coltre di fumo densa e fredda.

Poteva chiaramente sentire la presenza di Bli alle sue spalle e, anche se stanca, anche se accecata dalla nebbia, continuò a correre, fino a quando, ovviamente, non si dovette arrestare di colpo sul ciglio di uno strapiombo.

Sbuffò mentre lacrime amare scendevano dai suoi occhi. Perché? Perché doveva essere successo a lei? Che aveva fatto di male nella vita per meritarsi tutto quello? Pensò ad Ary, alle sue parole: «Non arrenderti.» e lo avrebbe voluto avere lì accanto, non come protettore, ma per urlargli in faccia che lei non si era arresa, lei ci aveva provato in tutti i modi, ci aveva provato per lei, per lui e, sì, anche per loro, perché in tutto quel casino "loro" l'aveva fatta sentire finalmente a casa, anche solo per una scarsa giornata.

Non mi sono arresa...

Un ringhio cupo e vittorioso raggiunse le sue orecchie. Si voltò e nonostante la nebbia lo vide chiaramente in piedi, alto e forte. Le venne naturale sorridere: era diventato quello che aveva sempre voluto e lei si sentì fiera di quel cucciolo finalmente maturato.

Si chiese se, finito tutto, lui avrebbe mai avuto memoria di quella sera. Se lo conosceva un minimo, non sarebbe mai riuscito a convivere con il ricordo di averla uccisa.

«Non ti preoccupare, io ti perdono» scandì bene, sperando che almeno quelle parole gli rimanessero impresse nella memoria.

In tutta risposta Bli ringhiò e le si scagliò contro.

L'umana dal passatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora