1. Un funerale mi cambia la vita.

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«Faith mi auguro che tu sia pronta!» gridò mia madre dalla cucina, dove stava finendo di preparare mia sorella.
Mi alzai dal letto, spensi la Play Station e afferrai la mia vecchia borsa beige che mi attendeva, appesa in bella mostra alla maniglia della mia porta.
Una volta uscita dalla mia camera mi assicurai di chiuderla a chiave e di riporre la chiave nella borsa. Odiavo quando mia madre si metteva a frugare tra le mie cose con la scusa di star mettendo in ordine.
Quella volta, però, non sarebbe stato necessario.
«Mamma, tanto non siamo in ritardo e poi lo sai che gli zii sono dei ritardatari.» dissi, prendendo un bicchiere e versandoci dell'acqua.
«Lo so, Faith, ma stavolta è diverso.» mi disse, con espressione quasi severa. «Va a chiamare tuo padre piuttosto.»
Alzai le spalle, posai il bicchiere ancora mezzo pieno e attravarsai velocemente il corridoio principale della nostra piccola casetta londinese.
Una volta aperta la porta della camera dei miei, trovai mio padre seduto sulla sedia della scrivania, ascoltando canzoni deprimenti.
Sospirai. Era peggio di una teeneger che aveva appena visto morire il suo personaggio preferito in una soup opera.
«Dai, andiamo papà.» sussurrai, prendendogli delicatamente il braccio e spegnendo lo stereo.
Quando lo portai in cucina, mia madre aveva già imboccato la porta, con le chiavi in una mano e la mia sorellina di nove anni nell'altra.
In normali circostanze, ognuno di noi avrebbe fatto con comodo, prendendosi il proprio tempo e scherzando, ma non quella volta.
Tra meno di un quarto d'ora, un esecutore testamentario sarebbe venuto a casa di mia nonna, a Waltham Abbey, e avrebbe letto le ultime volontà di mio nonno.
Era morto un mese fa, a Gennaio, in una triste sala operatoria, dopo un'operazione mal riuscita.
Non l'esecutore,eh! Mio nonno.
Mio padre, il più piccolo dei tre figli di nonno Morgan, era quello ad aver sentito maggiormente la perdita, subito dopo mia nonna Catherine.
Il viaggio fino alla magione fu silenziosa, ognuno sentiva il peso del lutto.
Una volta alla casa, ci rendemmo conto che i miei due zii, Stephan e Selene, e mia cugina, Crystal, erano già arrivati.
«Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo cominciare.» fece l'esecutore in tono solenne, facendoci accomodare nel salotto di casa.
Io e mia cugina rimanemmo in piedi, mentre tutti gli altri si sedettero sul divanetto davanti a quello dell'esecutore, formando una specie di semicerchio.
Osservai Crystal aggiustarsi il rossetto e scrivere qualche messaggio, ma provai a concentrarmi sull'esecutore.
«Per prima cosa, il Signor Blacke ha lasciato alla signora Catherine Blacke l'intera casa, gli immobili e i mobili che vi sono presenti, più un quarto della liquidità.» iniziò, passando dei documenti alla nonna.
«Ai tre figli, Stephan, Selene e Sam, e ai rispettivi coniugi, Anthony e Linda, i restanti tre quarti del patrimonio e le azioni bancarie.»
I miei genitori e i miei zii tesero le mani per afferrare i documenti con aria famelica.
«Inoltre, alla signorina Crystal, ha lasciato la collezione di orologi del valore di 20.000 sterline.»
A Crystal brillarono gli occhi e saltellò felice verso i documenti dell'esecutore.
Sospirai, vedendolo rimettere a posto i fogli.
"Non mi aspettavo nulla..."
«Ah, signorina Faith, c'è una lettera qui per lei da suo nonno.»
La voce dell'esecutore mi fece sobbalzare. «Davvero?»
«Si. Le ha lasciato una chiave d'argento e la biblioteca del suo studio.» annunciò, giardandomi come se dovessi sapere il motivo di quella bizzarra scelta.
Crystal mi parve sogghignare, ma al momento stavo prestando maggior attenzione a quello strano lascito. Stavo per chiedere se avesse letto bene, ma l'esecutore continuò.
«Ah! Nella lettera, il defunto pretende che all'apertura della porta sulla destra del seminterrato sia presente l'intera famiglia.»
Rimasi interdetta. La porta nel seminterrato non veniva mai aperta. Mai. Ogni volta che mia cugina o io vi ci avvicinavamo, mio nonno Morgan arrivava in tempo per allontanarci con una scusa.
Effettivamente, da quando era morto non avevo mai pensato di tornare nel seminterrato a curiosare.
Rigirandomi la chiave tra le dita, proposi. «Potremmo andare ora. La famiglia è al completo.»
L'esecutore annuí, guardando mia nonna ancora più confusa. Lei si alzò, prese un mazzo di chiavi da un cassettone fece strada fino alla scala che conduceva al seminterrato.
Io mi affiancai a lei, tenendo sempre stretta la chiave.
«Nonna, cosa c'è in quella stanza?» chiesi sottovoce.
«Non lo so. Tuo nonno l'ha sempre tenuta chiusa e ora la chiave è nelle tue mani.» mi disse, guardandomi con aria accusatoria. «Mi domando anche io cosa ci sia e perchè ti abbia lasciato quell'oggetto.»
Detto questo, si fermò davanti ad una porta, illuminandola con la torcia del cellulare.
La porta in questione era fatta di ferro: maniglia, cardini e decorazioni. La serratura era massiccia, ma piccola. Pensai fosse una camera blindata, una di quelle che si usano per mettercisi oggetti preziosi o beni dal valore inestimabile.
«Dai, aprila, così ce ne andiamo tutti da qui.» mi intimò Crystal, visibilmente impaziente.
Intrudussi la chiave nella serratura e la girai, facendo scattare numerosi ingranaggi, fino a quando la maniglia non si mosse, dando il segnale che era possibile aprirle.
Spalancai la porta.
«Qui...» dissi, illuminando il posto con il cellulare. «Non c'è nulla.»
O meglio, c'era qualcosa.
La camera era ampia e spaziosa, piena di polvere e ragnatele, le quali testimoniavano il fatto che non veniva pulita da tempo. L'odore di muffa e chiuso mi invase le narici, costringendomi a tapparmi il naso e arretrare.
«E nonno mi avrebbe lasciato questo?!» chiesi, sbalordita.
Piano piano, tutti i membri della mia famiglia iniziarono a dare un'occhiata in giro, incuriositi.
Anche io mi guardai in giro, constatando che la stanza era piena di oggetti vecchi: lampadari rotti pieni di raganatele, candelabri arrugginiti, specchi rotti... Insomma, era tutto un rottame. O mio nonno mi aveva presa per una ferramenta o aveva semplicemente sbagliato.
Camminando, non mi accorsi di un enorme armadio nero.
"Che diamine ci fa un armadio qui?"
Guardai il legno prezioso, le decorazioni d'argento e una piccola serratura uguale a quella della porta. Ripresi la chiave dalla tasca dei miei jeans logori e la inserì nella serratura. Aprì le ante di scatto, ma quello che vi trovai davanti mi fece sobbalzare. Un paio di occhi dorati, dalla pupilla allungata come quella dei felini mi guardava. Il proprietario degli occhi era quasi invisibile, ma sentivo un chiaro rumore di catene che venivano mosse.
«Che ci fai tu qui?» chiese, facendomi rizzare i capelli in testa.

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