Lo sai, più si cerca di semplificare le cose più si complicano.
Ti crei delle regole, innalzi muri, allontani le persone, menti a te stessa e ignori i veri sentimenti.
Questo non significa semplificare le cose.
Cecelia Ahern, Il DonoIl sole era spuntato già da qualche ora, l'orologio sul muro segnava le nove e dieci. Emma era a digiuno ufficialmente da ventiquattro ore. Si era rifiutata di mangiare il cibo dell'ospedale - le avevano sparato alla gamba, non alla stomaco - e il suo umore non era dei migliori. Una delle infermiere le aveva fatto visita alle sei del mattino mettendole davanti un vassoio con una mela e quello che sembrava essere del tè, l'aveva spinto via e aveva pensato che se avesse preso sonno si sarebbe lamentata dell'orario disumano.
Bussarono alla porta anche se era leggermente aperta, era una donna dai capelli scuri e corti, minuta e sorridente. Emma non aveva nulla di cui sorridere: non aveva dormito la sera prima, non aveva mangiato e non aveva rivisto Killian. Se lo immaginava addormentato sul divano perché non le aveva mandato la buonanotte per messaggio, poi cominciò a chiedersi perché si aspettava una cosa del genere - capitava spesso nelle ultime settimane, messaggi scambiati fino alle prime luci dell'alba e sguardi complici in ufficio - ma prima che riuscisse a fare un'analisi più attenta dei suoi sentimenti la brunetta entrò augurandole il buongiorno e appoggiando dei fiori sul tavolo accanto al caffè - dimenticato la sera prima a terra e raccolto da uno degli inservienti che pensava fosse suo.
Il ragazzo delle pulizie le chiese se ne avesse ancora bisogno indicando la tazza di cartone sul pavimento, lei arrossì e rispose: "L'ha dimenticato..." il mio collega? Il mio amico? Il mio ragazzo? Non aveva idea di cosa rispondere quindi scosse la testa e aggiunse: "La lasci sul comodino."
Ad Emma la ragazza non piaceva: come si poteva essere così felici alle nove del mattino, in un ospedale? Mise da parte la sua frustrazione e rispose con un più fiacco: "'Giorno" prendendo il telefono per evitare di comunicare ancora senza aver bevuto un caffè.
"Mi chiamo Mary Margaret, faccio volontariato qui. Non mi piace chiamarti 'signorina Swan', è troppo informale" cominciò lei senza fermarsi per un secondo a sedere. Si diresse verso le tende per sistemarle, aprì la finestra, alzò le tapparelle e rimase lì a respirare dell'aria fresca: "Quindi dimmi: come ti chiami?" chiese girandosi finalmente per guardare Emma che stava sorridendo al suo telefono. Non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto e Mary Margaret se ne accorse all'istante.
Buongiorno, bellezza. Come stai?
Era stupido essere così felice per quattro parole scritte quasi sicuramente correndo a lavoro, ma il solo pensiero che si fosse fermato qualche secondo per assicurarsi che stesse bene era più di quanto qualcuno avesse fatto da molto tempo ed Emma non era nemmeno più sicura di volere quel genere di cose: un ragazzo che si preoccupava per lei, che le faceva dei complimenti - che erano i più scontati del mondo, a volte - e le teneva la mano. La se stessa di dieci anni fa avrebbe fatto i salti mortali se qualcuno come Killian Jones le avesse prestato quel tipo di attenzioni, ma adesso...
"È il tuo fidanzato?" le domandò innocentemente Mary Margaret avvicinandosi con un'espressione sognante sul viso. Emma scosse la testa e la guardò leggermente stupita. Seconda volta in due giorni in cui non sapeva come descrivere la sua relazione col suo capo, di questo passo avrebbe perso il conto prima di tornare a lavorare.
"Veramente è... ehm. Cosa- cosa stavi dicendo prima?" La ragazza alzò le mani in segno di arresa e chiuse gli occhi: "Scusa, non volevo... metterti a disagio" concluse indicando il cellulare con un cenno della mano prima di allungarla: "Mary Margaret."
"Emma" rispose la bionda accettando la stretta.
"Emma. L'ho chiesto solo perché sono un'inguaribile romantica ed eri così tesa quando sono entrata poi hai preso in mano il cellulare e-"
Emma le sorrise nella maniera più rassicurante che conosceva: "È tutto ok, davvero."
Mary Margaret annuì e si diresse verso la porta farfugliando qualcosa che suonava come 'ti lascio da sola' quando Killian entrò nella stanza a testa bassa e per poco non arrivò addosso alla ragazza che cominciò subito a scusarsi. Di nuovo. Emma stava per scoppiare a ridere.
"È tutto apposto, tesoro. Davvero" la rassicurò prima di rivolgersi ad Emma: "Non hai risposto al mio messaggio, stai bene?"
Mary Margaret guardò prima uno e poi l'altra in maniera sospettosa prima di sistemarsi la borsa sulle spalle e andarsene salutando: "Stavo andando via comunque. Ci vediamo domani, Emma."
"A domani" le rispose l'altra con un gesto della mano.
La porta si chiuse dietro la volontaria ed Emma prese un respiro profondo e rise debolmente indicando la sedia accanto al letto a Killian.
"Sto bene. Stavo per risponderti, ma sei arrivato prima." Non si era mai dovuta scusare con qualcuno perché non aveva risposto alle sue attenzioni, era una sensazione strana.
Lui annuì e si grattò dietro l'orecchio, alzò il braccio destro e le mostrò una busta: "Ti ho portato la colazione" le disse appoggiandola sul letto accanto a lei. Emma la aprì e vide dentro un muffin e una tazza d'asporto, prese un sorso e sentì il gusto della cioccolata calda riempirle la bocca, con giusto una spruzzata di cannella. Quand'era stata l'ultima volta che aveva permesso a qualcuno di conoscerla così bene? Il pensiero la colse alla sprovvista, stava quasi per dare di matto e dirgli di andarsene, avrebbe dovuto chiedere il trasferimento, si era attaccata troppo a Boston, a David e a lui. Stava per ridargli la busta quando vide i suoi occhi felici guardarla dritto nei suoi. Nessuno l'aveva guardata in quel modo da... nessuno l'aveva mai guardata in quel modo. Tutta la sua sicurezza evaporò ed Emma si sentì un'adolescente con una cotta. Durante la notte aveva pensato a lui e si era ridotta nello stesso stato, - guance rosse, sorriso ebete - se lo era permesso perché al buio della luna poteva fingere di essere una ragazzina nella sua stanza, poteva fare quello che non aveva mai avuto la possibilità di fare e tornare indietro di qualche anno, provare esperienze che per tutti gli altri sono normali; aneddoti imbarazzanti che per lei erano soltanto sogni di una vita che le era stata strappata via. Averlo lì accanto a lei in carne ed ossa, però, era tutta un'altra cosa.
"Grazie." Decise che finché si trovava in quel letto d'ospedale avrebbero potuto far finta che andasse tutto bene, che le sue insicurezze non la stessero tirando dai capelli, costringendola a riconsiderare gli ultimi cinque mesi della sua vita.
"Di cosa, Swan?"
"Per avermi ascoltata, per la colazione, per- per essere tornato" disse abbassando gradualmente il tono della voce, così tanto che le ultime parole furono quasi un sussurro.
"L'avresti fatto anche tu" le rispose, nessun segno di esitazione. Emma pensò un secondo a quello che aveva detto e realizzò che era vero, ma non doveva averne conferma, non da lei e non in quel momento. Riprese a mangiare il suo muffin mentre lui si sedette più comodamente sulla sedia e rimase lì a guardarla, nessuno dei due disse una parola mentre lei finiva di mangiare, dopodiché si pulì le mani con un fazzoletto, mise il cartone vuoto nella busta e gli passò il tutto per buttarlo, Killian si alzò e andò verso il cestino, quando le diede le spalle si decise a parlare e prese un respiro profondo: "Ho incontrato il dottore entrando."
"Davvero?"
"Mhm. Ha detto che il proiettile ha toccato solo la carne e che ti rilasceranno dopo ventiquattr'ore se prometto di metterti alla scrivania per le prossime tre settimane." Tre settimane di lavoro d'ufficio. Anche se avesse chiesto il trasferimento non si sarebbe potuta spostare con la gamba malconcia, molto probabilmente non le permetterebbe nemmeno di guidare, quindi era bloccata a Boston per un altro mese con quell'uomo che voleva evitare a tutti i costi, costretta a passare otto ore al giorno con lui. L'odiava perché era quasi sicura di amarlo. Emma Swan era sempre stata un paradosso con una giacca di pelle.
"Quindi posso tornare a casa già da stasera?" Non voleva parlare di nient'altro, la conversazione sarebbe rimasta su un terreno che sapeva gestire.
"Se tutto va bene, sì."
Emma buttò la testa indietro e chiuse gli occhi, sperava di avere un po' più di tempo per mantenere l'illusione che tutto stesse andando bene, che lei fosse in controllo delle sue emozioni. Solo un altro giorno.
"Fantastico" disse soltanto coprendosi gli occhi con una mano per qualche secondo, il suo tono chiaramente sarcastico. Quando tolse la mano si rese conto di avere ancora il trucco del giorno prima in faccia e che il palmo le si era sporcato di matita nera e cipria. Perfetto. Cercò di pulirla sul lenzuolo e non si rese conto che Killian la stava guardando, confuso. "Va tutto bene, Emma?" le chiese allungando una mano per prendere la sua. Lei si girò di scatto e allontanò il braccio come se la stesse bruciando.
"Tutto bene, solo un po' stanca. Quanto hai speso per la cioccolata calda? Non ho idea di dove sia la mia borsa, mi hanno ridato solo il cellulare ma ti restituirò i soldi appena potrò" cominciò a blaterare senza dargli tempo di rispondere, quando finalmente si fermò con un sospiro il suo collega - il suo capo, come cercava di ricordarsi - scosse la testa, frustrato dal suo comportamento: "Consideralo un augurio di pronta guarigione. Sei sicura di poter tornare a casa da sola?" le sue attenzioni le facevano piacere, il che era un altro motivo per cui doveva andarsene prima che lo facesse lui. Per quanto si sforzasse di convincersi che non aveva bisogno di lui in realtà sapeva che non era vero.
"Non ho bisogno del tuo aiuto, Jones. So badare a me stessa." Killian continuava a pensare di non aver mai conosciuto una creatura più testarda.
"Non vuol dire che tu debba farlo. A volte lasciare che qualcuno si occupi di te può farti bene."
Emma sbottò: "Vedi? È questo il problema. Ogni volta che ho lasciato che qualcuno si prendesse cura di me sono sempre finita sul bordo di una strada."
Killian capì a cosa si stava riferendo, - a chi - si sedette sul suo letto mettendole il pollice sotto il mento e costringendola a guardarlo negli occhi, lei non aveva resistito ma continuava a tenerli bassi.
"Guardami" le ordinò, cercava di non avere un tono troppo duro, non voleva sembrare arrabbiato quando in realtà era semplicemente offeso dal fatto che potesse pensare una cosa del genere. Sembrò essere passata un'eternità, ma finalmente lo guardò e Killian le disse lentamente: "Non ho intenzione di deluderti. Io non sono lui."
Emma si morse il labbro e gli spostò il dito prendendogli la mano. Espirò e inspirò un paio di volte, inghiottì un boccone amaro che non era lì e s'inumidì le labbra cercando di non scoppiare in lacrime.
"Non posso permettermi di sbagliarmi, non su di te" ammise.
"Dammi almeno la possibilità di provarti che non è così." La sua voce era così flebile che quelle parole non le sembrarono destinate ad essere sentite. Osservò il viso dell'uomo davanti a lei e pensò alla scelta che doveva fare, alla risposta che doveva dargli. Continuava a scappare, aveva passato la sua vita in quel modo, le parole di Neal le rimbombavano nelle orecchie ogni volta che partiva per una nuova destinazione: casa è il posto che ti manca quando sei lontano. Nulla le era mai mancato fino alla sera prima, quando aveva desiderato con tutta se stessa di essere ancora nell'ufficio che condivideva con David, il suo partner seduto nella scrivania accanto e il loro capo che portava ad entrambi il caffè. Quel posto e quelle persone erano la cosa più vicina a casa che avesse mai conosciuto: un posto stabile, dove poteva mettere radici. In fondo cos'aveva da perdere? Si era già ferita abbastanza da sapere come rimettersi in piedi.
"Okay."
"Okay?" Non poteva biasimare il suo stupore, fino a qualche secondo prima neanche lei era sicura di quello che avrebbe fatto. Era rischioso, se mai avessero tradito la sua fiducia sarebbe stata un'altra tacca da aggiungere al muro delle delusioni, ma si fidava di queste persone più di quanto non si fidasse di se stessa quindi annuì e appoggiò la testa sulla sua spalla, chiuse gli occhi e cercò di dormire. Prima di addormentarsi sentì il bacio che le lasciò sulla testa e il peso del suo corpo spostarsi sul materasso e se il suo sorriso si allargò leggermente nessuno l'avrebbe mai saputo.Le settimane di convalescenza passarono più in fretta di quanto Emma avesse potuto sperare, passare le sue giornate alla scrivania non era così brutto se i tuoi colleghi sapevano come tirarti su e fortunatamente David sapeva come fare. Non che fosse difficile, bastava lasciarle una tazza di cioccolata calda e l'ultima stagione di Lost per farla felice. Stava guardando Jack che cercava di legare con suo figlio - aveva sempre adorato quell'episodio, forse perché riusciva ad immaginarsi la sua vita parallela con un bambino e una casa e probabilmente gli stessi problemi del Dr. Shepard - quando sentì bussare alla porta, non aveva bisogno di girarsi per sapere chi fosse.
"Non rimetterò l'episodio dall'inizio, non chiedermelo nemmeno" urlò senza staccare gli occhi dallo schermo del computer.
"Sarebbe scorretto, Swan. Sarei dovuto arrivare prima" le disse sprofondando sulla sedia di David e mettendosi comodo accanto a lei.
"Allora, cosa vediamo oggi?" chiese cercando di prendere un sorso dal suo bicchiere, ma Emma se ne accorse e gli schiaffeggiò la mano. "Jack e la sua vita parallela."
"A volte penso che ti piaccia più di me" scherzò appoggiando i gomiti sulla scrivania.
Emma rise sarcastica e ritornò a concentrarsi sullo show. Nelle ultime due settimane avevano passato molto tempo insieme in ufficio e fuori, senza cercare di nascondere la loro amicizia a nessuno e tutto sembrava essere semplice anche se ogni tanto Emma doveva sopprimere il desiderio di accoccolarsi accanto a lui come quando si addormentava sul divano, momenti come questo in cui erano tranquillamente seduti con le voci che uscivano dalle casse come unico accompagnamento. Era rilassante e piacevole essere in sua compagnia, ancora di più da quando aveva deciso di restare. A volte le capitava di pentirsi delle sue scelte, nel silenzio della sua camera da letto si metteva a piangere, sicura che David avrebbe presto trovato una nuova collega che poteva accompagnarlo sul campo, poi arrivava il mattino e quando si ritrovava faccia a faccia con Killian che era andato a prenderla o con David che l'accoglieva con un abbraccio e una scatola di ciambelle tutte le sue insicurezze sparivano, giusto per un po'. La cosa migliorie per passare una nottata di sonno era addormentarsi tra le braccia di Killian dopo un film particolarmente lungo e risvegliarsi il giorno dopo a letto, sotto le coperte consapevole del fatto di essere stata portata lì da lui la sera prima. "Sempre un gentiluomo" le ricordava quando lei lo prendeva in giro per essersi preso il disturbo di toglierle le scarpe e ogni volta Emma si mordeva il labbro e fissava la strada cercando di non pensare troppo al rossore sulle sue guance.Il dottor Hopper entrò riluttante nell'ufficio tenendo in mano una cartellina e osservando i due con un sorriso che nascondeva qualcosa, come se lui fosse l'unico custode di un segreto inconfessabile. "Capitano Jones, mi dispiace interromperla ma ho una pista molto importante sul caso Gold."
Entrambi i ragazzi saltarono in piedi (Emma digrignò i denti, un dolore improvviso le prese la gamba al movimento improvviso), avevano riconosciuto quel nome e sapevano che portava solo problemi.
"Cosa c'è, Archie?" chiese lei appoggiando una mano sulla spalla di Killian che era diventato pallido in viso.
"Credo di sapere dove si nasconde" confermò il ragazzo sistemandosi gli occhiali sul naso. "Posso?" domandò indicando la scrivania. Emma annuì e spostò la tastiera per dargli spazio, lo psichiatra appoggiò un paio di carte e delle foto sul tavolo e spiegò come era riuscito a rintracciarlo tramite i suoi precedenti crimini, Killian non stava ascoltano la descrizione tecnica ma aveva capito che il bastardo era nella vecchia casa che aveva condiviso con Milah, una villa ormai in disuso che si affacciava sul mare fuori città. Al solo pensiero di quel posto il suo stomaco cominciò a brontolare e la sua mente ad offuscarsi di ricordi di una vita passata, di una donna a cui non aveva pensato negli ultimi sei mesi, era passato così tanto dall'ultima volta che si era perso nei ricordi della sua amata che il ricordo del suo tocco cominciava a mischiarsi alla sensazione della mano di Emma sulla sua spalla. Sospirò e chiuse gli occhi cercando di concentrarsi sul presente. Prese le chiavi della macchina di servizio e corse fuori dalla porta.
"Dove diavolo stai andando?" gridò Emma dietro di lui mentre apriva lo sportello dell'auto.
"A prendere quel maledetto Coccodrillo." rispose mettendo in moto, ma sentì l'altro portello aprirsi e sapeva che lei stava entrando quindi non partì.
"Vengo anch'io." Killian sapeva che litigare con lei e ricordarle della sua gamba ancora non del tutto guarita era una cosa stupida da fare quindi si risparmiò lo spreco di tempo, uscì dal parcheggio e premette sull'acceleratore più forte che poteva.Ho deciso di aggiornare anche
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Don't look too close
FanfictionEmma non ha mai messo radici in un posto per più di qualche mese, finché delle persone speciali non la convinceranno a restare al Boston Police Department. In particolare un poliziotto dagli occhi blu e il passato torbido quanto il suo. [Cop AU]