Anche se tu non mi vedi

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Non è stato sempre l'odio il sentimento che nutrivano nei miei confronti; sono fermamente convinto mi abbiano persino amato all'inizio. Non so cosa possa aver scaturito un tale ribrezzo verso di me: forse qualcosa che inconsapevolmente ho fatto senza rendermi conto fosse sbagliato, o forse una delusione inavvertitamente infertogli. Da quando sono rinchiuso in questo gelido antro non faccio che rimuginare su quale possa essere il torto commesso per una simile punizione; non faccio che chiedermi se merito davvero le bastonate ricevute nonostante non riesca a concepirne la motivazione. Ogni minuto che passa sento il senso di colpa avvolgermi sempre più insipido e sempre più capace di rubarmi le forze; ogni minuto che scorre è per me come un passo verso la concretizzazione del mio peggior inubo: l'essere un "cattivo cane".

Quando finalmente la porta si aprì ed entrò un sottile bagliore di luce, scorsi la sagoma del mio padrone e trassi un sospiro di sollievo avendo ora la prova concreta che non ero stato dimenticato nell'umida tavernetta come nel mio profondo iniziavo a temere.

Gli andai incontro emozionato, incurante delle dolorose fitte alla schiena che ancora permanevano dallo scontro della sera precedente; non mi accolse calorosamente, non mi concesse attenzioni come speravo, si limitò a legarmi alla sua corda da passeggio.

Mi portò in cortile e provai grande entusiasmo quando capii che eravamo diretti alla Cuccia Mobile. Ho memoria di un tempo, quando ero poco più che un cucciolo appena svezzato, in cui i bipedi mi portavano, accoccolato sulle loro ginocchia, in verdi prati emananti innumerevoli odori smisuratamete invitanti per il mio allora inesperto tartufo. Da quando sono cresciuto e divenuto troppo grande per le esili gambe della mia padrona, ho iniziato a viaggiare sul retro della Cuccia su cui con il tempo sono salito sempre meno. Forse proprio per le sempre più rare giornate al parco ogni passo verso la Cuccia Mobile scaturiva ora in me una sempre più incontrollabile emozione. Saltai su impaziente e partimmo. Non sapevo dove stessimo andando, non avevamo mai percorso quella strada; rimasi un po' deluso una volta sceso da quell'eccezionale invenzione per viaggiare, in quanto al posto dei verdi prati in fiore non vi era altro che una desolata strada scarsamente illuminata, ma quella delusione passeggiera svanì nell'immediato momento in cui mi ricordai che l'unico sentimento che avrei dovuto provare era la gratitudine di essere stato perdonato dal mio amato padrone. Rincorsi felicemente la palla da lui lanciatomi, ormai completamente libero dai tristi pensieri affollatasi nella mia mente nel periodo di reclusione nell'umida tavernetta. Mi sentivo talmente sollevato di non essere più l'oggetto di rancore da parte del mio padrone da essere cosciente della realtà della sera precedente solo grazie alle insistenti ferite sul dorso,che non sembravano intenzionate a lasciarmi godere al massimo quel momento, nonostante la mia tentata incuranza. Sentii un rombo alle mie spalle e mi voltai di scatto: la Cuccia Mobile era ripartita; ma il mio padrone, probabilmente immerso nei suoi pensieri, si era involontariamente dimenticato di farmi salire sul retro.

Iniziai un affannata rincorsa nel vano tentativo di farmi notare dal mio padrone, il quale era certaente ignaro della sua sbadata dimenticanza. Ma dopo poco le forze mi vennero meno: le ferite si fecero più arcigne, le zampe iniziarono a cedermi, il respiro si fece affanno e nonostante la mia ferrea determinazione il mio ancora convalescente corpo cedette, ed io caddi.

Non so con certezza per quanto vagai senza meta, alla ricerca di qualche traccia che potesse ricondurmi a casa; continuavo a pensare che quella del mio padrone era solo in insignificante distrazione e che nel momento in cui si fosse reso conto della dimenticanza sarebbe immediatamente accorso alla mia ricerca, magari con qualche biscotto per scusarsi della sua disattenzione. Passai molto tempo ad immaginare questa scena durante il mio disperato vagabondaggio, ma più passavano i minuti, più percorrevo quella sconosciuta strada che mi pareva sempre uguale, più si affermava in me il dubbio che nessuno mi stesse realmente cercando. Tentai in tutti i modi di scacciare questa pesante ipotesi che con sempre maggior forza si faceva strada tra i miei pensieri da cane devoto, ma più calava la notte; più le oscure tenebre avvolgevano quello spoglio paesaggio a me sconosciuto, più il mio stesso cuore veniva avvolto da una sottile ma devastante nebbia nera quale era la consapevolezza di essere stato abbandonato.

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