Capitolo 11.

17.1K 766 80
                                    

Aprii gli occhi e mi guardai attorno. Ero stesa su una specie di lettino al centro di una stanza completamente bianca e arredata con qualche armadio dalle ante trasparenti.
C'erano diversi scaffali stracolmi di bocce piene di chissà quale liquido.
Alla mia destra era posto un piccolo tavolino in ferro, ricoperto di diversi attrezzi sparsi: forbici, bisturi, qualche pezzetto di cotone e altri oggetti che non riuscii a identificare.

"Soggetto C2, finalmente ti sei svegliata." mormorò un uomo entrando dalla porta. Quando alzai lo sguardo e realizzai di non poter vedergli il volto, la cosa mi spaventò. Era come se qualcuno avesse deciso di censurarmi la vista ponendo un cerchio sfocato sulla sua testa. Però dal camice bianco che aveva indosso potevo presumere che fosse un medico e dalla siringa che stringeva in mano, che non mi aspettasse nulla di buono.
"Non mi chiamo Soggetto C2, il mio nome è Rebeca!" replicai automaticamente, mettendomi a sedere.
"Come vuoi, ma dobbiamo iniziare i test." annunciò sorridendo.
"No..." sussurrai. "Vi prego basta."

"Potete entrare." ordinò portandosi alle labbra una radiolina e ignorandomi completamente.
Dopo pochi istanti due guardie e altri scienziati entrarono nella stanza.
"Giratela di schiena." ordinò spruzzando fuori un po' di liquido dalla siringa.
Continuai a protestare e a dimenarmi, ma nonostante il mio oppormi riuscirono a mettermi a pancia in giù.
"È lo stesso liquido di sempre, non ti preoccupare. Ti immobilizzerà, ma non fungerà da anestetico. Sentirai ogni cosa." spiegò scoprendomi la schiena e inserendomi l'ago nella spina dorsale in tre punti diversi.

Strinsi i denti e strizzai gli occhi. Continuai a dibattermi finché non sentii il bruciore dovuto al liquido avanzare lungo i miei arti e addormentandoli poco a poco.
"Collegale la macchina alla testa." stabilì, rivolgendosi a una ragazza vestita con un camice. "E voi potete andare." ordinò poi alle guardie, che mi mollarono immediatamente per dirigersi verso l'uscita.
La donna digitò qualcosa in uno schermo e poi mi attaccò alla testa diversi fili con una specie di adesivo bianco.

Cercai di muovermi, ma non riuscivo più a spostarmi, come se la mia mente e il mio corpo si fossero improvvisamente scollegati. L'unica cosa che riuscivo ancora a spostare erano gli occhi, il che in realtà non era poi una così bella notizia.
"Iniziamo." annunciò lo scienziato prendendo un bisturi. "Stai attenta e guarda come reagisce il suo cervello al dolore." intimò alla ragazza, che ancora stava digitando qualcosa al computer.
Sentii una fitta alla schiena e urlai a pieni polmoni.



"Elena!" 
Mi alzai di scatto e mi guardai intorno.
Ero nella Gattabuia. Ero nella Radura. 
Fortunatamente era stato solo un sogno. Un brutto, bruttissimo sogno, nonostante il dolore e l'indolenzimento persistessero ancora sulla mia schiena. 
Me la tastai preoccupata e quando la ritrovai tutta intera mi rilassai, ripetendomi di essere al sicuro.
"Mi hai spaventato, diamine." mi sgridò Newt accasciandosi a terra.
Guardai fuori dalla gabbia e notai come fosse ancora tutto buio. Newt mi fissava sbiancato dai riflessi della luna e Gally era a bocca aperta.
"Scusate... Ho avuto uno stupido incubo." dissi, riprendendo fiato e rimettendomi a sedere. "A proposito: grazie per avermi svegliata."

"Lo avremmo fatto prima, se solo Zart si fosse deciso a muoversi." grugnì Gally guardando il ragazzo in questione in cagnesco.
"Ma dai! Si contorceva e urlava così magnificamente!" ammise Zart, imitando la mia faccia spaventata.
"Se avessi avuto le chiavi ti avrei svegliato io stesso." si scusò poi Newt.
"Chi te le ha prese?" domandai, più speranzosa di distrarmi, che curiosa.

"Alby... Così non cadete in tentazione." borbottò il ragazzo, cercando di imitare la voce del leader. Sorrisi divertita e felice di essere ancora al sicuro nella Radura. Persino avere vicino Glader e Zart mi sembrava più piacevole che rimanere intrappolata in quel sogno.
Mi asciugai la fronte, realizzando di essere sudatissima. Avevo anche le guance bagnate, quindi forse avevo pianto. 

The Maze Runner - RememberDove le storie prendono vita. Scoprilo ora