Prologo.

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Non conosco le parole
non conosco il motivo
una voce dentro te
sta urlando "aiuto, voglio solo la libertà".

Non tutto accade per caso.
Tutto quello che ci succede, è frutto di un qualcosa che abbiamo creato noi stessi.

19 novembre 2013

Folate di freddo vento, spirano da nord, il cielo inizia a striarsi di sfumature rosee, si sentono in lontananza i primi rimori urbani, la città lentamente, si risveglia, apre le porte, ad una nuova, angosciante giornata di fine novembre.
Le strade sono ancora vuote, sono pochi i veicoli, che sfrecciano sull asfalto, sollevando un leggero strato di polvere e terriccio. Il marciapiede consumato, i mozziconi di sigaretta, foglie secche, carte e residui della notte precendete, invadono tutto ciò che la circonda, non solo i ricordi, rivive ogni singolo attimo, grazie ad ogni singolo oggetto.
Scorge una figura accasciata al suolo, una lercia coperta di cotone caldo, ad avvolgergli il corpo malsano, un berretto rosso, e due occhi, due occhi che raccontano sofferenze, delusioni, voglia di libertà.
Stranieri urbani, era questo il termine con cui chiamava quegli uomini, che le suscitavano un gran senso di disagio, e di imbarazzo. Si sentiva spesso debitrice, nei confronti di quegli individui, ma quella mattina è diverso, non riesce a provare emozioni, il cuore, consumato da una notte, chiuso in una gabbia arrugginita, con crepe profonde, dolorose e tormentate.
Ha voglia di gridare al mondo intero il suo disagio, ha voglia di stendersi accanto allo straniero urbano, e dimenticare, ha voglia di seppellire la polvere sotto il tappeto e continuare a far finta che vada tutto bene. Ma non lo fece, non fece altro che continuare a vagare senza meta, con il leggero vento che le solleva i capelli corvini, mettendole in risalto la cicatrice rossa e spessa, che le sfreggia il candido viso.

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