The Siege of Ryndrol

9 1 0
                                    

Il crollo delle mura a Sud travolse gli arcieri, cogliendoli di sorpresa. Alcuni riuscirono a fuggire, altri rimasero schiacciati dalla pesante mole delle pietre bianche che per secoli avevano protetto la città di Ryndrol. En'vel osservò impotente l'ultimo tentativo di contenere l'avanzata degli orchi, un'ondata scura e compatta che invadeva urlando l'ultimo cerchio di mura. A dividerli dalle armate di Frendr c'era un altro sbarramento di vecchie pietre, che sarebbero sicuramente crollate sotto la potenza dei martelli e delle mazze chiodate.
Gli arcieri a difesa della torre continuavano a scoccare frecce, ma le faretre cariche scarseggiavano. L'assedio, che durava ormai da due giorni, aveva consumato tutte le loro scorte e presto sarebbero stati in grado di lanciare solo pietre ed olio bollente.
En'vel strinse i pugni e chiuse gli occhi. Aveva fallito. Non era riuscito a proteggere il proprio popolo e adesso anche Ryndrol sarebbe caduta. In troppi erano morti per difendere quell'ideale di pace, un ideale che a lungo il re aveva cercato di impugnare come arma contro Frendr. Ma il signore degli orchi li aveva ingannati, aveva infranto il trattato e aveva sguinzagliato la sua armata nei territori dell'Ovest. La piana di Oroaah era stata depredata, i suoi campi distrutti e i suoi abitanti trucidati. Ancora poche ore e per la razza degli elfi sarebbe giunta la fine.
"Jeevoa. Ordinate la ritirata."
Le parole uscirono lente dalla bocca di En'vel, ma risuonarono chiare e pesanti nello stretto spazio della torre di guardia. Gli arcieri si voltarono, osservando impietriti il proprio re e il suo generale, in attesa di ordini.
"Maestà, possiamo ancora difendere Ryndrol!" protestò Jeevoa, avvicinandosi. L'armatura era sporca di sangue e, attraverso l'elmo, si poteva intravedere lo sguardo deciso del generale.
Il re lo fissò e sorrise. "E' finita. Facciamo in modo che almeno alcuni di noi sopravvivano. Ordina la ritirata."
Jeevoa avrebbe voluto ribattere, incapace di accettare una sconfitta dopo una così lunga battaglia. Comprendeva che le loro forze erano inferiori rispetto a quelle degli orchi di Frendr, ma fuggire era considerato un gesto da codardi. Inghiottì il groppo che s'era formato in gola e annuì. Afferrò il corno che pendeva dalla cintura al proprio fianco, si avvicinò alle feritoie e, con tutto il fiato che aveva in corpo, lanciò l'allarme. Il suono profondo ed intenso echeggiò per tutta la vallata, destando l'interesse degli orchi, che arrestarono la loro furia per qualche istante. Jeevoa suonò per quattro volte il corno, prima di abbandonare le braccia lungo il corpo, il petto ansante che si sollevava stancamente. "Lasciate la torre. Ritiratevi per il passo di Keatan" furono i suoi ordini. Gli arcieri rimasero immobili a fissare il generale, prima di inchinarsi ed uscire a passo veloce dalla torre. Il rumore dei loro passi sugli scalini si affievolì, quando Jeevoa si avvicinò al proprio re. Non avrebbe seguito i suoi uomini, non avrebbe preso il passaggio attraverso le montagne che nell'antichità aveva salvato la vita al loro popolo svariate volte. Il suo posto era accanto al re, ma questi non sembrava condividere la convinzione del proprio generale.
"Cosa ci fate ancora qui?" chiese, la voce stanca, lo sguardo fisso su ciò che accadeva alle mura.
"Ho dedicato la mia vita a difendere la vostra. Non vi abbandonerò proprio adesso."
"Il mio è un ordine, Jeevoa. Se non sbaglio, avete offerto a me la totale ubbidienza oltre alla vostra vita."
Il generale si portò vicino al re, assumendo un atteggiamento fiero, sebbene la pesante armatura pesasse sul suo corpo stanco. "Allora uccidetemi, così non dovrò assistere alla vostra morte."
A queste parole En'vel distolse lo sguardo dallo scempio che stava avvenendo alla città di Ryndrol, alla sua città, e si volse verso la figura che gli stava accanto. Lo fissò a lungo, cercando di intravedere l'espressione del generale attraverso la stretta apertura dell'elmo. Il silenzio era rotto solo dalle urla e dai rumori di pietre infrante che salivano fin sulla torre. Gli orchi dovevano aver creato una breccia e non sarebbe passato molto tempo prima che irrompessero nella torre. Il passaggio segreto non era distante, nascosto da una botola alla base della torre principale. Da lì, bastava seguire una lunga galleria scavata nella roccia per raggiungere la salvezza.
En'vel si tolse l'elmo, lasciandolo cadere a terra. Il suono metallico fece sussultare il generale, che però non si spostò e rimase immobile davanti al proprio re. I corti capelli corvini si mossero alla lieve brezza che soffiava attraverso le feritoie. Alcuni ciuffi erano rimasti incollati alla pelle ed il re si sfregò il volto coperto di polvere e sangue, e grazie al sudore riuscì a lavare via parte di quella sporcizia. Non staccò gli occhi color del cielo da Jeevoa, e avvicinò le proprie mani all'elmo del generale. Senza dire nulla, glielo sfilò dalla testa e una cascata di capelli biondi andarono ad adagiarsi sull'armatura. Le guance sporche di Jeevoa erano rigate dalle lacrime, gli occhi blu cobalto erano arrossati e fissavano intensamente il proprio re.
En'vel sfiorò appena la pelle liscia delle guance, come per cancellare quelle lacrime, ma sembrava che non volessero arrestarsi. Prese il volto di Jeevoa tra le mani e appoggiò le proprie labbra sulla bocca di colei che aveva amato per tutta la vita, ma che non aveva mai potuto amare. Si accorse di piangere egli stesso, ma era comunque felice.
"Perché..." chiese lei, scostandosi tremante.
"Avrei potuto sopportare questa vita terrena senza poterti toccare, ma non l'eternità della morte senza averti detto che ti amo."
Le lacrime di Jeevoa aumentarono di intensità, mentre i singulti la facevano tremare tra le braccia di En'vel. Il cuore le martellava in petto, ma l'elfa non sapeva se per il timore di perderlo o la gioia di poterlo finalmente amare. Si strinse a lui e lo baciò, dimenticando solo per pochi istanti l'orrore che li circondava.
"Vieni via con me, possiamo ancora farcela! Non hanno ancora raggiunto la torre, se scendiamo per il passaggio forse..." ma fu fermata da En'vel, che le mise una mano sulle labbra. Il re sorrideva, un sorriso triste ma rassegnato. Jeevoa capì ma non si arrese. "Lo riprenderemo! Torneremo appena avremo riorganizzato le forze! Il signore di Frendr non conosce il suo segreto e, se anche lo conoscesse, non potrebbe usarne il potere!"
"Lo scettro non deve cadere nelle mani degli orchi, e l'unica soluzione è che venga distrutto."
"E allora distruggilo e scappa con me!" urlò, afferrandolo per l'armatura. En'vel le strinse le mani, allontanandole da sé. "Il potere che si sprigionerà sarà tale da radere al suolo l'intera piana di Oroaah. Nulla sopravviverà, nemmeno noi. Ma tu puoi salvarti se ti sbrighi."
Jeevoa si portò le mani al volto e cadde in ginocchio, sopraffatta dalla disperazione. Conosceva la leggenda e l'immenso potere dello scettro, e comprendeva che non c'era altra scelta. Le mani scivolarono dal volto e il suo sguardo si posò sullo scettro. Era un'asta lunga appena due metri, sormontata da una pietra color smeraldo, e se ne stava appoggiata al muro della torre come un bastone qualsiasi. Per secoli gli elfi l'avevano conservata lontana dalle mani degli orchi, sacrificando le loro esistenze per preservare la pace. Nelle mani di una mente malvagia avrebbe seminato solo morte, quindi la decisione di En'vel era la cosa più saggia da fare.
Jeevoa si rimise in piedi, barcollando appena. Alzò lo sguardo e sorrise. "Ho giurato di rimanere accanto al mio re a costo della vita ed è ciò che farò."
En'vel avrebbe voluto protestare ma conosceva la testardaggine di Jeevoa. Era stata il miglior generale che avesse mai servito Ryndrol, coraggiosa e forte come gli elfi della leggenda. Aveva sempre potuto contare sulla sua lealtà e, sebbene l'idea di ucciderla nel tentativo di distruggere lo scettro gli spezzasse il cuore, era felice di averla accanto anche nell'ora della morte. Le si avvicinò e le sciolse i lacci che tenevano insieme i pezzi dell'armatura. Pezzo dopo pezzo Jeevoa rimase con addosso la semplice tunica bianca. En'vel fece lo stesso, liberandosi del peso del ferro sul proprio corpo. Entrambi si sentirono più leggeri, e l'abbraccio che seguì permise loro di sentire per la prima volta il calore dei loro corpi l'uno contro l'altro. "Perdonami Jeevoa. Avrei dovuto ribellarmi alle leggi del nostro popolo molto prima. Sono stato uno stupido."
L'elfa gli accarezzò la schiena, cullandosi nell'abbraccio del re. "Non rimpiango nulla, nemmeno le scelte che avete dovuto fare. Sono sempre stata al vostro fianco e ciò ha dato senso alla mia esistenza."
En'vel si chinò a baciarla, prima che un rumore assordante raggiungesse le loro orecchie. Gli orchi avevano distrutto il portone della torre e stavano salendo le scale, urlando e inveendo contro il re degli elfi. En'vel guardò Jeevoa, e le sorrise. Avrebbe voluto ripeterle che l'amava, che era dispiaciuto per quel sentimento che non avevano potuto condividere e per il fatto che le loro vite sarebbero finite a breve. Ma rimase in silenzio, ciò che gli occhi dell'elfa gli risposero valeva più di mille parole. Afferrò lo scettro, strinse forte a sé Jeevoa e pronunciò l'incantesimo. Le parole echeggiarono nella stretta stanza, rimbalzando sul tetto e scendendo giù per le scale, dove gli orchi salivano rapidi e furiosi. Una luce si sprigionò dallo scettro e un'esplosione silenziosa rase al suolo Ryndrol, propagandosi fin oltre la piana di Oroaah e distruggendo qualsiasi cosa sul suo cammino.  


The Siege of RyndrolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora