Regola 1: Abbi sempre il coraggio di affrontare le tue decisioni

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Ci sono tre cose fondamentali da imparare quando si è un Grey: non mangiare cose che potrebbero sporcarti in pubblico per evitare foto imbarazzanti; evita di spendere cifre assurde in cose futili, anche se potresti farlo e, per finire, di' ogni cosa a Christian, altrimenti lo verrà a sapere da solo. Nel mio caso, avevo rispettato tutte e tre le regole fino a quando ne avessi memoria. Ero sempre stato un figlio modello. Come primogenito di Christian Trevelyan Grey e Anastasia Rose Steele, coppia d'oro di Seattle dal momento in cui era stato fotografato il loro primo bacio, avevo il compito di rendere la mia vita impeccabile. Mia sorella Phoebe non aveva una vita più facile ma, essendo ancora una diciassettenne, mamma e papà non si aspettavano da lei cose che andassero oltre un voto alto o una nomina da cheerleader, ma sto divagando. Avevo fatto tutto bene fino ai miei diciannove anni, ossia fino a un anno, tre mesi e diciannove giorni fa. Imparato a camminare e parlare precocemente, uscito con novantotto dalle scuole superiori, fatto il primo anno di college con il massimo dei voti e senza nessuna gravidanza inaspettata. Avevo portato a casa qualche ragazza, e mi davo alle attività extracurriculari per ottenere dei crediti. Non che fosse necessario, visto che mio padre era conosciuto nel Lincon Community College come "il tipo che ha costruito l'Auditorium", ma ero felice di guadagnarmi quei piccoli punti extra da solo. Forse fu proprio quello a fregarmi. L'allenamento con la squadra di baseball. Quell'amichevole con la squadra avversaria. Couguars contro Lions. Fu come un pugno nello stomaco. Un minuto prima avevo appena eliminato il secondo battitore, ed un minuto dopo si era presentato lui. E' stata tutta colpa sua. Ci tengo a precisarlo. Insomma, era salito su quella dunetta sabbiosa con un passo così sicuro. I capelli biondi schiacciati nel cappellino rosso, e quegli occhi blu che mi fissavano con sfida. La divisa era aderente, come tutte quelle da baseball, ma la sua sembrava quasi inesistente ai miei occhi. Era riuscito a farmi tre strikes senza che neanche me ne accorgessi. Ero rimasto a fissare come un ebete l'eleganza dei suoi movimenti, il modo in cui tirava dietro il piede quando preparava il colpo, e la torsione dei muscoli della spalla.

"Ehi, Theo." Alzai gli occhi al cielo per essere stato tolto al mio ricordo, e mi voltai verso la causa di ogni mio male, che adesso era steso accanto a me, coperto solo da un lenzuolo. Sapevo che sotto era nudo, il bastardo, anche perché lo ero anch'io. "A cosa pensi?"

"Mi hai fatto perdere il filo del discorso, Jeff." borbottai, fulminandolo nella semi-oscurità della stanza del mio appartamento. Adesso avrei dovuto ricominciare. Era già la quarta volta che tentavo di imbastire un discorso decente per spiegare alla mia famiglia che io, Theodore Raymond Grey, non solo ero gay, ma che il ragazzo di cui mi ero infatuato era... lui. Geoffrey Cross allungò un piede verso di me, strofinandomelo contro la coscia. "Sei ghiacciato." mi lamentai, e lui si limitò a ridere e mettersi a pancia in su, mostrandomi meglio la mascella leggermente coperta di barba.

"Non mi piace vederti così stressato." Oh no. Sapevo benissimo dove voleva andare a parare, con quel tono suadente da sgualdrina.

"Allontanati da me, assatanato. Sto pensando."

"Non dicevi così prima." mormorò piccato, dandomi un pizzicotto sul braccio. "Anzi, le tue esatte parole erano: oh, sì. Così. Più a fondo, Jeff."

"Vaffanculo." Gli tirai un cuscino, colpendolo in pieno viso. Non capiva quanto la situazione fosse seria. Io e lui eravamo i figli di due dei tre più grandi magnati d'America. I nostri padri lavoravano entrambi nel campo delle telecomunicazioni, ed erano in conflitto perenne. Mio padre aveva passato i fine settimana del mese scorso a celebrare riti satanici contro Gideon Cross, dopo che gli aveva soffiato l'affare con i giapponesi, ed io avrei dovuto dirgli che facevo sesso con il figlio del suo nemico giurato.

"Dai, Grey. Rilassati. Io non ho paura di mio padre."

"Ah no?" lo sfidai, mettendomi sopra di lui ed osservando attentamente il suo viso. Somigliava molto al padre. Aveva gli stessi occhi e gli stessi lineamenti marcati, ma i capelli erano della madre, Eva. Di un bel biondo grano. "E cosa gli dirai? Ciao, papà. Questo è Theodore, il figlio di Christian Grey. Sai, ogni tanto facciamo sesso e lui ha preso la mia bio-verginità."

"Non hai preso tu la mia bio-verginità." mi corresse, ed io posai la mia fronte sudata contro la sua.

"Elimina quella puttanella di Jacob Hallen dalla tua mente. Adesso."

"Mi piace quando sei geloso, passerotto." Gemetti per la frustrazione, cadendo di nuovo al suo fianco. Perché non riusciva mai ad essere serio? Da quando aveva sentito mia madre chiamarmi in quel modo su Skype, non la smetteva di tormentarmi.

"E' tutta colpa tua." ringhiai, facendogli sbarrare gli occhi.

"Colpa mia? Mi hai chiesto tu, il numero."

"Tu mi hai sbattuto tutto questo..." Indicai il suo corpo tonico e nudo a pochi centimetri dal mio. "Davanti alla faccia."

"Mi avevano detto che eri etero. Dovevo darmi da fare." Mi avvolse in un abbraccio, poggiando la sua testa contro la mia spalla. "Dormi un po', adesso, o domani perderai l'aereo per Seattle." Lo guardai di sottecchi, senza riuscire a trattenere un sorriso.

"Ce la farai a stare una settimana intera senza di me?" lo punzecchiai, e lui guardò in aria, facendo finta di pensarci su.

"Beh, ci sarebbe sempre Jacob Hallen!"

"Stronzo!" Mi lanciai su di lui, ma Jeff riuscì a sgusciare fuori dal letto. "Vieni qui!"

"Neanche morto." Corse via dalla stanza, e poco dopo sentii il rumore della doccia che veniva attivata. Avrei voluto avere la sua sicurezza, anche se sapevo benissimo che Geoffrey era terrorizzato all'idea di dire a suo padre di me. Gideon Cross era, beh, enorme. Ed era simile a mio padre, o almeno così lo facevano sembrare i suoi racconti.

"Theo, hai di nuovo usato il mio balsamo!" sentii urlare dal bagno, e mi limitai a sbuffare. In fin dei conti, Jeff non era Gideon. Non eravamo mica in un'opera sheckspeariana. Io non ero Romeo e lui non era Giulietta, quindi che problema c'era se i nostri genitori non andavano d'accordo? Sarebbe bastato spiegare la cosa con calma e determinazione. Sì, ero alquanto ottimista, in fondo.


Nella foto: Theodore Grey



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