Il vento oggi soffia forte, sembra volermi spingere lontano, quasi facendo a gara con la mia mente che viaggia ancora oltre, assecondando il mio bisogno di distacco.
Chiudo gli occhi, mi riempio il petto di aria mista a sale, ascolto il vento e in un attimo mi ritrovo immerso nella meseta spagnola, tra sconfinati vigneti e campi di lavanda che, nei tanti giorni di vento, giocano ad imitare il mare e le sue correnti.
Dopo il Cammino di Santiago era cambiata la mia percezione del mondo, tutto sembrava dilatato, il tempo, le distanze, mi era chiara l'importanza di ogni passo, l'idea di libertà, di forza di volontà. Avevo promesso a me stesso che non avrei più trascurato le chiamate della mia anima, non ne avrei soffocato le parole con tanti, troppi impegni, con la scusa di sfuggire alla noia. Spesso si ha paura di ascoltare cosa vuole dirci l'anima, paura di dover ammettere che una strada è sbagliata, paura di sapere che le cose si possono sempre cambiare. Lei,l'anima, non fa tanti giri di parole, ti dice le cose in faccia e se non ci riesce lo dice al resto del corpo, così magari ti ritrovi con un mal di pancia, un mal di testa o con il cuore che sobbalza.
Andare in barca a vela mi era sembrato un buon modo per ritrovare le sensazioni del Cammino, per respirare un po' di quel senso di libertà di cui troppo spesso ci si priva per dovere, dedizione verso qualcosa o qualcuno, dimenticando che il primo dovere è verso noi stessi, dimenticando che solo avendo cura e rispetto prima per sé stessi si può avere verso il resto. Così, appena posso, mi immergo in quei termini che sanno di mare: bolina, lasco, controvento, fiocco. Mi sono sempre chiesto cosa ha spinto gli uomini a navigare, esplorare, nuotare in questa immensa distesa d'acqua, andare verso orizzonti di cui non si vede la fine, tutti intenti a cercare qualcosa, un nuovo mondo, una speranza, sé stessi o forse (addirittura) Dio. Forse un giorno eravamo davvero tutti pesci e per questo abbiamo nostalgia; sì, forse siamo uniti tutti dalla stessa nostalgia, di quella che ci fa emozionare davanti a un tramonto o ci fa chiudere gli occhi e sospirare quando ascoltiamo musica.
La mia ritrovata passione per il mare e la mia necessità di libertà mi hanno portato in Sicilia: tre giorni di mare, vento e pensieri liberi. Ho noleggiato una barca a vela spartana, 7 metri scarsi con scotte auto tiranti, in modo da non aver bisogno di equipaggio. Nota positiva, il timoncino, spartano e nato di sicuro dopo la barca, ma più comodo della leva centrale. Insomma, da tre giorni sveglia di buon'ora, colazione in un bar al porto e via in barca, senza bisogno di parlare, se non con me stesso.
Assorto nei miei pensieri, attento solo alla direzione del vento, mi ritrovo verso Lampedusa, esattamente nei pressi del faro di Capo Grecale, abbastanza lontano dalla costa da poter ammirare il faro, bianco, imponente. Una volta ascoltai una storia su una persona che lasciò tutto e se ne andò in un faro in disuso, con l'intento di ristrutturarlo e forse ristrutturare anche sé stesso. Provai una sorta di invidia: certo ci vuole un bel coraggio per seguire fino in fondo la strada su cui vuole portarti l'istinto, ci si ritrova a scontrarsi con una realtà che nella maggior parte dei casi non ti comprende e non ci tiene neanche a farlo e non perde molto tempo a giudicarti.
Lampedusa è una delle isole Pelagie, ultime isole italiane in un territorio già africano. Questa appartenenza fisica si avverte nell'isola, nei suoi tratti selvaggi, la sabbia sottile e bianca, il mare turchese che la circonda e la domina, un luogo dove la modernità sembra quasi combattere con la natura selvaggia. Gli abitanti dell'isola imparano presto il significato del termine "accoglienza": il loro angolo di mondo è da sempre approdo, rifugio, simbolo di speranza per chi cerca di dare una svolta alla propria vita, per chi parte con solo un carico di speranze e lascia il cuore, e spesso tutto il resto, in patria. Spesso l'isola diventa quasi ostaggio delle migliaia di persone che vi sbarcano in clandestinità, con il loro carico di speranza e disperazione. Ci sono centri di accoglienza, sempre troppo piccoli, che cercano di dare riparo e una prima assistenza a queste persone, a volte senza successo.
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Luna che viene dal mare
General FictionUn ragazzo, in vela solitaria al largo delle coste siciliane, si imbatte in una giovane donna, immigrata, lasciata in mare dagli scafisti. Il ragazzo riesce a soccorrerla e a portarla in ospedale dove i medici l'aiutano a dare alla luce una bambina...