Panf.
Un piede affonda nella neve. Che brutta giornata.
Panf.
L'altro piede lo segue. Proprio una brutta giornata.
Panf.
Il freddo pungente penetra rapidamente tra gli strati di vestiti e pizzica la pelle sensibile e pallida della ragazza, che rabbrividisce e si stringe le braccia con le mani guantate.
Dietro di lei, gli altri ragazzi escono schiamazzando e spintonandosi attraverso la pesante porta di legno della scuola. Un bambino inciampa sugli scalini scivolosi e cade tra la neve indurita dai passi; qualcuno va a soccorrerlo ed egli si rialza sorridendo impacciato.
Proprio come è capitato a lei, quel dannato primo giorno di scuola.L'irritante sveglia rosa era definitivamente passata a miglior vita -Jacqueline sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma perché proprio quel giorno?- ed a svegliare la ragazza erano stati gli urletti isterici della madre, che picchiava il tostapane con i suoi piccoli pugni, per farlo partire.
Proprio un bel risveglio.
Il pullman era affollato e la signora con la borsa grande se ne stava in piedi intralciando il passo, così Jacqueline era costretta a tenersi in precario equilibrio aggrappata alla sbarra di ferro.
L'autista procedeva lentamente perché, con tutto quel freddo, il motore aveva bisogno di tempo per scaldarsi e funzionare bene.
E poi, la strada era piena di neve. Pareva impossibile tenere una velocità che le permettesse di arrivare a scuola in tempo.
La bionda scese dal pullman proprio quando i grandi cancelli di ferro del liceo iniziavano a risucchiare i ragazzi dalla strada per spingerli nel cortile. Faceva proprio quell'effetto, si disse Jacqueline. Di un grande gorgo che inghiottiva i cervelli per poi riversarli nella scuola.
La ragazza venne spintonata per tutto il tempo, mentre si alzava in punta di piedi per riuscire a vedere il professore che teneva in mano un cartello con su scritto 1H, e camminava risoluto attraverso i corridoi.
L'aula era bella, spaziosa.
Jacqueline non ci fece tanto caso. Guardava fuori dalla finestra, lei. Guardava due pettirossi che si rincorrevano nel cortile ricoperto di neve.
Sempre più interessante che imparare i nomi dei nuovi compagni di classe, pensò. Ci sarebbe stato tempo per quello, cinque anni. Forse di più.
La campanella della ricreazione suonò proprio quando i pettirossi decisero di andare a giocare da un'altra parte, così Jacqueline fu felice di scendere in giardino.
Perlomeno si sarebbe sgranchita le gambe.
Non era un granchè, il cortile. Era tutto uguale, coperto di neve. Forse se avesse rivolto la parola a qualcuno, adesso sarebbe in mezzo a quel gruppo di ragazzi laggiù, quelli in piedi vicino all'albero, che si scambiavano numeri di telefono.
Ma non importava, si disse Jacqueline. Dopotutto aveva davanti a se cinque anni, mica avrebbe telefonato a qualcuno, il primo giorno.
E poi lo vide, seduto sugli scalini ghiacciati.
Un ragazzo con i capelli azzurrini e gli occhi celesti, o forse grigi, non sapeva dirlo da quella distanza. Parlava con una ragazza, e rideva.
E forse Jacqueline la invidiava, quella ragazza.
Si avvicinò timidamente. Doveva avere almeno due anni più di lei, considerando l'altezza, e i modi rilassati di qualcuno abituato a quella noiosa routine.
Indossava una felpa blu e i jeans, e al collo aveva una sciarpa bianca.
Jacqueline si ritrovò a sognare di poter toccare quei capelli chiari, che sembravano così soffici, e magari profumavano di camomilla.
A risvegliarla dai suoi pensieri ci pensò la campanella, così la bionda scosse la testa e si diresse di malavoglia verso la porta. E verso gli scalini. E verso il ragazzo con gli occhi celesti, o forse grigi.
Tutti gli studenti sbuffarono contrariati, e si incamminarono per rientrare in classe;
Il ragazzo con i capelli morbidi restò seduto, facendo cenno alla ragazza che l'avrebbe raggiunta dopo.
Mentre saliva gli scalini, Jacqueline gli dette solo un rapido sguardo, tanto per accertarsi se gli occhi fossero celesti o grigi. Erano grigi.
Il ragazzo non la guardò nemmeno.
Ma la bionda non resistette, e mentre gli passava accanto, si voltò verso di lui. Forse gli era venuto in mente che voleva salutarlo, così, tanto perché anche lui la guardasse. E invece aprì la bocca e le parole le morirono in gola, così la richiuse.
Sempre voltata verso di lui, sollevò un piede per poggiarlo sullo scalino successivo, ma quando lo abbassò, soltanto la punta della scarpa toccò la pietra, e il piede le sgusciò all'indietro.
Si sbilanciò agitando le braccia in aria e cadde, aspettando la botta del terreno contro la schiena, che le avrebbe tolto il fiato.
L'atterraggio fu abbastanza morbido, dopotutto. Forse perché la sua schiena non si scontrò contro la neve, ma contro un paio di braccia calde e forti.
Jacqueline lanciò un urletto e si aggrappò al collo del suo salvatore, seppellendo il naso in una sciarpa bianca e soffice.
-Va tutto bene?
Andava tutto bene? Sì, si disse la bionda, andava tutto bene.
Annuì, ancora un po' sconvolta dallo spavento che si era presa.
Però ne era valsa la pena, di prendersi quello spavento, almeno adesso il ragazzo con gli occhi grigi l'aveva guardata, l'aveva vista.
La poggiò delicatamente a terra, continuando a tenere la sue mani grandi sulla schiena di lei e a fissarla con occhi sgranati. Con bellissimi occhi grigi, piantati nei suoi. Anche quando Jacqueline spostò lo sguardo, le parve che l'immagine di quelle iridi chiare le rimanesse nella retina, come lo spettro della luce dopo aver guardato il sole.
- G-grazie- balbettò lei, incapace di proferire parola.
E come avrebbe fatto, a parlare, davanti a quel volto dolce e perfetto, davanti a quegli occhi magnetici, davanti a quelle labbra così tanto... no, di certo nessuna ragazza avrebbe trovato la forza.
-Figurati!- rispose lui, mostrando un delicato sorriso -E di che?
-Di avere evitato che la mia testa finisse come marmellata tra la neve!- borbottò Jacqueline, pentendosene subito dopo. Ecco, adesso avrebbe fatto la figura della stupida. Perché doveva sempre dire cose senza senso?
Il ragazzo dagli occhi grigi la guardò un momento e poi scoppiò a ridere, tenendosi la pancia con le mani.
-Sono felice di aver salvato la tua testa, allora!- esclamò lui, passandosi una mano tra i capelli. Oh, come avrebbe voluto essere lei quella mano, per potergli affondare le dita nella chioma che pareva così tanto morbida, e forse profumava di camomilla.
-Beh, i-io...- iniziò la bionda, senza sapere realmente cosa rispondere.
-Oh, già!- il ragazzo si sbattè una mano sulla fronte -La campanella!
Jacqueline lo guardò senza capire. Si era completamente dimenticata che l'intervallo era terminato, e che doveva tornare in classe.
-Devo andare, o la prof di chimica mi ucciderà! E' sempre così nervosa, quella!
E senza aggiungere altro, si passò le mani sulla felpa per togliere i residui di neve che vi erano caduti e corse via, verso la sua classe. Lei lo vide correre per il corridoio deserto, e poi voltare l'angolo.
Chissà se si sarebbe ricordato di lei.
Lei si sarebbe sicuramente ricordata di lui.Jacqueline osserva il bambino rimettersi il cappello di lana che gli è caduto, e fare cenno al suo soccorritore di stare bene.
Poi attraversa il cancello di ferro scuro, e sale sull'autobus, che è più affollato di prima. Così se ne sta in piedi accanto alle porte, ed ogni volta che si aprono è costretta a spostarsi, finendo addosso a qualcuno.
Cavolo, che brutta giornata!
Però c'era stata una nota positiva, che ancora le riverberava nelle orecchie, come un lontano eco. Era quel ragazzo con gli occhi grigi, e con i capelli morbidi che forse sapevano di camomilla.
Prima o poi li avrebbe annusati, dopotutto ha davanti a se cinque anni.
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One-Shot | Shawn x Jacqueline❤️
FanfictionAVVERTENZE Il libro no non l'ho scritto io l'ho trovato su un sito Spero vi piaccia