Capitolo 3
I famigerati pesci del Tamigi
I sogni sono la cosa più affascinante della natura umana.
Ti fanno piangere, spaventare, ridere e parlare.
Certe volte ti svegli col sorriso, ripetendoti di dover raccontare quel sogno a tutti.
Perché, in fondo, i sogni non sono altro che la pulizia della nostra mente.
E proprio come devi tirar fuori le cianfrusaglie per poi buttarle via, quando sogni si uniscono i ricordi, i pensieri più vecchi ed inutili, e col tuo risveglio muoiono.
O almeno questo è ciò che mi è stato detto.
Però come mai alcuni sogni li ricordiamo? Confusi ed incompleti, ma li ricordiamo.
Così io ricordavo, quando mi svegliai spaesato, il mio sogno. Parziale, sfocato. Confuso.
Così lo ricordavo, mancante di parti certo, ma abbastanza nitido, abbastanza folle per non essere confuso.
Il Hallo acceso come sangue della giacca, il nero scuro come la pece del cilindro.
Ero nel sogno, abbigliato come il proprietario del circo, e tentavo con esasperate gesticolazioni e voce gonfia, colma di angoscia e rabbia, di convincermi a cambiare vita nel momento in cui ancora fanciullo scelsi il mio destino.
"Da grande farò un lavoro che renderò ricca la famiglia: voglio fare l'avvocato da grande, così farò felice il papà!" oh piccolo ed innocente me, come sei dolce.
Ma quale grande, enorme, oserei dire, errore furono quelle parole.
E avrei giurato che se soli 2 anni dopo avessi avuto la possibilità, avrei desiderato tutt'altro, ma non ne sono più così certo ora.
La natura umana ci porta a disprezzare ciò che si possiede ed idealizzare ciò che si desidera.
Solo col tempo si impara a non confondere ciò che si ha con ciò che si odia, ed ero ancora troppo giovane per capirlo.
Così al risveglio quel sogno, che m'illustrava come la mia vita sarebbe stata se non avessi fatto l'avvocato e m'illudeva con una realtà fasulla dove le convenzioni sociali di povertà e ricchezza non esistevano, ed il denaro non era necessario, mi parve meraviglioso.
Ma ancora, come mai alcuni sogni li ricordiamo?
Mi piaceva pensare fosse perché quello era un sogno premonitore. Un segno del destino.
Poi però ricordavo: io non credevo nel destino
Ed allora, triste di dover lasciare l'appiglio a quel sogno meraviglioso che mai avrei voluto terminare assieme al calore che le coperte in piuma trattenevano, mi alzai.
Il freddo mi colpì come un pugno allo stomaco, e per un attimo fui attratto dall'invito del letto ancora caldo che tentava d'ammaliarmi.