Tic. Tac. Tic. Tac.
Sono le due di notte del primo giorno dell'anno nuovo. Anno, mese, giorno :misure di tempo, che servono solamente a far apparire il tempo come una cosa finita . Ma il tempo è infinito per noi umani, non ne conosciamo nè l'inizio nè la fine.
Nuovo. Ogni anno la stessa storia, tutto si ripete come l'anno prima, i buoni propositi mai mantenuti, la speranza che sia un anno diverso e migliore. E la speranza muore lentamente quando la gente apre gli occhi. Ma la speranza è un'erbaccia che la gente coltiva, un po' come la marijuana. Ti trasporta in un altro pianeta, poi quando finisce l'effetto ti ritrovi in questo mondo di merda. È solo una mera illusione, come tutto oramai.È ora.
Mi alzo lentamente e poggio i pedi sul pavimento gelato. Non rabbrividisco, sono abituata al freddo. Si è insinuato in ogni dove, anche dentro di me. Ed è impossibile scacciarlo. Chiudo la porta a chiave e vado verso la finestra. Il mio incedere è determinato, niente può fermarmi.
Nemmeno io.
Apro la finestra. Mi accovaccio sul davanzale in marmo.
Sento il corpo formicolare mentre guardo venti piani più in giù, dove l'edificio si ricongiunge con l'asfalto.
Ora sono potente.
Posso decidere tra la vita e la morte di un essere vivente. Quell'essere sono io, ma poco importa. Inizia a piovigginare. Perfetto, come volevo.
Sento le gocce di pioggia diventare le mie lacrime mentre mi rigano le guance. Potrebbe sembrare che io stia piangendo, se non fosse che non ci riesco da quando avevo otto anni. Cerco inutilmente di far uscire qualcosa dai miei inutili occhi. Non ci riesco e sospiro pesantemente.L'essere che ora guarda con aria assente le gocce di pioggia cadere e schiantarsi non ha motivi per tenere alla sua vita. La sua è un'insignificante esistenza, in mezzo a tantissime altre. Lei esiste, esiste con i suoi demoni, con i suoi problemi, con i suoi sbagli. Essa stessa è un problema,un errore. Essa è una bugia. Ricoperta di maschere e travestimenti, da adattare ad ogni occasione, per compiacere altri. Tante volte aveva mentito guardando il suo interlecutore negli occhi, altrettante volte aveva omesso cose e ingannato con quelle rosee labbra eternamente screpolate piegate in un sorriso. La sua morale non esisteva più, l'aveva resa inesistente , perché ogni cosa che faceva o diceva era l'ennesimo errore e una possibile coscienza l'avrebbe assillata facendola impazzire. Portare con disinvoltura tutti questi costumi però le aveva fatto dimenticare chi fosse veramente. Continuava a chiederselo anche adesso, mentre si tormentava il labbro inferiore con le gelide e candide dita.
Chi sono?
Una ragazza forte, avrebbero risposto le persone che la conoscevano. Coraggiosa. E invece era una vigliacca in fuga dalla vita, un animo ridotto in pezzi tante, troppe volte, diventato uno dei più fragili e deboli.
Una ragazza chiusa, che parla poco. E lei invece parlava sempre, con i gesti e con gli occhi, implorava e gridava aspettando che qualcuno la aiutasse. Ma la gente non sa più ascoltare e lei era da sola, lasciata nelle sue stesse mani. Mani che la stavano distruggendo.
Una di quelle che risolvono ogni tipo di problema. Lei i suoi problemi non li aveva mai risolti, nessuno l'aveva aiutata. E ora la perseguitavano, come i segugi seguono l'odore del proprio padrone. O meglio, come incubi. Ma gli incubi finivano al risveglio. I suoi demoni la accompagnavano sempre.
Una ragazza sempre sorridente e felice. Mentre lei era incapace di essere felice, immune a quella malattia. Si nascondeva dietro risate meccaniche e falsi sorrisi, a cui tutti credevano.
La cecitá delle persone era una cosa che la stupiva sempre di più.
Una raccomandabile, una brava ragazza. Lei era oscura e contorta. Era un uragano e distruggeva tutto ciò che incontrava, allontanava tutti. A volte erano gli altri che fuggivano da lei, portandosi via pezzo per pezzo la sua fiducia e la sua speranza. Aveva una teoria su ciò : credeva che scappassero perché lei era troppo reale, con troppi problemi e troppo complicata. Semplicemente era troppo.
Senz'altro altruista. E qui si confondevano. Lei non era altruista, semplicemente si occupava degli altri per obbligo. Non voleva avere a che fare con niente che la riguardasse, era tutto troppo complicato quando si parlava di lei.
Certamente sensibile. Oramai il suo esile corpo era un guscio vuoto, non sentiva più alcuna emozione o sentimento. Era diventata apatica e fredda. Si sentiva solamente stanca, stanca di sopravvivere ogni giorno, di svegliarsi solo per vivere un giorno uguale a quello prima e quello prima ancora.
Stanca della vita.
Una che lotta sempre. Aveva perso la speranza da tempo, si era rassegnata. Si era arresa. Non aveva mai lottato per nulla se non per sopravvivere, d'altronde non ne aveva mai avuto motivazioni. Lotta per la tua felicità, dicevano le persone. Come si fa a lottare per qualcosa che non si sa nemmeno come raggiungere? Qualcosa che non si conosce? Qualcosa che a quanto pareva lei non poteva più provare?La gente credeva di conoscerla, invece l'unica cosa che sapevano era il suo nome, che molto spesso scordavano.
Ma quella creatura aveva sempre amato l'invisibilitá. Essere dimenticati e passare inosservati era un'arte molto complessa nella sua apparente semplicitá.
Ci aveva messo anni per reprimere ogni segnale percepile dagli altri della sua presenza. Ed ora era stata dimenticata.L'essere infilò la mano in tasca e prese il cellulare.
Nessun messaggio. Nessuno si chiedeva perché era scomparsa da tre giorni.
Nessuno si preoccupava per lei.
Nessuno si interessava a lei.
Ecco un assaggio dell'oblio, ciò che quella creatura sognava da tempo. C'era qualcosa in lei che però non era contenta, che era infelice perché a nessuno interessava di lei. Scosse bruscamente il capo e quella sensazione sparì.Quelle poche volte che una persona si accorgeva di lei, la creatura aveva imparato a fingere e recitare. Sorrideva falsamente e faceva delle risatine, mentre in realtà non ascoltava nemmeno un singolo suono che emetteva la persona. Si perdeva fra i suoi pensieri mentre annuiva ogni tanto per sembrare attenta alla conversazione, se così si poteva chiamare visto che era a senso unico.
Ma lei non aveva bisogno di ascoltare le parole pronunciate dalle persone. Perché erano dei mezzi per esprimersi e comunicare ad alta voce e potevano essere fraintesi o potevano ingannare, anche dei semplici monosillabi come "sì" e "no". Quante volte aveva gridato vattene quando voleva soltanto che quella persona rimanesse nonostante tutto? Troppe, e tutti avevano dato retta alle sue parole.
Ma l'essere aveva capito col tempo che bisogna osservare senza farsi notare, ascoltare gli occhi di chi le parla, non le parole. Adesso che anche gli occhi mentivano , la creatura si era disinteressata completamente a tutto ciò che facevano i suoi simili mentre era presente.
Quando finalmente lo strazio chiamato "conversazione" era giunto al termine sospirava sollevata e tornava nel suo angolino,respirando piano e senza parlare.La nullitá di essere fece dondolare dolcemente i piedi sospesi nel vuoto.
Aveva bisogno di un punto fermo. O anche solo di un punto. In fondo li aveva sempre adorati, quei minuscoli segnetti che avevano il potere di far finire una frase, o una storia. E lei avrebbe messo un punto alla sua storia. Non l'avrebbe fatto un dio in cui neppure credeva, ma lei. Lei che non credeva all'inferno e al paradiso, a dio, nelle persone, nella bontá, nella felicitá, nell'amore, nella cattiveria, nei "per sempre", nella veritá, nella pace, nel destino, nella fortuna. Lei che faceva sempre le scelte sbagliate e viveva tra i rimorsi.Lei ne aveva il potere. Avrebbe potuto scegliere qualcosa nella sua vita finalmente.
Perché avere paura della morte?
È una fine. E tutto ha una fine. In questo caso è volontaria, perché l'essere vuole solo sparire e lasciare tutti. Alcuni diranno che è da egoisti.
Quella nullità sarà egoista per la prima volta in una vita dedicata agli altri, allora.La vita è una gabbia tempestata di diamanti di vetro, la morte la libertá senza filtri, il dolore una temporanea via di fuga. Ma si sa, un prigioniero che rimane tale per molto tempo a volte rifiuta la libertà, temendola poiché essa è più grande della sua gabbia. E perché è apparentemente sconosciuta, anche se in realtà è solo dimenticata.
L'essere si buttò. Aveva sempre amato le montagne russe, in quei tratti in cui precipitavano. Ora lei precipitava nel vuoto,come una goccia di pioggia.
Questa non sono io, questo è il mio corpo, è l'ombra di me stessa, un burattino senza fili. Ma non sono io. Me ne sono separata da tempo.
L'essere non era più niente, era morto dentro da tempo.
Mentre cadeva pensò solo che finalmente avrebbe posto fine alla sua condanna, avrebbe smesso di sopravvivere ogni giorno. Da tempo una parte di lei gridava di lasciarla affogare, mentre l'altra cercava di farsi aiutare e far capire agli altri che aveva bisogno di aiuto. Questa è la realta, i buoni perdono e i cattivi vincono, e la sua parte oscura aveva sopraffatto tutto il resto. Perché lei era una guerriera, è vero. Ma anche gli eroi avevano bisogno di essere salvati, e non dai cattivi. Ma da sè stessi.
E nessuno l'aveva salvata, ma l'avevano abbandonata da sola nell'oscuritá. E lei non ce l'aveva fatta...Ma ora era libera.
Le catene si erano spezzate, le sue ali si erano dispiegate.
Ed era volata via.
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I Have Nobody. I Need Someone
Short Story|| Aveva bisogno di un punto fermo. O semplicemente di un punto. In fondo li aveva sempre adorati, quei minuscoli segnetti che avevano il potere di far finire una frase, o una storia. E lei avrebbe messo un punto alla sua storia. Non l'avrebbe fatto...