«Gallagher...»
«Sì?»
«Lo sai» sussurrò Mickey con voce stanca, ma decisamente compiaciuta; aveva anche un tono malizioso che era stato difficile nascondere, a quel punto.
Sorrise e poi si accese una sigaretta, restando a fumarla immobile, steso sul letto.
La testa sul cuscino, il petto che si alzava e abbassava ancora non regolarmente. Era stata una semplice e bella serata, conclusasi nel migliore dei modi.
E anche Ian lo stava pensando, mentre, molto pigramente, si allungava verso il pavimento accanto al letto per recuperare i boxer.
Vedendolo in quella posizione, Mickey colpì giocosamente il sedere del fidanzato con una mano, ritrovandosi poi a ridere.
Appena Ian gli fu accanto, alzò un sopracciglio e lo guardò, ma non riuscì a rimanere molto serio a lungo, perché scoppiò a ridere.
«Se questo era uno spiritoso invito ad un secondo round... Sono stanco, Milkovich.
Domani mattina ne riparleremo e ti farò rimpiangere quello schiaffo.»
Mickey, molto vicino al volto del ragazzo dai capelli rossi, gli soffiò il fumo sul viso, ricominciando poi a ridere.
«Vedremo, Gallagher» affermò e lasciò il resto della sigaretta spenta nel posacenere sul comodino.
Intanto, Ian aveva infilato i boxer e i pantaloni del pigiama e si stava stendendo sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto bianco.
Mickey, vedendo l'altro improvvisamente cambiare espressione, gli si avvicinò e posò la testa sul suo cuscino.
Erano vicinissimi, tanto da sentire l'uno il respiro dell'altro.
«Buonanotte, testa rossa» mormorò Mickey e, in segno d'affetto (che raramente dimostrava), gli passò una mano tra i capelli chiari.
Sentì il sospiro di Ian e capì che era il momento di lasciarlo ai propri pensieri.
«Buonanotte, Mick» sussurrò alla fine l'altro e alzò il volto, si avvicinò al ragazzo e lo baciò sulle labbra.
Dapprima Mickey sembrò sorpreso, ma poi ricambiò il bacio e i due si ritrovarono vicini a baciarsi dolcemente. Non durò molto, dato che il moro stava anche per addormentarsi, ma fu stranamente tenero e intenso.Fu una notte strana, di quelle che Ian riusciva a ricordare a malapena e che lasciavano dentro la sensazione di avere un'emozione da non riuscire a definire molto bene.
Un'emozione positiva però, almeno per una volta.
Come tutti i sogni, anche quello era risultato indefinito, vaporoso, candido.
Nessuno urlava, nessuno piangeva e non c'era sangue.
Ian ricordava bene il bianco quasi accecante di ogni cosa che lo circondava.
Le pareti, i mobili, le tende.
Lo sguardo si perse anche per alcuni secondi, mentre cercava di definire al meglio quella figura dai capelli scuri, anch'essa vestita di bianco.
Ad un tratto, si avvertì nell'aria un piccolo gemito e Ian capì subito che la fonte era un bambino, ma non un bambino qualunque.
La figura bianca si girò e il ragazzo riconobbe in quelle vesti candide Mickey.
Mickey Milkovich, che tra le braccia sorreggeva suo figlio, Yevgeny.
Era sicuramente un sogno, perché Ian non aveva mai assistito a tanta bellezza tutta in una volta.
«Siete qui» disse piano, come se avesse paura di sgretolare la realtà tutt'intorno.
Invece, non accadde nulla di tutto ciò;
Mickey si limitò a sorridergli: aveva mai qualcuno visto tanto amore negli occhi di qualcun altro?
La risposta era no.
E con lo sguardo ancora pieno d'amore, di devozione, di emozione guardò il figlio, trattenendolo tra le braccia come se non volesse più farlo scappare via. Come se quell'abbraccio e quello sguardo suggerissero una promessa: mi prenderò cura di te per sempre, figlio mio.
Nulla avrebbe potuto cambiare quel quadro perfetto, che alle spalle aveva una finestra dalle tende bianche e dalla quale entrava una luce (anch'essa bianca e luminosissima), che rendeva tutto spettacolare.
Ian, non potendo più trattenersi dall'osservare semplicemente quella scena, si avvicinò piano, ritrovandosi accanto a Mickey.
Se la tranquillità d'animo e la felicità avessero potuto avere un'immagine, sarebbe stata quella davanti agli occhi del rosso.
Cos'altro era più puro e bellissimo, in quella misera vita che era costretto a sopportare?
«Sì, Ian, noi tre siamo una famiglia» sussurrò l'altro, mentre il fidanzato accarezzava teneramente il braccio del piccolo Yev, si trovava a contemplare la sua bellezza da bimbo e quanto bene gli volesse. Come se egli stesso fosse il padre, ma un po' lo era. Se ne era preso cura con tale impegno, sacrificio, ma specialmente amore, quando ancora il vero padre si rifiutava di rivolgergli lo sguardo.
«Siamo una famiglia e sempre lo saremo» confermò Ian Gallagher e alzò lo sguardo verso il ragazzo che tanto amava e si ritrovò a chiedersi: chi ti guarda davvero in quel modo, se non la persona che darebbe la vita per te?
Chi, se non quella persona che ti amerebbe (e che ti amerà per sempre, credimi) nonostante tutti i "se", i "ma" e tutti i problemi?
E Ian, come se quello sguardo, un po' di soggezione gliela facesse provare, si chiese ulteriormente: sarò capace di ricambiare tutto questo amore?
«Sì, lo fai ogni giorno. Lo vedo nei tuoi occhi, nel modo in cui mi guardi quando credi che non ti veda. Quando mi accarezzi mentre dormo, quando osservi Yev e ti perdi, come se stessi guardando una tua stessa creatura» rispose Mickey, come se avesse sentito i pensieri dell'altro.
A quel punto, Ian lo baciò, lasciando che le labbra e le lingue finalmente avessero pace in quell'incontro tanto sperato e desiderato.
Fu dolce, fu malinconico, fu straziante e fu luminoso, nonostante gli occhi chiusi.
Fu talmente tante cose che i due ragazzi si trovarono pieni di un'emozione simile alla gioia.
«Perché noi siamo una famiglia» ripeté, alla fine e posò il bambino tra le braccia del fidanzato.
«Non c'è cosa che mi rende più felice del guardarvi, Ian Gallagher, credimi.»
Perché la vita faceva schifo, il South Side e le rispettive famiglie anche peggio, ma c'era una cosa che sarebbe stata sempre perfetta nella mente di Ian ed era quell' immagine, che rappresentava la vera felicità.
Ad un tratto, la piccola mano del piccolo si chiuse intorno ad un dito del ragazzo, che sentì il cuore colmo di un'emozione non facilmente riconducibile.
«Felicità» rispose Mickey ancora una volta e si sedette su un divano bianco, posto alle sue spalle.
«Avvicinati» aggiunse, mentre Ian già stava facendo lo stesso e si stendeva sul divano.
La testa sulla gamba del fidanzato, il piccolo (ormai addormentato) steso sul proprio petto caldo, che si muoveva lentamente su e giù.
Pian piano, tutto sembrò sfumare, mentre Mickey accarezzava i capelli rossi del compagno e l'altro sorrideva teneramente alla vista del fidanzato e del bambino.
«È tutto così bello qui, Ian.
Facciamo in modo che nulla cambi davvero. Restiamo insieme, felici, testa rossa.
Io ti amo.»
Improvvisamente tutto fu più luminoso, talmente tanto che non si vide nient'altro che non fosse luce bianchissima ed accecante.«Ti amo anche io, Mick.»
«Cosa?» chiese ad un tratto Mickey e si girò verso il fidanzato.
«Cosa hai detto, Gallagher?»
Ian aprì gli occhi, rendendosi conto di essere sveglio, in camera, nel letto, a casa Milkovich. Era giorno e tutto il resto sembrava sparito, un po' come era sparita quella sensazione di assoluta serenità.
«Ripeti, scemo.»
«Buongiorno, Milkovich, non avevamo un conto in sospeso?»