In una fredda alba di ottobre, tornavo a casa da una festa in onore del ventesimo compleanno di Sebastian, un mio caro amico.
Un forte mal di testa, causato dal volume eccessivamente alto della musica, mi martellava le tempie.
Come puntualmente accadeva, verso le tre la festa era degenerata in un'accozzaglia di corpi, con fiumi di alcol e vicini inevitabilmente infastiditi sulla soglia della villetta dai mattoni a vista.
In particolare, questo party era stato particolarmente incontenibile: Sebastian aveva invitato chiunque tra i suoi conoscenti sotto i trent'anni, e la festa era diventata ingestibile prima del solito.
L'unica condizione per essere ammessi era vestirsi a tema di Halloween, data la vicinanza con la serata più inquietante dell'anno.
Io indossavo un semplice paio di jeans neri con camicia e scarpe in tinta, i capelli biondo scuro sistemati all'indietro con poco gel.
Verso le cinque, avevo deciso di andarmene.
Mi ero stufato di seguire Sebastian passo passo per non perdermi nel marasma: avevo fatto presenza per quasi quattro ore, strusciandomi involontariamente con perfetti sconosciuti ubriachi persi, e tanto bastava.
Sgomitando a destra e a manca, ero riuscito a raggiungere la porta della casa; e una volta uscito, avevo sospirato di sollievo, apprezzando più che mai l'odore pungente dell'inverno alle porte.
Mi ero incamminato con passo deciso sulla strada deserta, le mani affondate nelle tasche della blusa scura.
L'aria frizzante mi sferzava pungente il viso.
Intorno a me alleggiava un silenzio pesante come nebbia, una nebbia di quelle che faceva cambiare idea a chiunque decidesse per qualche motivo di mettere il naso fuori di casa.
La strada era completamente deserta.
Ero solo.
O almeno lo credevo.
Un senso di inquietudine si faceva strada strisciando dentro di me: la fastidiosa sensazione di essere spiato.
Risi di me stesso, un ragazzo alto e forte che si faceva spaventare dalla solitudine; ma, per quanto cercassi di calmarmi, quel presentimento non accennava a volersene andare.
Ogni tanto i miei occhi saettavano tutt'intorno in occhiate nervose, cercando di dare una conferma alle mie paranoie, e per quanto accellerassi la camminata non riuscivo a non sentirmi angosciato.
Però i minuti passavano, e la sensazione di essere osservato continuava ad attanagliarmi.
Non sapevo spiegarmi il perché, ma il mio istinto fiutava un che di strano nell'aria, odore di pericolo.
E per una volta, non mi sbagliavo.
Mentre abbassavo lo sguardo, una piccola macchia rossa vicino al mio scarpone destro attirò la mia attenzione; non poteva essere un'allucinazione o una proiezione della mia immaginazione.
E poco più in là ce n'era un'altra, e subito dopo un'altra ancora, una dopo l'altra a formare una piccola scia di goccioline vermiglie lungo la strada ghiacciata. Sangue.
Il mio primo istinto, naturalmente, era quello di alzare i tacchi e far finta di non aver visto nulla.
Ma d'altra parte, non potevo comportarmi in modo così meschino. Magari in quello stesso momento, mentre io soppesavo le possibilità a mia disposizione, qualcuno era in pericolo.
Dovevo fare qualcosa, o il senso di colpa mi avrebbe perseguitato per tutta la vita.
E così, lottando contro le mie stesse gambe, mi apprestavo a seguire il sottile filo rosso a lato della strada.
Dopo un certo punto, però, la scia non proseguiva più sulla strada; svoltava invece verso il fitto bosco a lato della via cementata, in un sentiero sterrato ma caduto in disuso, come suggerivano le erbacce che costellavano il suolo.
"Okay" mi dicevo, "okay. Non ho paura. Non c'è niente di pericoloso qui. In una cittadina come questa, cosa vuoi che succeda..?"
Certo, mentivo: avevo una paura del diavolo e mi tremavano le ginocchia.
Ma che altro potevo fare?
Sospirando, mi obbligavo a seguire il sentiero che sembrava venir inghiottito dal bosco, tanto era stretto.
Mancavano un paio d'ore all'alba, ma il cielo era di un grigio antracite, come se dovesse nevicare.
"Fantastico" pensavo con amaro sarcasmo, "la prima nevicata dell'anno doveva capitare proprio oggi, vero?"
Ironia della sorte, proprio in quel momento candidi fiocchi di neve iniziavano a scendere leggiadri verso il suolo.
Scuotendo la testa affrettavo il passo, avvicinandomi inesorabilmente alla selva che spalancava famelica le fauci impaziente di inghiottire me e il sentiero.
Avanzavo immerso nel silenzio e nella penombra del sottobosco, seguendo quella scia color porpora che sembrava non finire mai.
Improvvisamente, un fruscio, ricordava il risucchio che si provoca bevendo l'ultimo goccio di una bibita con una cannuccia.
Un suolo leggero, quasi un eco, che in qualunque altro posto sarebbe stato impercettibile, in quel silenzio religioso rimbombava come il cozzare di due pentole in una caverna.
Il battito del cuore mi martellava sordo nelle orecchie, ed io, con il respiro affannato, correvo senza rendermene conto, non notando il monotono paesaggio verde sfrecciare sfocato intorno a me. Correvo, correvo come se avessi avuto il diavolo alle calcagna, avvicinandomi sempre di più alla fine del tracciato.
Infatti la scia svicolava di nuovo, inoltrandosi nella selva più fitta.
Mi tuffai nel verde senza pensarci due volte, ormai guidato soltanto dal meccanico movimento dei miei arti inferiori.
Dopo un tempo indefinibile, iniziavo a rallentare l'andatura; i polmoni mi bruciavano in modo insopportabile, l'aria che inalavo non bastava a soddisfare il bisogno di ossigeno.
Ero stremato, e, concedendomi un po' di riposo, ero crollato in ginocchio, appoggiandomi ad un tronco.
Ricordo che la testa mi girava, la bocca senza saliva sembrava piena di carta vetrata, e soltanto dopo essermi ripreso riuscivo a pensare lucidamente.
E solo allora avevo notato uno strano rumore, che per tutto quel tempo era rimasto di sottofondo. Avevo alzato la testa di scatto, mettendo a fuoco la scena davanti ai miei occhi.
Un lago di sangue circondava una figura scura, china su un cumulo di carne sanguinolenta; quel rumore di risucchio che mi aveva messo in allarme era causato da quella cosa.
Si stava nutrendo di quella carne, abbuffandosi come se non ci fosse stato un domani, ingollando voracemente i membri di quella che con tutta probabilità era stata una persona, una volta.
Non riuscivo a staccare gli occhi da quella scena tremendamente cruenta, sebbene lo volessi con tutte le forze.
Schizzi di sangue sprizzavano dal cadavere violato, mentre la cosa si lanciava sul pasto non ancora concluso.
Per fortuna non mi aveva sentito ne' visto. Sapevo che avrei dovuto spostarmi al più presto, ma il corpo non mi obbediva.
Ero lì, accasciato per terra, indifeso quanto impotente contro qualcosa di cui non conoscevo nemmeno la natura.
E lì rimasi, quando quello si girò, fiutando l'aria circostante.
Gli occhi parevano carboni ardenti, mentre il viso deforme macchiato di liquido vermiglio e gocciolante era contorto in un ghigno perversamente soddisfatto.
Non ricordo l'esatto momento in cui lo scorrere del tempo si era alterato, scorrendo come un torrente di montagna nella stagione delle piogge. Era successo tutto troppo in fretta.
Prima sentivo soltanto l'adrenalina, il terrore, il sordo pulsare del mio cuore; poi, improvvisamente, sentivo uno strano torpore invadermi, una sensazione di gelo ma al contempo di calore.
E infine, il sapore metallico del sangue in bocca, il tocco freddo della morte.
Mentre rovesciavo gli occhi, però, sapevo che non sarei morto.
O meglio, qualcun altro nella mia mente lo sapeva.
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L'ombra di te stesso
HororCreata per il concorso di @ lupin06 e @Dead_Memories_Knot, 3° classificata. Se fossi posseduto da un demone, cosa faresti? Se la tua coscienza non fosse schiacciata da un peso estraneo, ma fosse ancora attenta e vigile, seppur in un angolo della me...