Wolves without teeth

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CAPITOLO SEI: WOLVES WITHOUT TEETH

Tirava vento, ma il freddo era l'ultima cosa di cui doveva preoccuparsi. La casa, nella quale aveva passato parte della sua infanzia, era illuminata dalla luce fioca della luna e i rami secchi e scheletrici degli alberi creavano ombre che rendevano ancora più spettrale quell'edificio. Ma non aveva paura, non ne aveva mai avuta. Alla fine, quella era sempre stata casa sua: un luogo che significava calore, rifugio, famiglia. Quella stessa famiglia che da un giorno all'altro gli era stata portata via. Aveva sei anni, eppure – ancora in quel momento - non riusciva a ricordare bene cosa fosse successo. La sera della morte dei suoi genitori risultava così sfuocata nella sua testa, che il solo tentativo di ricordare di più gli faceva male. Ecco perché alla fine, c'aveva rinunciato, era cresciuto come un normale orfano, pieno di rabbia repressa e aveva accettato la situazione attribuendo il tutto ad un incidente qualsiasi, oppure – quando era piuttosto triste – al destino. Alzò gli occhi verso il cielo scuro, ma puntellato di stelle, sparse qua e là, quando sentì alcune gocce bagnargli la fronte. Non ci pensò nemmeno due volte e si incamminò verso casa sua, salendo i tre scalini e rifugiandosi sotto il porticato. Per quanto fosse affezionato a quell'edificio, non significava più niente per lui: non era famigliare e la loro morte aveva oscurato qualsiasi bel ricordo. Sfregò le mani una contro l'altra, perché il freddo cominciava a farsi sentire. Si appoggiò alla parete cadente, accanto alla porta d'ingresso, e per un po' fissò la pioggia cadere sempre più violentemente. Trovarsi di tanto in tanto immerso in quella situazione così irreale e inquietante, lo preoccupava più del dovuto. Si sentiva osservato, con le spalle scoperte, come se qualcuno fosse pronto ad attaccarlo, come se avesse dovuto risolvere una questione, senza sapere quale fosse o come portarla a termine. Sospirò, chiudendo per un momento gli occhi: era solo un sogno. Doveva solo pregare di svegliarsi il prima possibile e tutto sarebbe scomparso.
All'improvviso, una folata piuttosto forte di vento spalancò la vecchia porta di legno, facendola poi sbattere di nuovo in avanti. Derek aprì di scatto gli occhi, lievemente impaurito e si guardò intorno guardingo, senza però scorgere niente. Delle voci, provenienti dall'interno della casa, attirarono la sua attenzione. Inizialmente, le ignorò: riconosceva il tono di voce di sua madre e quello di alcuni bambini, probabilmente lui stesso e le sue sorelle. Ma in un secondo momento, dopo aver udito il lamento di un bambino affievolirsi fino a scomparire del tutto, decise di entrare.
Varcò l'ingresso, immergendosi immediatamente nelle ragnatele di ricordi e nella polvere che ricopriva ogni mobile. Le luci erano spente, ma per fortuna la luna illuminava quel poco che serviva a vedere qualcosa. L'arredamento era esattamente al suo posto. Era tutto come l'ultima volta che aveva dormito in quella casa, prima di lasciarla per sempre.
Si incamminò verso le scale che portavano al piano di sopra, completamente ipnotizzato dalle voci dei suoi familiari. Le salì velocemente, dirigendosi poi verso la camera che divideva con Cora e Laura, senza un preciso motivo. O meglio, perché era l'unica stanza dalla cui porta usciva uno spiraglio di luce. Era da lì che proveniva il lamento del bambino.
Sospirò profondamente, appoggiando la mano sulla maniglia, ma sperando di svegliarsi proprio in quel momento. Ad essere sinceri, non voleva proprio sapere cosa si nascondesse al di là di quella porta. Ma di svegliarsi non ne aveva intenzione, così aprì. La prima – ed unica – cosa che vide fu sua madre, più pallida del solito, seduta su una grande sedia a dondolo, che non gli era per niente famigliare. Ma ciò che veramente lo lasciò sorpreso fu il bambino infagottato che teneva in braccio e cullava con dolcezza. Inizialmente, pensò di vedere di nuovo se stesso da piccolo, ma poi notò le due sorelle giocare in un angolo della stanza. Non poteva essere lui quel bambino, perché Cora e Laura erano nate dopo di lui. Così, si guardò insistentemente intorno cercando la sua piccola versione, ma non ce n'era traccia.
«Derek» la voce della madre lo riportò alla realtà. Continuò a perlustrare la stanza, aspettandosi l'arrivo di un bambino di sei anni, dai capelli neri, gli occhi verdi e le ginocchia sbucciate per l'eccessivo divertimento. Ma non accadde.
La madre aveva gli occhi fissi sulla sua figura, così deglutì e si avvicinò.
«Non è una meraviglia?» continuò la donna, guardando la piccola creatura che teneva tra le braccia. Derek si arrese ed annuì, avvicinandosi a lei «Perché non l'hai protetto, come avevi promesso?»
Il ragazzo spalancò gli occhi «Ma-»
«Derek, tesoro» lo richiamò dolcemente «Puoi farlo adesso: proteggilo e nessuno si farà del male»
«Va bene» furono le uniche parole che lasciarono la sua bocca.

The girl who cried wolf | Teen WolfDove le storie prendono vita. Scoprilo ora