In mille pezzi

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Ascoltavo la pioggia. Era impressionante come quel ticchettio confuso riuscisse a gettare su tutto una tristezza quasi inesorabile. Facevo roteare velocemente il mio ombrello come sempre quando ero nervoso. Sul ciglio della strada mi sentivo isolato. La stazione continuava ad essere il posto più rumorosamente silente che io ricordassi. Gruppi di babbani sparsi sul marciapiede erano come isole separate dal grigio mare. Un autobus si allineò alla mia posizione. La porta si aprì cigolando. Entrai, ancora carico di angoscia. Il Ministero non mi aveva mai convocato a quest'ora.
Tutti i miei colleghi avrebbero scelto un modo diverso per viaggiare, ma pensò che la cieca arretratezza in cui giace il mondo magico sia inaudita. Parlo da Nato Babbano. Mi misi a sedere, appoggiando la testa al finestrino, e giocherellando con il cartellino con il nome: Doris McDerret. Mi addormentai. Una scossa dell'autobus mi svegliò. Scesi velocemente e raggiunsi il gabinetto. Sapete come funzionano queste cose, non approfondisco. Ma appena arrivato provai una sensazione di stupore misto a sgomento. Attorno a me non c'era nulla. Quelli che sembravano i resti di un'esplosione mi circondavano immobili. Un polverone bianco si innalzò modesto. Intravidi i miei colleghi raggruppati, e dei sussurri strisciarono fra loro spaventati.
Li raggiunsi, ancora con gli occhi sgranati. Un uomo magro e con la barba folta sembrava voler contenere quella folla pressoché incontenibile. Sospirai e chiusi gli occhi.
Sentii lo stimolo caldo negli occhi, che si bagnarono d'acqua salata. Un brivido mi percosse, lasciando un inaspettato calore, una dolce rassegnazione e una ancor più dolce sensazione di sopravvivenza. Avvolto da quel torpore, dimenticai il mondo attorno a me. La folla che iniziò a dirigersi verso un punto preciso mi destò.
L'uomo con la barba ci mostrò un passaggio per i sotterranei, rimasti intatti. Ci infilammo nel buco che c'era nella terra, coperto da un velo di polvere bianca. Le scale a chiocciola scendevano frettolose nelle profondità di quello che era un tempo il Ministero. I miei occhi ricomposero la vecchia costruzione. La mia memoria era sempre stata fonte di stupore per me. Riuscivo a ricordare tutto, fin nei minimi dettagli, e a dipingere con sporadica precisione quelli che un tempo c'era. E che era stato cancellato.
Il sotterraneo era invaso da un odore di putrefazione mista alla puzza di chiuso. Quell'acre combinazione mi costrinse a serrare gli occhi, sperando che, una volta riaperti, di quest'incubo resti solo il ricordo. Ma niente cancellava l'amarezza della consapevolezza che non c'era peggior incubo che la realtà.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 08, 2016 ⏰

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