Capitolo 31

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Era da quasi una settimana che non avevo contatti con Tristan, né telefonici né di persona. Cominciavo ad avere i sensi di colpa per come lo avevo trattato quella domenica mattina. Ero preoccupata che non volesse più vedermi, doveva esserci rimasto davvero male. In fondo, pensavo, si stava solo lasciando andare, non potevo fargliene una colpa se mi amava e se si stava lasciando prendere dal sentimento; dovevo però assolutamente chiarire la faccenda, dovevo spiegargli con calma che non era mia intenzione correre troppo nella nostra relazione.
Mi feci strada tra la folla di ragazzi che usciva in quel momento dall'università; le foglie scolorite fluttuavano nell'aria, la brezza dolce e pungente mi pizzicava le guance, l'erba del prato stava ormai smettendo di crescere, creando una grande distesa dai colori ambrati; solo poche chiazze cercavano debolmente di resistere, di opporsi alla forza dell'inverno futuro che, anche se lontano, stava inesorabilmente avvicinandosi.
Raccolsi una foglia da terra prima di camminarci sopra e calpestarla; era così levigata e perfetta seppur avesse perso ogni alone del verde precedente; aveva lo stesso colore dei miei capelli, quel rosso aranciato che ormai aveva colorato tutti i paesaggi, a metà tra il ruggine e il ramato, e che sembrava aver pervaso la realtà di un immenso filtro fotografico.
Aprii un quaderno e la infilai tra due pagine per appiattirla per bene e conservarla.

Mi sedetti sulla solita panchina, sulla panchina dove io e Tristan ci trovavamo ogni volta dopo scuola, ed estrassi il cellulare dalla borsetta.
" Dove sei finito? Ho bisogno di chiarire, ti prego. Non ce la faccio a fare finta di nulla. Scrivimi, mi manchi. "
Guardavo quel continuo flusso di ragazzi uscire frettolosamente dal grande portone e avviarsi verso il cancello. Sembravano rincorsi da una fretta esasperante, volevano subito tornare alle loro case a giudicare dalla foga con cui si spostavano. E poi c'ero io, ferma, seduta a rimirare incantata quel paesaggio surreale della natura circostante, ripetendo a me stessa, come ogni volta, che si sarebbe sistemato tutto. Era ormai diventata routine quotidiana questa sorta di auto convincimento mentale; mi aiutava ad andare avanti e ad avere una speranza.
Un tocco sulla spalla mi riportò con i piedi per terra. Quando mi voltai lo vidi, bello come sempre: era Tristan, che mi stava fissando con un'aria assorta e preoccupata.
Mi alzai e senza lasciar uscire una parola dalla mia bocca gli saltai addosso e lo abbracciai.
<< Volevo scusarmi con te. Ho fatto la cosa sbagliata al momento sbagliato, ti prego di perdonarmi. >>
Parlava con la bocca sui miei capelli, riuscivo a sentire il calore del suo fiato sulla mia testa.
<< Tristan, vorrei scusarmi anche io con te. Forse la mia reazione è stata un po'... Esagerata. >>
<< No, sono stato io ad andare troppo oltre. Non avrei dovuto, d'altronde ci conosciamo quasi a malapena... Ma posso dirti di per certo che... Ti amo. Ti amo Alice, scusa se sono così diretto ma è ciò che sento, e sento il dovere di dirtelo. >>
Non risposi, mi limitai ad abbracciarlo e a respirare il suo profumo assaporando a pieno quel momento.
Ero soddisfatta, finalmente una volta tanto qualcuno era stato capace di ammettere i suoi sbagli e di scusarsi senza opporre resistenza con me. Ma nonostante sentissi di non riuscire a stare senza di lui qualcosa mi suggeriva comunque di essere prudente. Come può qualcuno essere certo di amare veramente una persona dopo così poco tempo che la si conosce?
Non c'era una spiegazione a ciò. Dunque forse i colpi di fulmine esistevano davvero.
<< Prometto che cercherò di essere un ragazzo migliore, e lo farò per te. >>
Ero incantata dalle sue dolci parole.
<< Però anche tu mi devi promettere una cosa. >>
Nel mio cervello scattò una piccola allarme.
<< Dimmi. >> gli risposi, pronta per ascoltare tutta orecchi ciò che era in procinto di dirmi.
<< Quell'Adam che ci fissava alla finestra... Non lo voglio più vedere. Non voglio che tu abbia più contatti di nessun tipo con lui. E mi sembra di avertelo già detto tempo addietro. >>
<< Ma Tristan... Viviamo sotto lo stesso tetto... >>
<< Allora posso offrirti di venire a vivere da me. >>
<< No. Non potrei mai, loro sono la mia host family. Non mi sarebbe permesso andarmene così, sparire di colpo. >>
<< Come vuoi, ma allora cerca con tutta te stessa di stare alla larga da lui. È un parassita; tu sei mia, hai capito? E di nessun altro. >>
Quel suo tono di voce mi mandava i brividi alla spina dorsale. Riuscivo a cogliere la magistrale serietà con cui parlava, e ne ero intimorita. Ma volevo comunque tentare di difendere la mia causa.
<< Tristan, solo perché sto con te non significa che io sia di tua proprietà. Io non sono tua, io sono mia anche se il mio cuore in un certo senso appartiene a te. E in quanto persona libera e di proprietà di me stessa e di nessun altro pretendo la libertà di stare con le persone che voglio. >>
<< Ah sì? Beh, allora posso dirti che se tu non sei d'accordo nell'accettare le mie condizioni...non lo sono nemmeno io... potrei anche pensare di abbandonarti a te stessa, e potrei anche farlo subito. >>
Imperterrita, lo fissavo a bocca aperta senza riuscire a decifrarlo. Non poteva questa volta essere serio, no. Era assurdo.
<< Cosa stai dicendo..? >>
<< Non mi credi? Sono serio, anche se non ho idea di come fare per  dimostrartelo. >>
<< Ma io... >>
Presi un lungo respiro al quale succedette una grande apnea.
<< Va bene... Starò lontana da Adam. >> sospirai, a testa bassa.
<< Brava bambina. Sai però, se devo dire la verità nemmeno la tua amichetta mi da una buona impressione. È sempre tra i piedi, e ha una faccia che non mi convince. >>
Mi accarezzò i capelli con una mano, spostandomi una ciocca dietro l'orecchio.
<< Cosa significa che ha una faccia che non ti convince? >>
<< Di sicuro vuole fare di tutto perché io e te ci distacchiamo. Lo sento, lo vedo nei suoi occhi. Mi guarda sempre male, di sicuro non vuole che io e te stiamo insieme. Ho paura che possa traviarti, quindi devo chiederti di cercare di evitare i contatti anche con lei. >>
<< Tristan, ma che cosa stai dicendo...? Non capisco, perché lo pensi...? >>
<< Non lo penso. È così e basta. So che è difficile, ma fallo per me. Pensa a come potremmo essere felici insieme, senza nessuno che ci metta i bastoni tra le ruote o che si intrometta. >>
Mi guardava sorridendo, sapendo già in cuor suo di aver vinto.
Insomma, o l'amore, o gli amici. Il succo del discorso era che nella vita si deve scegliere tra una cosa e l'altra, tra il bianco e il nero, e non esiste compromesso, non esiste il grigio.
Non credevo alle mie orecchie. Per non perdere Tristan dovevo rinunciare alle persone che nel bene e nel male mi avevano accompagnata in quel mese e mezzo.
Sollevai lo sguardo e lo vidi fissarmi, confidando in una mia risposta affermativa alla sua richiesta.
<< ...E va bene... Ci penserò. >>
Mi lasciai prendere dalla cieca attrazione che provavo nei suoi confronti. Quest'ultima mi aveva indotto ad accettare la sua proposta, il suo patto. E mi sentivo in un certo senso felice perché avevo lui. E mi sentivo insicura, perché i suoi duplici comportamenti mi avevano sempre fatto rizzare la pelle d'oca. E mi sentivo triste, perché dovevo perdere i miei amici. Ma avevo lui, e nonostante tutti i suoi ambigui modi di essere e i suoi difetti forse ne ero innamorata per davvero.

Nonostante la raccomandazione di stare alla larga da Adam non mi fosse nuova, decisi questa volta di metterla in pratica alla lettera, per filo e per segno. Avevo iniziato a non degnarlo di uno sguardo e nemmeno di una parola, non rispondevo più alle sue domande.
Ogni volta che lo vedevo camminare, che fosse a scuola o a casa, cambiavo strada per evitare a tutti i costi di incrociarlo.
Non era stato difficile non intrecciare più i rami del nostro rapporto, così come reciderli. E la stessa cosa valeva per Aurora, con cui fino a pochi giorni prima parlavo dei miei problemi e mi sfogavo, con lei che sapeva sempre come farmi tornare il sorriso dopo qualche mia spiacevole avventura.
Non era stato difficile smettere di coltivare il mio rapporto di amicizia verso di lei. Era bastato cancellare il suo numero di telefono, uscire prima da casa per andare verso l'università in modo da non incrociarla più lungo la strada, abbassare lo sguardo ogni volta che passava e mi guardava con quegli occhi supplicanti e interrogativi.
"Cosa ti ho fatto? Perché non mi parli più?" Mi chiedevano con quell'espressione persa, desolata, vuota.
Io no, io non mi piegavo alle sue silenziose suppliche. Io ero forte, e volevo stare con Tristan.
Io ero sua, e lui possedeva me; non c'era più bisogno degli amici nella mia vita, a me bastava l'amore, l'amore cieco, sordo e muto chiuso in una bolla di vetro, separato da tutto il resto del mondo.
Così non sapevo più chi ero veramente. Avevo espulso la mia personalità, se davvero ne avevo una, e avevo assorbito nel mio piccolo quella di Tristan, del così solo e bel tenebroso.
Ogni giorno mi trovavo al solito punto, seduta sulla solita panchina, ad aspettare che egli uscisse da scuola per poi andare a pranzare assieme in un posto qualunque in zona. E ogni volta mi toccava subire quegli sguardi sprezzanti di quelle persone che una volta amavo chiamare amici, ma che ormai non facevano più parte della mia vita.
Avrebbero parlato male di me alle mie spalle, ma non mi importava. Non mi facevo turbare da nulla ormai, perché il mondo circostante era inessenziale, e loro erano diventati delle persone qualunque, degli sconosciuti.
Tutto ciò che contava veramente era lui.
Tristancentrismo. Lui era il Sole al centro dell'universo, io la Terra che gli ruotava attorno ininterrottamente e che da esso dipendeva.
È così continuai a comportarmi; e così vidi la pioggia di novembre e la prima neve di dicembre stando sola e seduta su quella panchina ad aspettarlo uscire, in quel cortile di quell'università dispersa nella città di New York.

Teal and Orange (sospeso) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora