Nessuno ci puó salvare

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Si trova nella sua stanza seduto per terra contro il muro, accanto al letto ancora fatto.
Ha gli occhi chiusi e le ginocchia le ha portate al petto circondandole con le braccia, le mani sempre legate con le manette.
"Non sono stato io...
È stato un'incidente...
Un'incidente..." sussurra mentre si dondola leggermente avanti e indietro.
Sotto gli occhi chiusi gli si ripresenta la stessa scena che continua a vedere da anni.
Sangue, urla.
"Non volevo farlo...
Sono stato costretto...
Non volevo..."
Sono le solite parole che sussurra ed urla ogni giorno.
Apre gli occhi e cerca di riprendersi dal familiare stordimento.
Rimane per terra e guarda in alto verso il soffitto.
"Io non sono un mostro...
I mostri sono stati loro..."

Sente un rumore di serratura e scatta in piedi.
Vede un ragazzo alla porta e resta dov'è.
Gli avevano detto che doveva arrivare un compagno di stanza, ma a lui non gliene poteva importare di meno.
Cerca di non fare movimenti anche se ha un gran mal di testa per le allucinazioni di prima e si ributta per terra facendo come se il ragazzo non ci fosse.
Il compagno, butta le valigie nel letto e gli si avvicina.
"Matthew, piacere."

Alza lo sguardo verso il ragazzo
"Ti stringerei volentieri la mano, ma ho queste mie belle amiche ai polsi." Dice alzando le manette.
"E..." Sbuffa una risata.
"...in realtà non te l'avrei stretta neanche senza.
Sono John, e il piacere non è mio."
Ritorna ad appoggiare la testa contro il muro.

"Neanche mio, cercavo di essere cordiale e...
Sono matto ma non ho la lebbra, tranquillo"
Va a sedersi sul letto e disfa le valigie, sistemando alcune cose.
Sopra il comodino mette una ventina di foto, con sopra delle scritte.

"La cordialità non serve a niente qui dentro."
Dice lui, osservandolo mentre riordina le sue cose ancora appoggiato al muro.

Per lui non era mai il suo forte relazionarsi con chiunque.
Fin da bambino non ha mai imparato ad amare. Neanche le persone che lo misero al mondo lo amarono. Era abbandonato ed allontanato da tutti.
Crescendo ha imparato lui ad abbandonare ed allontanare gli altri.
A non provare amore per nessuno.
Tanto per lui gli era semplice visto che le uniche persone, prima, le vedeva da una finestra sbarrata della propria camera.
Adesso non è lo stesso in un manicomio, certo, le sbarre ci sono ovunque, sei imprigionato più di quanto non lo fossi già stato prima.
Ma di esperienze in quel posto, in tre anni, ne ha avute.
Sono state le peggiori.
Ma il problema è sempre stato lo stesso. L'essere incapace di amare.
Crede che non amerà mai una persona, perché non l'ha fatto prima d'ora.
Infatti, prima d'ora...

Sente dei rumori in corridoio, delle voci femminili, si è spostato mettendosi contro la porta adesso.
Riconosce la voce di Karen, una specie di badante per i pazzi di quel posto, è sempre stata cordiale con tutti, perfino con lui.

Dà dei colpi alla porta, maledicendo l'infermiera passata prima.
Sente scattare nuovamente la serratura e si alza in piedi.
Vede infatti Karen, che direttamente guarda le sue mani libere. 
"Lo hai voluto tu John?"

"No. Me le ha tolte l'infermiera di prima."
Dice mentre lei gliele rimette.

Alza lo sguardo e lo sposta sul corridoio.
Dove vede una ragazza mai vista prima indietreggiare come se fosse impaurita dalle manette.
"Nuova?" Accenna un sorriso.
"Tranquilla. Questo è niente."

Lei sta in silenzio, guardandolo solamente negli occhi, con sguardo interrogativo, per poi allontanarsi ancora.

Vede un'altra infermiera avvicinarsi alla ragazza, riprendendo un discorso che avevano lasciato a metà precedentemente.
La sente e sbuffa.
"La vita qui dentro è più semplice senza qualcuno che ti dia fastidio.
È tre anni che lo dico.
Nessuno ti lascia mai in pace."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 05, 2016 ⏰

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