PRISONER
Non era una bella giornata da passare a passeggiare, ma a lui non interessava molto. Infondo non poteva fare nient'altro. Era lì, solo, che camminava sotto la pioggia con in spalla la fodera rossa della sua spada piena.
I suoi capelli sgocciolvano la pioggia lungo il suo viso rigandolo quasi e rendolo più lucido. Perché non poteva essere come gli altri? Questa era una domanda troppo ricorrente tra i suoi pensieri. Cosa aveva fatto di male? Perché lui il figlio di satana?
Camminava lentamente come se volesse che il tempo passasse come il rumore della sua suola sull'acqua. Camminava ostinato a testa bassa.
Passo dopo passo si allontanava dal proprio dormitorio. Sarebbe mai tornato lì? Chissà. Avrebbero potuto giustiziarlo in qualsiasi momento. Anche ora se solo lo avessero desiderato.
Perché quelle fiamme color del mare dovevano capitare a lui? Perché una vita così miserabile. Gli stavano levando tutto. Ora che con tutto se stesso aveva lottato per essere accettato, per non essere più solo, delle stupide fiamme, quelle stupide fiamme stavano per portargli via tutto, di nuovo.
Forse camminó per ore, forse no. Non riusciva più a distinguere lo scorrere del tempo, i pensieri avevo preso il sopravvento.
Alzò con lentezza lo sguardo verso quella distesa verde. Che bel giardino aveva di fronte. Ricoperto di fiori dalle mille differenze. I petali di ogni bocciolo erano ricoperti dalle gocce di quella pioggia incessante che ne oscurava ogni piccola sfumatura di fragranza.
L'unico odore che percepiva era quello pungente di quella pioggia. Lo aveva completamente inondato. Lo faceva sentire strano, come se non fosse neanche più se stesso.
Oramai era rassegnato. Alla fine sarebbe morto, inevitabile sorte. Non era importante il come o tanto meno il quando infondo.
L'unico rimpiato era lei. Quanto avrebbe voluto essere suo, averla tutta per se. Era tardi. Forse anche troppo. Non avrebbe mai potuto passare le dita tra quei lisci capelli color platino. Non avrebbe mai potuto accarezzarle quelle paffute guance. Non poteva più perdersi in quei suoi grandi occhi color smeraldo. Nessun tocco, né carezza né tantomeno sussurri. Tra loro stava morendo tutto senza neanche esser fiorito. Non avrebbe più avuto il tempo per confessare tutto. Non poteva amarla.
Il suo sguardo era fisso sui fiori. Non sapeva di quale tipo fossero ma erano di sicuro splendidi. Grazie a loro riusciva quasi a sorridere.
"Rin."
Quella voce lo avvolse come in un grande abbraccio mentre i brividi facevano di lui la loro preda. Il freddo che prima pungeva contro il suo leggero corpo stava quasi svanendo. Si sentiva come in un altro luogo. La calma lo stava innondando.
Puntò lo sguardo verso la voce e fu inevitabile un sorriso. Forse malincinico. Quella meraviglia era davanti a lui e solamente lui poteva ammirarla in quel momento. Poteva quasi sentirne il calore addosso.
Era al coperto ora, tremava ma non dal freddo, forse era la paura. La stanza era calda e con la fiamma di quel camino che rendeva anche le pareti stracolme di amore. Lei era lì che si occupava di lui con premura. Impegnata e determinata come sempre, forse un tantino buffa. Ma deliziosa. Era lì davanti in tutta la sua bellezza, ed era lì ancora solo per lui.
Il letto era morbido. Le sue mani ne affondavano quasi dentro. Che situazione strana. Lei stesa sotto di lui che lo guardava negli occhi, con le guanciotte arrossate dalla vergogna probabilmente e il respiro corto. Che stava succedendo? Il corpo sembrava non essere più in sintonia con la mente. Andava solo, seguiva come quei cosiddetti istinti. Gli piaceva, forse anche a lei.
Le loro labbra si sfiorarono in un bacio delicato. Poi successe ancora e piano tra loro crebbe la passione. Sfioramenti, sussurri, fremiti, mugolii. I loro corpi si desideravano, si cercavano. Era come se fossero in una sorta di danza. La loro danza. C'erano solo loro e tutto era dannatamente perfetto, come se stesse vivendo il più bello tra i sogni.
Lei era stretta a lui che lo guardava ancora fortemente in imbarazzo. Quanto era bella. Stramaledettamente bella. La sua mano passava delicatamente sopra la sua bianca pelle. Il cuore batteva a mille, non era deciso a fermarsi.
Che bella sensazione. Si sentiva completo, vivo. Mai si era sentito così in vita sua. Come avrebbe voluto non potesse finire mai.
Un tuono di colpo si scaraventó accanto alla casa. Un secondo, uno solo era bastato per far finire tutto. Per portargli via l'ultima cosa che potesse avere. La paura era viva nei suoi occhi ma il suo corpo pareva non risentirne. Le sorrideva mentre li allontavano definitivamente, come per consolarla, per darle forza. Oppure per vivere un ultimo bel momento sperando in un suo sorriso.
Era lì che tremava, solo, vuoto. Non pensava che davvero potesse accadergli adesso. Essere portato via da lei era la peggior punizione. Le catene erano al dir poco nulla. Il suo cuore e la sua mente non riuscivano a non stare in pena per quel visino rigato dalle lacrime che tanto aveva amato.
"Ti amo."
Fu questa l'ultima frase che entrambi riuscirono a scambiarsi, prima di essere divisi. Divisi per sempre. Senza che nulla ci potesse essere più tra loro se nonché i ricordi, forse troppo amari.
Fine.