Terra Bruciata

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Accidenti, devo ricominciare da capo! Lancio la penna sulla scrivania, snervata. È la terza volta che devo riprendere dall'inizio questa registrazione, ma il mal di testa è davvero assillante e gli occhi mi lacrimano a causa dell'influenza. Per non parlare del naso che devo soffiare in continuazione... non ce la faccio più, forse sarebbe meglio tornare a casa.

Alzo lo sguardo verso la mia collega e amica, dato che ci conosciamo fin dalle superiori, e la chiamo.

«Ginfia, cvedo sia bellio che io vada a cafa...» le dico.

«Assolutamente, Rebby. Guarda come sei ridotta. Torna a casa e riposati: ti chiamo più tardi per sapere come stai.» Mi risponde Cinzia.

Annuisco, incapace di parlare ancora. Getto l'ennesimo fazzoletto nel cestino già stracolmo, infilo la giacca ed esco.

Nel tragitto dal mio ufficio alla macchina, utilizzo altri quattro fazzoletti e una notevole quantità di forze. Non so nemmeno come riesco ad arrivare a casa: probabilmente l'auto ci è arrivata per inerzia, seguendo da sola la strada che ormai faccio quasi tutti i giorni da otto anni a questa parte.

Finalmente le porte dell'ascensore si aprono, mostrandomi il pianerottolo di casa mia. Scavo nella borsa, alla ricerca delle chiavi e mi appresto ad aprire. Ma... ho dimenticato di chiudere? Mi chiedo, trovando la serratura aperta. Apro lentamente, con il cuore che batte a mille nel petto, ma quello che vedo mi sconcerta di più che non se avessi trovato dei ladri che rovistavano in casa mia.

Al centro della stanza, infatti, c'è mio marito, di spalle. Lascio vagare il mio sguardo lungo le sue spalle larghe, scendendo per la schiena tonica fino alle natiche sode avvolte in una... tuta? Cosa ci fa in tuta? E perché non è in ufficio? Al suo fianco ci sono alcuni bagagli e svariati scatoloni e lui è intento a chiuderne uno con lo scotch da nastro.

«Gian... che ftai fateddo?»

Lui si volta di scatto, stupito, lasciando cadere lo scotch in terra.

È sudato e un ciocca di capelli neri gli sfiora la fronte ampia.

«Rebecca! Non mi aspettavo di vederti così presto...»

«Sì, beh... ftavo tvoppo bale. Che fai?»

«Io... Oh, Rebby... non avrei voluto che lo scoprissi così... io...» si guarda le unghie, passando il peso da un piede all'altro, poi, all'improvviso solleva lo sguardo, fissandolo nel mio «Io ho deciso, Rebby: me ne vado!»

«Cofa? Pevché?» gracchio.

«Perché? Come perché? Sono anni ormai che tra noi non c'è più nulla, stiamo insieme solo per convenienza... E ogni volta che ho provato a parlartene hai sminuito la cosa, dicendo che stavo solo esagerando.»

«Ba...ba... non è vevo...»

«Lo vedi? Lo stai facendo anche adesso. Io sono stanco, Rebby. Sono stanco di sentirmi dire cosa fare, cosa dire, come vestirmi... e addirittura cosa mangiare!»

Mi sta dando della despota? Penso rabbiosamente «Io non ho bai fatto nulla di fibile...»

«Davvero? Ad ogni modo non ho alcuna intenzione di discutere ancora con te. Me ne vado, ho deciso. Ho quarant'anni, posso ancora rifarmi una vita. Tornerò un altro giorno a prendere le mie cose.»

«Ba non puoi, fiamo fpofati. Te lo ploibifco... e poi, cofa divò alli altvi?»

«Posso e devo! Non ne posso più, te l'ho detto. E, per quanto riguarda quello che devi dire agli altri... sinceramente non mi interessa: inventati ciò che vuoi, tanto faresti lo stesso comunque.» detto questo, afferra un trolley ed esce di casa.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 20, 2016 ⏰

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