Era autunno. Un vento gelido correva nelle vie della città, accarezzava i volti dei passanti e si insinuava fra le pieghe dei cappotti. Gli alberi si tingevano gradualmente di rosso, le persone chinavano il capo e incassavano la testa sotto al cappello. I bambini, colti dall'irrefrenabile gaiezza dell'infanzia, correvano e giocavano nella piazza. Io camminavo, avvolta nel mio cappotto rosso, lo zaino in spalla lo sguardo chino. Pensavo, in generale, alle cose. E mi stavo piuttosto incasinando. D'un tratto, una melodia mi giunse all'orecchio. Note dolci, appena accennate, lievi. Danzavano nell'aria, le potevi vedere solo se osservevi attentamente, seguivano il vento. Si lasciavano trascinare. Così feci io e, abbandonata la via di casa, seguii la quasi impercettibile scia della melodia. Camminai lungo un viale affollato, tentando di non perdere il filo fra la folla. Passai attraverso un vicolo stretto e attraversai una piazza interna, vuota. La musica era sempre presente. Non sapevo bene dove andare. Magari mi stavo allontanando, magari era dietro l'angolo. E io camminavo senza realmente cercare, ma con l'intento di trovare. Infine, per puro caso, capitai davanti ad una grossa casa scura, vecchia. Mi convinsi che il suono provenisse da lì ed entrai dalla porta, aperta, senza pensarci. Effettivamente mi sembrava un sogno: mai mi aveva sfiorato il pensiero di non essere nel giusto entrando così in casa altrui. Intanto la musica si era fatta più chiara e limpida. C'erano delle scale, salii per diversi piani ed a un certo punto mi fermai. Ero su un piccolo pianerottolo, vuoto e semplice. Solo una porta disturbava la linearità delle pareti spoglie. Proveniva da lì la magia, sicuramente. Mi bloccai un attimo, che fare? Provai a cercare un nome o un campanello, ma non c'era nulla. Nulla. Solo la maniglia, stranamente lucidata e in buono stato. Esitai ancora un attimo e poi entrai. L'impatto fu forte. Un profumo di fiori e biscotti. Scaffali su scafffali di libri, libri ammucchiati sul pavimento e sui tavoli. E poi la musica, sembrava parte integrante dell'arredamento. La sentivi meglio, era a suo agio lì dentro. Girava e rigirava per le stanze note e le illuminava ogni volta di più, ogni secondo di più. Abbandonai il mio zaino vicino all'ingresso e mi inoltrai nella casa. Un gatto nero, ad eccezione di una macchia bianca sul petto, si gettò fra le mie gambe e cominció a fare le fusa forte. La musica si interruppe. Una calda e vissuta voce paterna fece capolino dalla sala:"Mr Tubb cosa stai facendo?". Comparve un uomo anziano, canuto ma pieno di luce. Luce che illuminava i suoi occhi e tutto ciò che gli stava attorno. Rimase un attimo intetdetto alla mia vista, ma si riscosse subito. "Oh, ciao. Mmmh, vuoi dei biscotti? Dai vieni." Mi condusse in cucina e mi fece sedere. Si mise ad armeggiare con una teiera e appoggiò sul tavolo un piatto di biscotti. "Era... era lei che stava suonando?" Non avevo ancora detto una sola parola e la prima cosa da dire al signore al quale ero entrata in casa senza motivo apparente e che mi aveva offerto dei biscotti poteva essere scelta meglio. Mi maledissi, ma era stato più forte di me. Si sedette. "Si, si sono io a suonare" Scoprii in seguito che si trattava di un violino. "Come ti chiami ragazzina?", forse era la seconda volta che mi poneva la domanda. Ero completamente assorta dai miei pensieri. Arrossii violentemente: "Mi chiamo Gaia".