Nell'impero austriaco di Francesco I, sorgeva quasi sul confine della Svizzera un piccolo paesino di poco meno diecimila abitanti chiamato kantorg. Quasi incastonato tra le montagne ghiacciate e sopravvissuto a innumerevoli ed insoliti cataclismi naturali Kantorg era sconosciuto dalla quasi totalità dell'aristocrazia feudale che principalmente ruotava intorno alle grandi coorti degli Asburgo. Dopo secoli di anonimato, la città venne alla ribalta per via della singolare scelta di una potente e nobilissima famiglia, che decise proprio lì di edificare una di quelle tante opulente ville con cui sperava di rimarcare ancora di più la sua ricchezza. I migliori architetti e ingegneri si misero al lavoro per costruire il progetto più grandioso della loro carriera, il magnifico è colossale palazzo d'inverno. Tutti furono d'accordo nel dire che solo l'infinito capitale degli Hozenfrar poteva ambire a tanto, perché il lusso e la bellezza erano cosi sfrenati da risultare inaccessibili perfino alla famiglia reale regnante. Ma fin dall'inizio del suo concepimento il palazzo d'inverno causo molteplici disgrazie, gli operai costretti a lavorare nelle rigide temperature montane si trovarono più volte in difficoltà e per tale ragione alcuni tra i meno esperti morirono scivolando tra gli infiniti pericoli che si venivano a creare in un ambiente cosi insidioso. Una soluzione poteva essere quella di interrompere i lavori nel periodo invernale per riprenderli in quello estivo, garantendo cosi delle condizioni lavorative più sicure. Ma Jeremy Hozenfrar non volle sentire discussioni e i lavori continuarono interrottamente fino alla fine. In tutto perirono ventisei persone. I festeggiamenti per il completamento dell'opera furono stupefacenti, Kantorg fu invasa da una miriade di personalità illustri, aristocrazia, imprenditori, politici, tutti si crogiolavano nell'abbondanza che i Hozenfrar avevano piacere di ostentare e rimanevano sbalorditi di fronte all'incredibile villa, la più bella mai vista. Nessuno seppe mai del sacrificio umano usato per costruirla e a nessuno importava.
Quando Jeremy Hozenfrar morì, la famiglia gli organizzo un sontuoso funerale, parteciparono centinaia di persone tra parenti e conoscenti, ma nessuno tra loro provò commozione o dispiacere, perché era risaputo essere più bestia che uomo e perché la sua morte per quanto una tra tante migliorava e rendeva più sicuro quel già pericoloso mondo in cui tutti erano abituati a vivere. Una persona in particolare non solo non si dispiacque per l'accaduto ma anzi provo un incontenibile felicita, uno straordinario senso di sollievo e beatitudine, era suo figlio, William Hozenfrar. Molte persone si interessarono alla successione dinastica che la morte di Jeremy comportò, non tanto sul piano nobiliare (William era figlio unico quindi toccava a lui il titolo di marchese appartenuto al padre) ma su quello imprenditoriale, come sarebbe stata divisa l'immensa ricchezza della famiglia? Con grande sorpresa il testamento siglato è convalidato da un notaio, dichiarava come unico erede proprio william è questo fu per lui un ulteriore motivo di gioia, anche se di molto inferiore alla morte del padre. Per moltissimo tempo William si dimentico del palazzo d'inverno e passo i successivi dieci anni della sua vita tra feste mondane e altri generi di passioni molto meno usuali. Sperperava denaro in continuazione, ma la sua stabilità economica non fu compromessa, tutti i piaceri anche quelli assurdamente costosi furono realizzati e quando finirono si passo alle perversioni.
Cosi dopo una vita satura di divertimenti e gozzoviglie arrivo ad un punto tale da essere annoiato da tutto è proprio allora si ricordò della magnifica villa. In realtà non riusciva a capire perché dopo tanti anni quel ricordo gli fosse balzato in mente e non sapeva spiegare a se stesso come mai quella fievole rimembranza si faceva sempre più forte, talmente forte da ossessionarlo a tal punto da impedirgli di concentrarsi sulla più banale faccenda, la sua mente era profondamente turbata, irrazionale a tal punto da dare chiari segni di squilibrio. Per calmarla e portarla in uno stato di serenità apparente, William faceva largamente uso di tutte una serie di sostanze, che grazie alle sue conoscenze non aveva problemi a procurarsi. Farmaci potenti, anzi, vere e proprie droghe. Improvvisamente la noia venne sostituita da un profondissimo malessere, il male oscuro che attanagliava la sua psiche lo colpi cosi violentemente da farlo quasi impazzire. Una grave febbre celebrare aggravò la situazione anche da un punto di vista fisico. Come tutte le persone che dopo aver vissuto una vita di balordaggini si ritrovava improvvisamente in difficoltà, anche William decise di rivolgersi a quel dio che da sempre disprezzato, ora era la sua ultima ancora di salvezza. Teneva un rosario d'oro sempre sul collo e tra le dita delle mani anelli con incisioni religiose, fu tutto inutile. I suoi sogni erano popolati da creature orribili che lo inseguivano, lo cacciavano e molto spesso lo uccidevano in modo sempre più truculento, poi si svegliava e piangeva. C'era qualcosa di sicuramente maligno, William si convinse che non poteva esistere al mondo una malattia mentale tanto devastante da provocare un tale danno in cosi poco tempo. Intanto la sua ossessione per il palazzo d'inverno divenne se possibile ancora più marcata, ma a questo si aggiunse un particolare ancora più agghiacciante. Nei brevi attimi in cui la sua mente non produceva gli orribili incubi che oramai non lo facevano dormire per più di due ore a notte, il suo cervello gli mostrava particolari di porte intarsiate in legno, possenti colonne di marmo sapientemente scolpito, finestre e pareti. Gli bastarono alcune foto trovate in un vecchio fascicolo per capire che quella era proprio la villa costruita dal suo defunto padre, ma lui non c'era mai stato! La costruzione fu terminata all'incirca quando aveva otto anni, successivamente parenti e amici continuarono a parlagliene anche durante la sua maturità, elogiandone unanimemente la sua bellezza, ma lui personalmente non aveva mai messo piede a Kantorg. Una forza oscura lo voleva li, tra le montagne sperdute al confine della Svizzera, ed era un appuntamento a cui non poteva mancare perché giorno dopo giorno stava morendo senza saperne il motivo e senza poterci fare niente. Anche solo il pensiero di mettersi in viaggio lo rallegrava e il giorno in cui chiamò la servitù per ordinagli di fargli le valigie non ebbe incubi e la febbre cerebrale si attenuò. Insieme a lui sentì il bisogno di portare sua madre: Guglielmina Hozenfrar, le ragioni di questo desiderio gli erano sconosciute. Dalla villa Viennese in cui risiedeva, intorno al 19 marzo partirono quattro carrozze, nella prima c'era il fedele servitore e guardia del corpo Achill, un uomo corpulento dotato di possenti muscoli, che utilizzava molto frequentemente sia con persone delle sua stessa stazza, sia (molto più spesso) con poveri disgraziati che dopo averlo offeso in modo accidentale o del tutto inventato venivano brutalizzati dalla sua violenza, tra questi c'erano anche molte donne. Accanto a lui sedevano altri due uomini della sicurezza, all'incirca della sua stessa risma. Nelle altre due carrozze vi era la servitù, che tra camerieri, cuochi, giardinieri e inservienti raggiungeva le trenta unita, comunque più che di carrozze in questo caso era meglio parlare di veri e propri carri bestiame senza un briciolo di comodità. Infine nel convoglio più lussuoso erano accomodati figlio e madre che per tutto il viaggio ebbero accese discussioni. Guglielmina pareva tremendamente scocciata e inveiva contro William, che stanco di sentirla lamentare fermò il convoglio e passò alla carrozza della sicurezza con Achill. La vecchia guardia gli pareva una figura spaventosa, in parte assomigliava ai mostri che ogni notte lo tormentavano, ma visto la sua propensione a non parlare la preferiva alla madre. Dopo molti giorni di viaggio e innumerevoli soste il cocchiere annunciò che per Kantorg mancava molto poco. Ma l'apparente buona notizia fu rovinata dalla ricomparsa dei sintomi psicotropi che fino ad allora quasi scomparsi, vennero di nuovo alla luce, forse più violentemente di prima. in particolare la sua attività onirica si fece ancora più raccapricciante. Il sogno ricorrente consisteva nella visione di un grande lago in cui non c'era acqua ma un liquido nerastro e putrescente, improvvisamente quattro persone in forma di ombra si materializzavano alle sue spalle e bloccandogli i movimenti di gambe e braccia lo buttavano dentro il lago, lui ustionato dal liquido tossico cercava immediatamente di uscire, ma non appena ci riusciva le quattro ombre ripetevano l'operazione e lo ributtavano dentro, finché, dopo innumerevoli “tuffi”, ne usciva completamente sfigurato, con le ossa di varie parti del corpo in vista e con brandelli di carne penzolanti, a quel punto le ombre iniziavano a ridere. Oltre a ciò, nuove anomalie fisiche lo colpirono, i suoi occhi svilupparono un'inconsueta sensibilità alla luce, talvolta cosi forte da costringerlo a coprirseli con le mani non appena qualche flebile raggio di luce attraversava le spesse tende della carrozza. In queste precarie condizioni arrivò prima a Kantorg e successivamente alle porte del palazzo d'inverno. Guglielmina scese dalla carozza e iniziò ad impartire ordini alla servitù con una tale foga da sorprendere perfino Achill, che di maniere forti era un esperto, invece William stordito e affaticato desiderava solo riposarsi in uno degli innumerevoli salotti e infatti non si soffermo ad ammirare la maestosità dell'abitazione, cosa che invece fecero tutti gli inservienti, prima di venire tremendamente rimproverati da Guglielmina. Inoltrandosi per una delle tante stanze vide una poltrona, esausto si sedette e cominciò a dormire profondamente. Il sonno fu inquieto. Si risvegliò la mattina del giorno dopo, La sua situazione era ancora drammatica, sia fisicamente che psicologicamente, i sintomi del male erano tornati, questo lo spinse ad assumere quantità ancora più sproporzionate di farmaci, un mix tra tranquillanti e sostanza oppiacee tra cui spiccava il laudano, di cui tra l'altro portava sempre con se una bottiglietta, simile a quelle per il liquore. Trascorse l'intera mattinata sulla poltrona su cui aveva dormito, solo verso mezzogiorno trovò la forza di rialzarsi e camminare. Arrivò barcollando nel salone principale, era incredibilmente grande, le pareti traboccavano di dipinti e vasi bordati in oro ornavano l'intera stanza. Non c'era nessuno e questo in un primo momento lo spaventò, poi si ricordò dell'immensa grandezza della casa e ipotizzò che sua madre con gli altri fossero in un altro punto. Il silenzio che lo circondava lo infastidiva, i muri spessi impedivano a qualsiasi suono esterno di entrare e le finestre erano chiuse, lui personalmente non poteva aprirle perché i raggi di sole che li attraversavano potevano nel suo stato, accecarlo. Per risolvere questo problema prese la sua giacca e se la mise in testa annodandola come un passamontagna, riuscì ad avvicinarsi alle finestre ma la sua forza non gli permise di muovere le pesanti maniglie, quindi lasciò perdere e iniziò ad esplorare le altre stanze. Si ritrovò in un ampio corridoio, a passo lento e parecchio tempo dopo, vide il primo segno di vita; una domestica che stava spazzando per terra, sembrava così indaffarata da non notarlo. Andò ancora più avanti fino a giungere in un piccolo studio tappezzato di quadri, i dipinti erano di pregevole fattura, riconobbe suo padre, riprodotto dal pittore con il suo consueto sguardo ferino e sua madre che gli stava accanto, Vide anche il quadro di una bellissima donna dai capelli dorati di cui però non si ricordava per niente. Era l'unico dipinto vistosamente rovinato, ne mancava un'intera metà, William si chiese chi poteva averlo ridotto in quello stato e quando mise la sua mano sulla tela ebbe una sgradevolissima sensazione. Improvvisamente dei passi proveniente dal corridoio già percorso lo allertarono, sporse la testa quel tanto che bastava per vedere se l'inserviente che aveva incontrato prima era tornata indietro per pulire un altro pezzo di pavimento, ma di lei non c'era traccia, il rumore dei passi si faceva sempre più forte e si avvicinavano alla sua posizione, ma lui non vedeva nessuno, terrorizzato chiuse la porta dello studio e visto che all'interno non c'era nessuna fonte di luce rimase completamente al buio. Incredibilmente anche se in maniera sfocata, riusciva a distinguere i contorni dei mobili e le pareti della stanza, i suoi occhi come quelli di un gatto potevano quasi in maniera soprannaturale vedere in condizioni di scarsissima visibilità. Rimase immobile per alcuni minuti, concentrato nel percepire il rumore di passi che ora sembrava scomparso, rassicurato dal silenzio aprì la porta. “William! dove diavolo ti eri cacciato? Maledizione è da un pezzo che ti cerchiamo!” la voce era quella di Guglielmina, il timbro vocale era così alto, che colto di sorpresa William ebbe una fitta al cuore e per lo spavento tremò in maniera vistosa , Guglielmina se ne accorse “haha ti ho spaventato?” a cui seguì con cattiveria “Sei un fallimento, non so come fai ad essere figlio di tuo padre” Come sempre la reazione di William fu anonima e sottomessa, si scusò con la madre e la affiancò mentre lei continuava a parlare “ Mi hai convinta a seguirti in questo paese dimenticato da dio, accidenti alle tue fissazioni, sei chiaramente malato, piuttosto di farti venire in mente questa scampagnata in montagna, dovevi pensare ad un ricovero in un ospedale, anzi in un manicomio visto come sta evolvendo la situazione.” con un filo di voce William disse “no madre, la mia situazione è in miglioramento l'aria di montagna rinvigorirà la mia mente e i miei muscoli” gli occhi di Guglielmina si riempirono di astio “tu non sei mai stato vigoroso sei sempre stato un…. Vieni, credo sia l'ora del pranzo.” Il rapporto materno normalmente caratterizzato da amore e comprensione era totalmente assente nell'anima di Guglielmina, che invece si preoccupava molto di più nel preservare il buon nome degli Hozenfrar, un figlio malato di mente poteva essere un grande ostacolo per questo proposito, quindi piuttosto che farlo girare per le strade di Vienna, assecondò il suo desiderio e raggiunse con lui il palazzo d'inverno dove l'ontano da occhi indiscreti poteva gestire più comodamente la situazione, nonostante ciò non mancava mai di denigrare la sua scelta, fosse solo per il semplice gusto di mortificarlo. La grande sala da pranzo era stata in tempi record pulita e riordinata, sotto la continua minaccia della loro padrona nessun servo si permise di prendersi una pausa. Il tavolo centrale, realizzato con pregiatissimi legni, era cosi costoso che i soldi ricavati da una sua eventuale vendita, avrebbero tolto dalla fame migliaia di persone. Su quel tavolo, mentre i camerieri servivano un ottimo arrosto, Guglielmina incalzò di nuovo suo figlio “ i tuoi disturbi sono peggiorati vero?”
“ no madre, anzi, sento che la via della guarigione è sempre più vicina” “che sciocchezze vai dicendo sembri un cadavere che cammina, cosa hanno i tuoi occhi? Sono completamente arrossati” “ forse un po di polvere madre” Guglielmina smise di mangiare e guardò intensamente il figlio, che fino ad allora aveva risposto cercando di assecondare il volere del genitore “sai wil non è colpa tua, la colpa è del destino, se il destino avesse permesso a tuo padre di restare ancora per un po, oggi saresti una persona diversa, migliore.” William alzo gli occhi dal piatto, dove stava affettando un pezzo di carne, e disse in un chiaro tono sarcastico, che nonostante la dipartita del caro padre riponeva grandi speranze nella capacità educatrice materna. Il duello tra i due andò avanti per molto, si arrivò al dolce, ma l'atmosfera piena di odio non si spense e continuo anche dopo il pranzo. Al contrario di quello che voleva far credere alla madre, le forze mentali e fisiche di William dopo la tregua del viaggio, si erano di nuovo pesantemente compromesse. escludento la curiosa questione degli occhi (che attribuiva ad un insolito sintomo collaterale, provocato dai suoi deboli nervi) gli altri malanni della sua malattia non facevano altro che causargli dolore. Visto l'inefficacia dei farmaci iniziò a praticare dei rimedi alternativi che non ne comportavano l'utilizzo,questi rimedi si basavano sull'uso oculato di erbe e sostanze naturali che sapientemente inalati dovevano indurlo in uno stato di rilassamento tale da contrastare la violenza di quello che oramai gli sembrava un morbo. La terapia si basava sui principi della medicina tradizionale orientale e gli era stata consigliata da un suo conoscente che studiava medicina. Fortunatamente prima di lasciare Vienna si era ricordato di mettere dentro una piccola valigia tutto l'occorrente. Le sostanze potevano essere bruciate anche all'interno di un semplice braciere, bastava seguire un ordine preciso. I fumi emessi dovevano essere respirati a pieni polmoni. Per svolgere questa operazione, William aspettò la notte. Si sistemò in una stanza vicino allo studio visitato in giornata, in origine doveva essere una biblioteca, all'interno trovò un portaombrelli di bronzo che era congeniale ai suoi scopi, vi mise del carbone, recuperato da una delle tante stufe sparse per la casa, lo accese e aspettò che i tizzoni si arroventassero, poi mise le erbe sul fuoco e le bruciò nelle dosi indicate su un foglio sbiadito, probabilmente scritto dalla stessa persona che gliela aveva date. Il fumo era di un colore bluastro e appariva pesante e denso, l'odore era disgustoso ma ne inalò quanto più possibile. Disorientato si accascio sul pavimento e piombò in uno stato di semi incoscienza da cui si risvegliò solo alcune ore dopo quando Il fuoco nel braciere era scomparso e l'unica fonte di luce proveniva da alcune lampade troppo distanti le une dalle altre per illuminare la stanza in modo completo. Il buio sovrastava la luce e dopo essersi messo in piedi William sperava che l'inconsueta sensibilità dei suoi occhi gli venisse in aiuto, infatti fu quello che accadde. Ma le zone d'ombra imperscrutabili ad un comune occhio umano, rivelarono al loro interno un orribile creatura! Il cuore di William raggiunse una frequenza esorbitante il sangue che pompava si ghiacciò di colpo, i muscoli delle gambe si irrigidirono, venne percorso da un terribile brivido lungo la schiena, alla vista dell'orrore, tutte le sinapsi del suo cervello impazzirono, il mostro era a pochi metri di distanza! Appariva come una persona vestita in abiti eleganti con una corporatura umana, ma al posto di una testa umana ne aveva una di cavallo, una testa di cavallo che digrignava i denti e nitriva. William urlo a squarcia gola, ma il suo urlo per quando violento non riusci a coprire il nitrito del mostro che si dimostro di un acutezza spaventosa, tale da rompere le ante di vetro di una credenza li vicino,l'inseguimento iniziò pochi secondi dopo, l'uomo con la testa di cavallo si avventò ferocemente sulla sua preda, i muscoli di william, invalidati dalla malattia riuscirono comunque a fargli fare uno scatto fulmineo, tale da riuscire ad evitare una facile cattura, quello che seguì dopo può essere annoverato tra le esperienze più traumatiche sopportabili da un uomo. Il mostro lo inseguiva per la stanza con solo pochi centimetri di distacco, William poteva sentire il suo respiro tra i capelli, e si accorse che mentre correva produceva un suono simile al galoppo di un puledro, all'inizio non si era accorto che al posto dei piedi la creatura blasfema aveva degli zoccoli. Dopo poco tempo, i due si ritrovarono nell'ampio corridoio, a tutto vantaggio della bestia che poteva inseguirlo senza girare angoli e senza l'impaccio dei mobili, come accadeva dentro la biblioteca. Questo vantaggio si rilevò fatale, in quelle condizioni la velocità di william non poteva rivaleggiare con quella dell'inseguitore, fu catturato. L'odore del sangue, i pugni della bestia, il brutale pestaggio e poi il buio. Recuperò i sensi a pomeriggio inoltrato, aveva dormito per tutta la notte e per buona parte del giorno, le ferite dello scontro erano gravi e comprendevano; vistosi segni di morsi sul braccio sinistro, viso tumefatto e naso fratturato, grave ematoma sulla gamba sinistra, tre dita del piede destro completamente insensibili forse rotti. Era sdraiato su un tavolo di una stanza adiacente alla biblioteca, il mostro doveva averlo scaraventato li dopo la perdita di conoscenza. Ripensando agli eventi passati William non poteva che provare un incontenibile senso di nausea e paura a cui si aggiungeva il timore che la notte portava con se, la bestia poteva colpire ancora. Si chiedeva come mai sua madre non fosse venuto a cercarlo, ma riflettendo capì che tra le sue abitudini sregolate c'era anche quella di sparire per giorni (per assecondare qualche suo divertimento) senza dire niente a parenti e servitù, quindi non vedendolo arrivare nessuno si doveva essere insospettito. Inoltre non riusciva a capire come mai la bestia pur potendolo fare, non lo uccise. Pensò di essere stato protetto da dio in persona, visto la sua improvvisa devozione. L'orologio da tasca segnava le 7.36, William promise a se stesso che entro le 9.00 doveva essere fuori da kantorg, non aveva intenzione di disturbare di nuovo la provvidenza, e non voleva per nessuna ragione al mondo passare un'altra notte al palazzo d'inverno. Non si preoccupò neanche di prendere con se lo stretto necessario per il nuovo inaspettato viaggio, semplicemente non appena trovò la prima porta d'uscita l'aprì, e di corsa uscì via dalla casa diabolica. Ma poi, quando stava quasi per varcare il cancello principale, capì la perversa trappola in cui era caduto. Voleva con tutta l'anima lasciare la villa, ma il corpo non gli rispondeva e se tentava di forzarlo sulla strada della salvezza, sopraggiungevano atroci dolori. Ogni passo equivaleva a mille frustate sui nervi più sensibili. la stessa entità che lo aveva attirato fin da Vienna ora non voleva farlo fuggire. Erano le nove meno un quarto, e solo un dito di William aveva varcato la soglia del cancello principale. Capita l'abominevole situazione, tornò su i suoi passi, e ormai buio fu costretto a rientrare dalla stessa porta da cui era uscito, una volta dentro, poteva già sentire il pericolo dietro ogni angolo. l'inquietudine di una porta socchiusa che di colpo poteva aprirsi, e liberare chissà quali mostruosità, lo faceva impazzire, perciò si barricò nella stanza che gli pareva più sicura, uno sporco stanzino dove gli inservienti mettevano la biancheria da lavare. Prese dei grossi ceppi di legno e un attizzatoio per il fuoco da un camino, una lampada a cherosene con molte bottiglie di ricarica (per non rischiare di rimanere al buio) e poi si chiuse dentro. Appoggiò i ceppi di legno sulla porta in posizione inclinata in modo da fare leva, poi sentì il bisogno di tappare il foro della serratura con un pezzo di stoffa strappata dalla sua camicia, cosi un eventuale aggressore non avrebbe potuto sbirciare all'interno. Strinse l'attizzatoio tra le mani, la sua unica arma tra mille pericoli, e rannicchiato sul ruvido pavimento aspettò il sorgere del sole. La notte fu lunga è piena dei soliti incubi, tra cui spiccava quello delle quattro ombre, ma questa volta era diverso, perché i volti delle ombre pian piano assumevano contorni sempre più nitidi, quasi famigliari… nell'attimo in cui stava per riconoscerne uno, William si svegliò. Era già stanchissimo e prima di mettersi in piedi guardò l'orologio, erano le nove passate, era sopravvissuto alla notte. Un raggio di luce confermava la sua vittoria, quando lo vide accennò un sorriso, poi capì che quella fonte di luce proveniva dalla toppa della serratura, tolse i ceppi e aprì la porta, trovò il lembo di camicia strappata per terra insieme ad un pezzo di filo metallico, qualcuno dall'esterno aveva infilato il filo dentro la serratura agganciando e tirando la stoffa. Scosso da questo avvenimento, William si rese conto che in nessun posto poteva veramente dirsi al sicuro. Finché rimaneva dentro il palazzo d'inverno, ogni notte sarebbe stata un incognita.Nota dell'autore
Ovviamente la storia continua, cercherò di pubblicare le altre parti quando prima possibile, segnalate eventuali errori e fatemi sapere cosa ne pensate. Ciao
STAI LEGGENDO
Dragun
HorrorWilliam Hozenfrar è il discendente della più ricca famiglia d'Austria, ma la sua vita paradisiaca verrà interrotta da una misteriosa e spietata entità che pretende vendetta.