сhартэя 10

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Mi piacevano tanto i ristorantini piccoli, quelli che anche se non erano di lusso erano riempiti da chiacchiere amichevoli, da musica classica che suonava impercettibilmente, dove si mangiava bene e si stava meglio senza bisogno di spendere troppo e di rendere l'uscita troppo ufficiale. Mi era sempre piaciuto il leggero tintinnare delle forchette nei piatti, dei bicchieri che cozzavano per un brindisi, perché era così chiaro e sempre nelle tue orecchie, ma non dava fastidio, come il ritmo di una canzone dolce.

Io e Louis avevamo ordinato già, si era seduto alla mia destra, e in quel momento ci stavamo guardando in modo imbarazzante negli occhi. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, non potevo, quegli occhi erano troppo blu, perciò abbassai gli occhi a guardare la tovaglia. A quel mio atteggiamento allungò la mano attraverso il tavolo, lentamente, e prese la mia. Il mio cuore mancò un battito, e mi chiesi vagamente come facesse ad essere così sicuro in tutto qello che faceva. Strinsi la sua mano imbarazzato e alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi fissi ancora a guardare me, freddi, in contrasto con la sua mano bollente. Un brivido mi percorse la schiena.

"Harry..." pronunciò il mio nome lentamente. Aveva una strana espressione sul viso, un sorriso malinconico ma affettuoso.

"Louis. Tutto okay?"

"Vorrei essere come te, Haz." sussurrò stringendo la mia mano con nervosismo.

"Ed io vorrei essere come te." ammisi, cercando di ribattere nel modo meno ovvio possibile. Non volevo dire, per esempio, "Che ci trovi in me?" oppure "Cos'ho di speciale?" , perché era banale e lo sapevo, ma Louis fu pronto a rispondere lo stesso a quelle domande.

"Adoro quel tuo modo di sorridere, di vedere le cose con occhi diversi, di avere il coraggio di capire ciò che ti piace, di non aver paura di mostrare te stesso, di non temere di essere triste o arrabbiato, di affrontare i problemi. Vorrei essere così."

"Come sai che io sono così? Lou, ci conosciamo da poco, non giudicare dalle apparenze." dissi con voce fievole, "Non sono così forte e anticonformista come mi descrivi."

"Sì invece," insistette, "Sorridi sempre alle cose, sei sempre positivo, non hai paura di dire che sei gay, a me l'hai detto dal primo incontro senza problemi. Io non ci sarei riuscito, anche se mi sono accettato e non ho problemi non chi sono. Se sei triste o arrabbiato lo dici, come hai fatto con me quando non ci siamo parlati quella settimana, non lo nascondi come faccio io; e mi hai dato speranza con il tuo modo di essere positivo, di guardare al futuro come a un'opportunità e non come una conseguenza."

Sentii le guance andarmi a fuoco e abbassai di scatto lo sguardo, "Sei dolce quando arrossici," asserì.

Con molto coraggio, inspirai profondamente e dissi: "Tu sai sempre cosa dire invece," lo guardai significativamente negli occhi, "Non hai paura di esprimere i tuoi sentimenti e lo sai fare anche bene. Io no."

Mi strinse la mano e per la prima volta sul viso gli comparve un'espressione triste.

"Ho paura invece, e non riesco ad esprimerli. Io dico solo dei fatti oggettivi."

"E io ti dico di no," ribattei pronto, "Il modo in cui tu mi vedi non è il modo in cui sono oggettivamente."

Si inclinò leggermente verso di me e affondò la testa nell'incavo del mio collo, non smettendo di riscaldare la mia mano fredda con la sua mano bollente. Mi posò un bacio sulla clavicola, e inspirò profondamente per poi espirare a stretto contatto con la mia pelle, così da farmi rabbrividire di piacere. Intrecciai le mie dita tra i suoi capelli e incomiciai ad accarezzarlo gentilmente; a volte le mie dita scivolavano sulla sua guancia in piccole carezze mentre lui con la stessa frequenza baciava il mio collo, finché il cameriere non ci interruppe per portare i piatti, lui si raddrizzò e mi lasciò la mano per prendere la forchetta. Parlammo senza imbarazzo, a quel punto, di tutto e di niente.

Bonfire  Larry Stylinson Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora